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Visualizzazione dei post da giugno, 2021

Vengono da lontano, le ventidue danzatrici

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  Tzade di Sergio Daniele Donati Vengono da lontano e io non ho la forza d'aprire la porta e invitarle a entrare. Di questo loro ridono; non hanno colmato le distanze tra galassia e galassia per entrare nella mia dimora. Sono qui per farmi uscire e mostrarmi quanto possa esser gradevole sostare davanti al fuoco e cantare antiche canzoni. Sono venute di lontano e bussano alla mia porta per mostrare a un uomo schiavo dell'abitudine i ridenti tramonti dell'Altrove. Le sento montare il campo nel cortile e accendere le braci, ridono e scherzano, poi di colpo tacciono; ascoltano il mio mugugno dentro la casa. Poi ridono di nuovo. Non hanno colmato le distanze tra passato e presente senza conoscere i tempi del futuro. Son venute da lontano e la loro regina ha occhi di smeraldo e tace su un trono di foglie. Ora non bussano più alla porta; ne grattano i legni con dita fatate, li sfiorano delicate. Non hanno colmato le distanze tra galassia e galassia senza sapere che il cambiamento

Alef- Bet (in tre versi)

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Kof  di Sergio Daniele Donati   Al Maestro e all'Allievo, all'infinito e a ciò che principia alla corteccia dell'eucalipto e alla bacca sacra del ginepro. Alef Davanti a me, infinito silenzio; sino alla prima parola. Bet Sia benedetta ogni dimora e le sue parole. Ghimel La forza di quella domanda creò spirali centrifughe dentro casa; un silenzio felice. Dalet Ti si chiede di svanire e sostenere il povero dietro la porta del sogno He Un intervallo di quinta giusta tra il Silenzio del Creato e il brusio della Vita Vav Ti prego ascolta ora il canto: "e fu – sarà". Zain E tacere del bello che dimora sulla lama del coltello. Het Lo chiederà a te il cambiamento, e tu sorridi a chi non ha coraggio, né un passo bambino verso la Porta di Fuoco Tet Di nove argille si compone il creato. L'ultima sigla il patto e dona i ritmi alle danze delle donne, d'estate. Iod Sono piccole e sottili e strette. Fiamme d'ambra nei sogni dei nostri figli. Kaf  Prende, trattiene

Masticare mestizie

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Foto di Sergio Daniele Donati Masticare mestizie e, malgrado la manna, maledire il miele che mai manca a mescolar memoria d'un antica storia. Masticar mestizie e, malgrado la manna, raccogliere in cielo una voce mite, e mormorare lemme la musica e il nome di quella nenia amica.

Il Sacro Vento (Ruach – רוּחַ)

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  T'han chiamato spirito, soffio, ispirazione divina. Ma sei vento e plani indifferente sui nostri volti d'acqua. S'increspa allora la nostra espressione; sappiamo che il tuo dire separa e divide e crea ciò che noi - bambini - vorremmo ancora unito. Tu, plani indifferente e poi suturi e ricuci, ma per farlo rendi evidenti le ferite sulle quali noi - bambini - chiudiamo lo sguardo. Chi non s'incanta per la maestria dei tuoi gesti? Chi mai parla della fatica dell'onda per durare quell'eterno suo istante di vita?

Dialoghi poetici coi Maestri 15. - Gaio Valerio Catullo

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Gaio Valerio Catullo - dipinto romano (particolare) Odi et amo Odi et amo.  Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. da "Attis (Carmen LXIII)" di Gaio Valerio Catullo Odio e amo Odio e amo. Forse mi chiedi come lo faccia. Non lo so, ma lo sento accadere e ne resto inchiodato. trad. libera di Sergio Daniele Donati _________ In croce Destra e sinistra,  sacro e profano, son fissati  con chiodi di ferro alla stessa croce ignorante, e non resta che ridere della goccia di sangue che cade a terra. Sergio Daniele Donati - Inedito 2021

Tav (in tre versi)

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Foto di Sergio Daniele Donati Viene per ultimo il soffio d'un silenzio senza fine; il velo che copre ogni nostro tremore.

Esseni - un inedito di Paola Deplano

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  Paola Deplano - Ritratto Il Maestro Pitagora ci disse: “Adorate, fratelli nella luce, il Signore, il Numero, il Silenzio.” Kroton lontana non aveva senso gente triste uccideva per danaro mentre il saggio padre, nel silenzio, ci spalancava il senso della vita. “Chi conversa con gli Angeli lo sa: il corpo è solo un’abitudine, scivoleremo presto in altro luogo.” Il Gatto ai nostri piedi strinse gli occhi. (Paola Deplano - Inedito 2021)

Parole e Vita (Oblivion - Final)

