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Visualizzazione dei post da aprile, 2023

Il quarto Alef-Bet - 19-22 da Kof a Tav

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E stai attento  a non cadere, amico mio, non ora, che a scimmiottare il Giusto si perde  il potere di dir sì   alla vita.  Esiste un principio  che in pochi hanno trascritto,  ma nutre il midollo  e le schiere metaforiche  che sono amiche delle tue argille. È il principio  che si chiude con il sigillo  nel fuoco sacro. Siamo figli d'una parola   che ci vincola  a dire la nostra presenza all'altro, il nostro goffo  tentativo d'adesione all'Altro. Stai attento a non cadere, amico mio, non farlo ora, prima di aver detto eccomi , di aver detto  הִנֵּנִי alla falce d'Alef crescente che vedi di lontano. Non cadere ora, amico mio, il passaggio è stretto e non ceda il tuo cuore alla tentazione dell'ultimo respiro. C'è, dopo il sigillo, un silenzio che prepara il ritorno  alla narrazione più antica.  È il silenzio di gestazione,  l'attesa prolifica nella quale  potrai immergerti solo se - come dicevo - il Giusto coinciderà per te con l'Inimitabile

Ha'Etz (l'albero)

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Fuori della mia caverna anche io ho percepito un sottile e invisibile bisbiglio di silenzio,  ma non avevo ossimori con cui coprirmi i volti né la saggezza del Profeta. Mi bucai allora il timpano perché l'ascolto di ciò che tace tra le sabbie potesse dirsi perfetto. Lì misi radice. Io sono l'albero che non dà frutto, e non mi rivolto  a questa realtà.  Non si ferma  il pellegrino sotto  la mia ombra e l'uccello dalle piume blu rifiuta le mie fronde. Eppure la radice  si estende per chilometri nel deserto; fino alle acque del pozzo ove si ode, se si conoscono i sentieri fragili delle lacrime  d'olio sacro, il canto senza fine - né inizio - della Moabita. La radice si nutre d'un canto liquido  e le mie cortecce stillano resine che tu non puoi vedere perché - ricordi? - il tuo primo sguardo  sulla mia mano  callosa fuggì, della mia parola afona,  la fatica d'esistere. ______ SERGIO DANIELE DONATI Inedito 2023

Oblivion (una vez más)

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Foto di Man Ray Che poi - forse - né tu né io sappiamo cosa sia la libertà vera  da quella parola. Oh, certo, conosciamo ogni ritmo vitale,  ogni scoppio, ogni di bolla di sapone da cui seguiamo la dispersione iridescente d'un amore mai nato. Conosciamo - dicevo -  ogni nostra culla lenta, e i dondolii al ritmo caucasico della dimenticanza. Sappiamo, sia io che te, nasconderci dietro -  o dentro - un passato per noi troppo simile per esser detto. Ma, se questa melodia - questo Oblivion senz'oblio - ci lega i polsi e c'intreccia gli sguardi, è perchè di quella parola fummo - e forse siamo ancora  - schiavi. Io ne divenni il servo per averla detta e tu per non averla voluta sentire; e non so, sai, quale dei due domini, delle due catene - dire l'indicibile o ignorarne l'esistenza - sia più facile da spezzare.  La melodia che ci allaccia - so che lo sai - è discendente e piana come un rifiuto; un no  detto lento guardando l'iride di chi lo riceve riempirsi di catara

(Redazione) - Dissolvenze - 18 - BLINDSIGHT

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A cura di Arianna Bonino La verità è sopravvalutata. C’è poi da fare sempre la famosa distinzione tra vero e reale, se proprio andiamo a vedere. Poi ci sono i sogni, che sono veri, perché appunto davvero li facciamo, ma non sono reali. O forse sì, dipende. Si potrebbe dire: sì, però una certezza l’abbiamo: se una cosa la puoi fotografare, vuol dire che è vera e anche reale. Può essere, ecco, meglio se la mettiamo così: può essere. Questioni che si sollevano incappando nel lavoro del fotografo  Doug Rickard, americano, nato nel 1968 e purtroppo già morto, un paio d’anni fa. Laureato in storia americana e sociologia all'Università della California, San Diego, Rickard è il fondatore di American Suburb X e di These Americans , siti web di raccolta di saggi sulla fotografia contemporanea, oltre che di archivi fotografici storici. Rickard, come di molti grandi fotografi si può certo dire, cercava quell’istante che, isolato dal contesto, fosse significante, avesse pregnanza, s’imponesse.

