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Medea

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Ne hai lasciate cadere troppe a terra; poche hanno germogliato. La terra - quella terra -  è nemica e respinge più del vento  gli afflati della vita.  Dicevi che m'avresti plasmato l'anima come argilla mediorientale. Ne hai fatto uno sgraziato  ammasso di fango  privo del soffio d'una speranza e continui a bisbigliare un'unica berceuse, una lenta  sentenza di condanna. Ma tu non sei giudice,  e io sono funambolo e null'altro conta ai miei occhi che resti teso il filo  tra luna e Aldebaran.  Che io sia caduto  all'altezza di Betelgeuse  poco conta; resta il filo, dicevo, e già di lontano intravedo il passo strascicato  d'un re mendicante pronto a prendere il mio posto. Io non resto, né resisto, né insisto ma non resti nemmeno tu se non nella maschera  d'argilla grigio-vendetta  che scambi per sorriso; speri davvero che copra  le tue rughe stanche  d'una vita sprecata  a dar caccia all'altrui innocenza? Dovevano chiamarti Medea, non donarti un nome