Lettere a una persona speciale - 60 - novembre 2023 - Dietro lo specchio

 

Scritto di notte ascoltando musiche di Chopin

Credevo allora che non ci fosse limite alla creazione, che un lume di candela durasse all'infinito e la sua fiamma, benché fragile, potesse durare e durare ancora. 
Il mio pennino poggiava - e poggia ancora -  su una ferita antica, e l'inchiostro (ricordi?) allora era rosso sangue. 
Ma poi, Petalo, ogni cosa muta colore e anche l'occhio diviene anziano e coperto dal velo di una falsa consapevolezza. 
Così, ora che so delle mie finzioni, quasi provo vergogna a scrivere e, quando lo faccio, mi pare di giocare con un liquido acido e urticante, senza guanti di protezione. 
Ricordi cos'ero allora? Ricordi ancora come brillavano i miei occhi alla luce diafana del sogno? 

Certo, Petalo, io rimpiango quella mia essenza giovanile così Sturm und Drang, così byroniana da parere tratta da un romanzo di medio-scarso livello di fine secolo. 
Ero privo di grazia e di saggezza, Petalo, allora, e forse di questa mia essenza innocente ed ebete ti innamorasti. 
Non di ciò che divenni poi. Ne sono certo, Petalo, ne sono davvero certo. 
E poi, cosa io divenni in seguito non lo saprei dire. 
Forse un mostro, forse un granello di sabbia. O forse ancora un essere umano capace di dirsi ad aeternum-ab aeterno incompleto. 

Comunque sia, io so che provasti amore per la mia indecifrabile natura allora, per il progetto di ciò che a tuo avviso avrei potuto diventare. 
Tu, Petalo, hai sempre vissuto un tempo sfasato rispetto ai miei. Posavi il tuo amore non su ciò che mostravo allora al mondo, ma su ciò che avresti voluto che fossi.
Eppure, lo sapevi dall'inizio: io sono forse uccello, sì, ma pinguino. Non posso volare e il mio passo a terra è impacciato e volgare. Né tu mi donasti il tempo sacro della morte del cigno. 
Volevi, Petalo, che io prendessi il volo che tu stessa non potevi prendere, perché siamo entrambi legati a catene barbare e palindrome. 
Catene diverse, certo, ma ugualmente vincolanti e se voliamo lo facciamo soli, quando abbiamo la forza e il coraggio di dimenticarci l'un l'altra, ogni tanto. 
Eppure tu lo chiamavi amore, mentre io, da dietro lo specchio scheggiato, la percepivo come una benda di cecità.
Ricordo però la tua voce, Petalo, che si impostava con me per divenir sensuale. 
Non la dimenticherò mai, anzi, me la porto stretta dietro lo specchio e canto.
Sì, Petalo, canto un nenia antica che parla di un bimbo mai nato a sé stesso, sopravvissuto nel sogno - grazie al sogno -  e nell'asfissia del sogno defunto. 
Chi ti scrive ora, Petalo, è una reliquia. L'osso sacro di un uomo mai santo. 
Anzi, maledetto ab origine  dal tuo sguardo severo e, ora, dalla tua condanna nell'assenza.
La sentenza è emessa: sono colpevole di non essere mutato come tu, Petalo, volevi, e di aver avuto il coraggio di restare, perché l'atto che strappa i lembi sacri di un amore, fosse il tuo.

Resterò per sempre celato al tuo sguardo, assente, non per mia scelta.
E scriverò, da dietro lo specchio, la musica celestiale della parola che muore.

Tuo  - e per tuo intendo di un ricordo - per sempre.
Fedro.
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