Cantami

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Cantami il Canto davanti al pozzo ancora e carezza la mia nuca bambina ancora e sorreggi i miei singulti, i miei vagiti piani. Tendi il filo di rame ancora,  tra l'ossidiana nella mia pupilla e le fredde stelle. E dammi un Nome ancora e racconta le storie d'Adamo prima di Eva, dell'uomo senza metà, senza meta,  e poi ridi la risata di giada dell'alba,  ancora e lascia  che colino oli sacri  dalle mie retine. Ho buchi nelle mani ma non sono Santo; sono imitazioni delle voragini d'un cuore perso. Foto e testo di Sergio Daniele Donati 

Mon double rêve (à l'hôpital et des mois plus tard)

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Fu un doppio sogno; osservavo il tuo sonno dandoti la mano, piano. Poi non eri più tu: eri lei,  la malattia dalla quale non si guarisce. Il vetro era offuscato da una gelatina trasparente. Non parlavi, non parlavi non parlavo: non potevo. Mi dicesti con lo sguardo:  "Attento al tuo risveglio", il vetro offuscato  da una gelatina trasparente -  cataratta inoperabile dei miei occhi.  Non ero io, non eri tu,  non era lei era l'assenza; era l'assenza la manifestazione della malattia  dalla quale   non si guarisce. Era lei, la malattia, il vetro offuscato da una gelatina bianca, per l'ecografia delle voragini del mio cuore. E ti guardavo respirare piano e non parlavo, il vetro offuscato  da una gelatina trasparente. Aprii gli occhi,  - corsia, silenzio, notte rantoli, un anziano chiamava sua mamma; senza sosta - non saresti tornata, non saresti tornata più; il vetro offuscato da una gelatina trasparente per l'ecografia delle voragini nel mio cuore. Tes

Due poeti allo specchio (Annalisa Mercurio e Sergio Daniele Donati)

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  Sono solo tamburi. Gli scuri nascondono echi di teatri a esedra oltre un inchino d'occhi sui muri tutt'intorno a questa gabbia – costole di sabbia in attesa. Sul baratro manca altra terra e sotto i piedi in silenzio ci divora Clessidra. Annalisa Mercurio - Inedito 2023 In fondo non è un caso se la parola fine porti con sé più significati. È così sottile il filo di lino che congiunge lo scopo del nostro esistere alla sua conclusione. Clessidra,  dici?  Ricordo la Valle  di luglio, e della terra bruna  che scivolava tra le mie dita. Una meridiana su un muro lanciava il suo monito souviens toi de vivre (1). Clessidra, certo, con dentro i granelli inesorabili delle nostre dimenticanze. Sergio Daniele Donati - Inedito 2023 (1) - in dialetto valdostano " Ricordati di vivere"

Preghiera - תְפִלָה

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Preghiera Cammino, e canto tra le stelle una lenta preghiera dei morti Benedici il nome e la voce di chi rimane e finalmente accogli il mio silenzio תְפִלָה אני הולך, ושר בין הכוכבים תפילה איטית של מי שמת לברך את השם והקול של מי שנשאר  ולבסוף מקבל את השתיקה שלי ________ Testo - inedito 2023 - e foto di Sergio Daniele Donati 

דניאל - Daniel

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Non ho scelto io il nome che porto come un ingombro; avrei voluto chiamarmi Ettore, così, per sincerità  verso un destino già segnato di perdente con onore. Ma ora sento  odore di petrolio  vicino alle fiamme  che altri chiamano santità , e mi strappo la tunica a mostrare il petto. D.io è il mio giudice (1) e allora giudichi; il mio sguardo è fisso  su Achille, fatto donna - forse dea, forse Medea. La malattia ha vinto e ho il torace trafitto in due punti precisi da lame avvelenate di verità e metastasi. Mi si giudichi per il nome che  avrei voluto portare, mi si giudichi ora e non si reclami  la mia salma che vorrei dispersa  nella polveri  senza soffio che precedettero l'illusione  tanto umana di poter dire  qualcosa sulla fine  che non sia fine. Testo - inedito 2023 - e foto di Sergio Daniele Donati (1) - Daniel in ebraico significa "D.io è il mio giudice"

