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Dialoghi poetici coi Maestri - 64 - Edmond Jabès

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  Il avait – lui semblait-il – mille choses à dire à ces mots qui ne disaient rien; qui attendaient, alignés; à ces mots clandestins, sans passé ni destin. Et cela le troublait infiniment; au point de n’avoir, lui-même, plus rien à dire, déjà, déjà. Edmond Jabès Tratto da L’appel (1985-1988), in Le Seuil le Sable, Poésie - Gallimard, 1990, p. 396 _____ Aveva – così gli pareva – mille cose da dire a queste parole che non dicevano niente; che attendevano, in fila; a queste parole clandestine, senza passato né destino. E ciò le sconvolgeva senza sosta; al punto di non avere, lui stesso, più niente da dire, già, già. Traduzione libera di Sergio Daniele Donati Il était chauve. Et son regard restait  immobile sur le vide de la parole ,  d'où il tirait – quand il avait de la chance – des petits cris de joie enfantine, comme lorsqu'un vent froid nous réveille du monde des morts. _____ Era calvo.  E il suo sguardo restava immobile sul vuoto della parola, da cui ricavava - quando era for

(Redazione) - Muto canto - 04 - Moriamo di ciò che ci riduce - per Edmond Jabès

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  A cura di Anna Rita Merico Lì dove l’imprecisione di luogo e tempo lascia traccia e segno d’anima volta al Cominciamento, ancora. a Giuseppe Nisi che una sera scrisse, ascoltando Moriamo di ciò che ci riduce (1) per Edmond Jabès Stasera scrivo con la matita. Una matita perché non sempre ho tempo di lasciar maturare parola e, dunque, cancello grafite. Un poema racchiuso in un minuto libro di piccolo formato per squartare il senso dell’Opera Somma della poesia italiana. Tre intere cantiche tratteggiate in pochi bordi cogenti. Tralascio, volutamente, l’affondo del Maestro su Auschwitz, modello contagioso e il Male per ragioni legate a quanto Jabès stesso ci chiede: questi appunti… non vi è stato tempo a sufficienza per maturarli .   (2) Che tempo, per noi, sia. Qui si dice di parola che sbozza materia e giunge a luce allocandosi nel libro. C’è un tramonto ed un margine di lapislazzulo nel cielo che m’imbozzolano il sentire. Come pensare al Male in una durata serale come questa? Iniz

(Redazione) Specchi e labirinti - 10 - Tishà be Av e brandelli di Shoah

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  A cura di Paola Deplano Tishà be Av è un giorno di lacerazione e di lutto, un giorno in cui il dolore del singolo si fonde con quello di un popolo. Un dolore ciclico, ripetuto. Un dolore che si rinnova, con diverse motivazioni, sempre nella stessa data. Difficile non vedere, in questo, un messaggio della Vita. Cos’hanno in comune, infatti, la doppia distruzione del Tempio e quella di Gerusalemme, le cacciate da Spagna e Inghilterra e la deportazione a Treblinka? Oltre al fatto di essere accadute tutte a Tishà be Av e di aver portato dolore e sconcerto in un intero popolo, questi avvenimenti insegnano che ad ogni tentativo di annientamento corrisponde, in modo eguale e contrario, una forza che apre nuovamente le porte alla vita. La resilienza dell’erba che, dopo essere calpestata, ritorna al suo posto, lieve e verde, come prima. Quest’anno Tishà be Av è stato dal tramonto del 6 alle prime stelle del 7 agosto, non molto lontano da oggi. E pensando a perpetuare la memoria di chi non c’