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Una sorta di testamento

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  Se attendessimo  solo qualche istante a tradurre i suoni in parole e ci soffermassimo sul sorriso  della voce della natura, lenta si farebbe strada la lingua del vento quella che, ad esempio,  narra d'Odisseo il ritardo nel ritorno e una brama di sconosciuto che ignora  la mistica dell'ordinario. Cadono a grappoli, come bombe, le nostre interpretazioni  su quei suoni - il massacro dell'ascolto  profondo mancato - e si sovrappongono  al brusio della vita, che è suono caldo, di magma. Alle lingue divise di Babele sopravvive il canto del soffio, ma ci devia  la selva dei significati che ignora l'armonia  di un dittongo. C'è un prima e un dopo in ogni parola, e confondere i tempi della comprensione è negare il brivido  sulla pelle, il massaggio profondo, l'accordo del suono alla vibrazione  delle nostre cellule. Per questo, prima di scrivere, non ho mai nulla da dire che non sia già stato detto dall'antico lemma della natura. Per questo ciò che scrivo  nel pro