De profundis clamavi - מִמַּעֲמַקִּ֖ים קְרָאתִ֣יךָ

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Non ho più soffio: sia dunque il mio canto vento sulle messi dell'indifferenza. Torno nel vuoto che mi ha generato. Devasta - lo sai - la vastità dell'assenza, la crepa sul muro che nessun stucco può celare. Mi chiedi di elaborare , d'abbandonare la penna senza inchiostro sul foglio. Ma il foglio non è come l'immagini;  ha perso la sua verginità  e qualcuno v'ha già scritto la mia data di scadenza. Muoio, - e non per mia scelta - senza neanche la grazia della brezza su un lago. Muoio, - è ormai scritto - senza increspature, con una maschera di rame sul volto. Muoio, senza la saggezza di un sorriso, senza l'eleganza delle tue radici; senza la dolcezza d'un perdono, né il coraggio d'una bestemmia. Muoio, come mi hai dipinto tu: un essere indegno d'una voce d'addio; il sogno su cui si tira lo sciacquone al mattino; al risveglio, prima di fare l'amore con la Vita. ______ Foto e testo - inedito 2023 - di  Sergio Daniele Donati

(Redazione) - Il Femminile - 01 - Forough Farrokhzad

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A cura di Patrizia Baglione Il Femminile, è il nome della rubrica che andrò a curare per Le parole di Fedro .  Una rubrica che ho voluto fortemente e che vuole evidenziare il tenero e caparbio mondo delle donne, attraverso la poetica di grandi autrici contemporanee.  Aprirà la rubrica, la poetessa persiana Forough Farrokhzad.   Intensi sono i suoi versi il suo modo di stare al mondo.  Simbolo del coraggio femminile, che lotta contro tutto e tutti per farsi valere. ______ La  poesia della protesta – protesta attraverso la rivelazione – rivelazione del mondo più intimo delle donne (considerato tabù fino ad allora), i loro segreti e desideri intimi, i loro dolori, aspirazioni. Parliamo della poetessa iraniana Forough Farrokhzad , una vita breve ma intensamente vissuta, con cui anticipò la lotta delle donne iraniane di oggi, caratterizzata da scelte personali ed artistiche di assoluto anticonformismo rispetto alla morale della società persiana dell'epoca. Nata a Teheran e terza di sett

Estratto da “Tutte le distanze” di Chiara Olivero (Puntoacapo ed., 2020)

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Parlo e non mi senti la voce muta vaga, persa come la mosca contro i vetri sbatte in cerca di un pertugio. Così, in questo nuovo silenzio ho gridato il tuo nome e l’eco me l’ha restituito come se mi appartenesse. Ci son giorni in cui esistere non è abbastanza, scalfisce la pietra assenza, batte contro le pareti di questa stanza. Al centro restiamo aggrappati – sospesi – come un frutto maturo che non vuol cadere. Eri negli occhi sottopelle nelle vene. Ora il mio corpo è una casa disabitata. NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE Chiara Olivero (Casale Monferrato, 1980) nel 2004 si laurea in Lettere all’Università del Piemonte Orientale con una tesi sulla poesia di Giorgio Simonotti Manacorda, sotto la guida del professor Giovanni Tesio. In seguito si trasferisce a Milano, città in cui vive, specializzandosi in Editoria. Ha collaborato come redattrice con diversi studi editoriali e case editrici, tra cui Rcs Libri. Attualmente lavora come books editor nella redazione di Altroconsumo. Geometrie della no

(Redazione) - Su Vora di MARA VENUTO (peQuod Ed., 2023) - a cura e con nota di lettura di Annalisa Mercurio

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Vora è l’ultima raccolta poetica di Mara Venuto per peQuod editore . Questa sua opera, in una veste non definitiva, ha ricevuto una menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano 2021, ed è stata finalista al Premio di Letteratura Contemporanea Bologna in lettere 2022.  Vòra  (dal latino  vorare,  inghiottire) è un termine dialettale pugliese per indicare voragini o inghiottitoi dovuti all’erosione delle acque sui calcari o a sprofondamenti del suolo.  Il titolo di questa raccolta quindi, si fa preludio di un’opera asciutta, potente come la terra nella quale nasce il pensiero lucido della poetessa. Una terra aspra e carica di pathos, che non lascia spazio a sentimenti molli; terra di processioni, di santi, d’intrecci tra sacro e profano, terra di tarante, di piedi nudi a contatto con un suolo sanguigno. Vora è un ossimoro, un vuoto e il pieno tutt'intorno, mancanza d'aria e aria stessa. La prima domanda che il lettore potrebbe porsi è la seguente: dove si trova il nostro punto

(Redazione) - Specchi e labirinti - 18 - La gemina arte di Alessandro Ardigò in “Cedere e altre cose dette d'amore" (Eretica Edizioni, 2022)

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  A cura di Paola Deplano Dante Gabriel Rossetti scriveva e dipingeva, Michelangelo era scultore e poeta, un certo da Vinci, per soprammercato, era persino scienziato e inventore. Insomma, ci sono molti illustri precedenti in cui una singola persona viene baciata da due o più Muse, una guancia per ciascuna – e, nel caso di Leonardo, persino sulla bocca. Non è solo, quindi, Alessandro Ardigò, nella duplice strada dell’espressione del sé attraverso una gemina arte. Cedere e altre cose dette d’amore (Eretica Edizioni, 2022) è, per adesso, l’ultimo libro di poesie di quest’autore, corredato dalle fotografie di Eugenio Tonoli. Una scelta che la dice lunga sull’impossibilità, per Ardigò, di vivere la poesia solo come mero esercizio di scrittura. Senza l’immagine, sembra dirci, la poesia si avvia per il mondo senza una valida gemella che la sorregga e la rispecchi. In questo libro il poeta/disegnatore si ritrae per consentire che siano le immagini di un estraneo a fare da controcanto – a no

Dialoghi poetici coi Maestri - 54. Milo De Angelis

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OMBRE Di notte le ombre si aggirano per i campi di calcio vuoti, ripetono infinite volte i dribbling non riusciti e i tiri al volo mancati dai ragazzi. Le ombre del campo rifanno di notte le partite che avevano visto al mattino. Le porte sono lontanissime l’una dall’altra e i portieri non riescono a vedersi, non sanno quello che accade a centrocampo, molti chilometri più in là, dove tutto è diverso e non è più estate: pantano, sabbia, macchie di neve intralciano le ombre dei giocatori, alcune in canottiera, altre con la sciarpa al collo. Milo Del Angelis  OMBRE Le mie no, Milo. Le mie ombre di notte inseguono lemmi e pericopi e salti nel mito del linguaggio che - fra noi possiamo dirlo - è il grande inganno ; e non solo per chi scrive. Le mie ombre di notte mi incrostano il sogno e disegnano sul muro, su cui danzano ombre cinesi, il volto divino e orribile della mia grande ferita. Un volto di donna, ça va sans dire, che non cessa di ridere degli inciampi dello

Essere padre

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(...) e forse ancora non sai ch'essere padre  è pianificare il ritiro, tacitare il brusio, rinunciare al nome di vento che ci si portava addosso per metter radice altrove. Un padre è un albero  che cammina, una montagna alla rincorsa del vuoto, la parola che rinuncia finalmente all'aggettivo. (...) ______ Foto e testo - inedito 2023 - di Sergio Daniele Donati

(Redazione) - Su "La distruzione dell'amore" di Anna Segre - Interno poesia editore, 2022 - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  Amore:  la parola che più compare  - o di cui più si parla, senza nominarlo - in poesia, da sempre.  Amore: l'oggetto più scandagliato, esposto e sbilanciato del nostro scrivere, specie poetico.  Amore: la parola più rimata, a volte banalmente, a volte con estrema originalità nel nostro vocabolario. Eppure, di fronte alla grande poesia l'amore torna ad essere un oggetto sconosciuto, anzi, per dirla meglio, una materia ancora grezza da raffinare di nuovo, e di nuovo ancora. Quindi amore, sì, ma da decostruire, da frammentare, da scrostare da intonaci vecchi e stantii, perché possa rivelare la sua pittura originale. Amore da distruggere, perché la fase construens non può non essere preceduta da una fase destruens.  E questo, lo pongo come domanda seria a tutti, non è forse lo stimolo che in generale ci dà la sempre la scrittura poetica di fronte al foglio bianco? Togliere, togliere, togliere eccessi di senso e di significato da ogni dire, perché la parola si riveli per ciò che