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Oblivion di Sergio Daniele Donati Succede, lo so. Trasformiamo spesso la vita in letteratura,  e in segni grafici le nostre voragini e abissi.  E ci si accontenta; come se a quell'apnea  potesse donare ossigeno  un ammasso di lemmi scomposti. Dichiarando l'esistenza del nostro malessere, ne prendiamo distanza,  e ci illudiamo che la parola,  perché detta,  non sia più viscera. Ma la parola viaggia lenta su binari che dovrebbero essere sacri.  La parola trasforma, lo sai, e impone alla schiena  la verticalità perduta.  È una maestra inesorabile; sale sul dorso del puledro che scalpita per non essere montato, e lo rende mansueto con speroni d'argento. La vita non è materiale per letteratura e la scrittura è decifrazione; non via di fuga. Scrittura però è vita, è vero,  quando rinuncia a ogni impulso e seduzione, se si pone come barriera tra il distacco e il nostro desiderio di non vedere.  Scrittura è disinfettante  che brucia pelli ferite per guarirle dal taglio

Shin (in tre versi)

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Shin di Sergio Daniele Donati Non chiedermi dei fuochi al tramonto, sul monte. Chiediti perché non canto mentre ascolto i crepitii della vita.

Con una lingua piana (Oblivion)

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Disegno di Francesca Rocco Le nascondevi veloce le tue intenzioni dietro occhi felini; era il gioco della seduzione per me inutile e vana; 'ché io ero satellite - e tu pianeta fertile - già tempo prima  del nostro incontro. Ti chiedi ora perché sia  così difficile per me  lasciar andare, ma se togli la luna alla terra  - scusami il linguaggio piano - chi mai poserà più il suo sguardo sognante sullo spettacolo delle maree?

Bisogna lasciarlo parlare (il Sacro)

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Bisogna lasciarlo parlare, come un sussurro, un bisbiglio piano, senza vette, né incagli; come se non fosse lì, per te come se non fosse lì, come se non fosse. Bisogna lasciarlo parlare nel canto d'un ubriaco di notte,  o i passi strascicati d'un uomo stanco all'alba di un giorno indesiderato. Bisogna lasciarlo parlare tra i denti caduchi d'un anziano, sotto le unghie sporche di terra, tra i piatti sporchi di bagordi, dimenticati sul tavolo. Bisogna lasciarlo parlare mentre accendi una sigaretta e ti rifiuti di cantare la filastrocca del domani e volgi l'ascolto al suono del silenzio sovrano. Bisogna lasciarlo parlare e dire dell'impossibile, della veemenza della pausa, dello strappo del corno d'ariete, della voce roca che continua a dire "luce" prima che luce sia al mondo su cui è ormai scesa  la palpebra pesante dell'oblio. Bisogna lasciarlo parlare per dire dell'origine, della sorgente, delle acque sotterranee, e del cielo che ride, mos

Non rifiutare l'ascolto (Oblivion)

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  Foto di Francesca Woodman Lo sai, fu il ricordo d'un passato crudele  a impedirti d'ascoltare quel suono, e fu il profumo della calla  che ti porgevo a non farti sentir degna  d'un espressione di candore. È stata la tua mancanza  di veli e tessuti, il tuo mostrare ferite nude a far barcollare  il mio passo senza pretese. Era un passo ignorante, hai ragione,  erano inciampi su inciampi ma d'un uomo ancora puro.  «Non può essere per me,»  dicevi, «perché per me non è mai stato prima » .  "Vorrei poterlo dire," pensavo, "perché per me non è mai stato prima". Avevo un fiume nel petto che chiedeva solo di scorrere. Chiedeva solo  il tuo ascolto, non di essere accolto.  E poi, quel tuo sguardo perso, perché ti coprivi il volto? Il fiore che ti fu dato  era molto più delicato  delle tue più grandi fragilità. Chiedeva solo il tuo silenzio e un piccolo sorriso. Vero, non tutti i fiori vanno colti,  né ogni offerta dev'essere accettata. Ma si poteva dire

Resh (in tre versi)

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  La Quercia - di Sergio Daniele Donati Sono sacre le cortecce del principio del ritorno, del ricordo del futuro.

Dove sta la ragione? (Oblivion)

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Foto di Sergio Daniele Donati Avevi ragione tu. Io vengo da un mondo piccolo abitato da esseri strani e in quel luogo ho imparato a respirare. Tu sei destinata ad altro, a matite rosse e regole da seguire  fino a scorticarsi la pelle. Tu sei luce e io penombra, io boscaglia e tu mare.  Il nostro incontro, avevi ragione tu, - se solo avessimo solo avuto un buon traduttore, un editor dei nostri cuori - fu cosa, come dicevi,  da  ridimensionare. Ma nel mio mondo piccolo righelli e compassi, squadre e goniometri  sono strumenti sovrani. Ho misurato come un geometra ciò che, almeno a me, accadde; fu ben più grande della cornetta in cui  cercasti di stiparlo.   Lo contiene però un atomo di speranza quando chiudo gli occhi e ringrazio d'aver potuto amare.

Dialoghi poetici coi Maestri 14. - Natan Zach

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Nathan Zach - foto di repertorio Non scordarti di chiudere la finestra prima di uscire non scordarti di chiudere la porta a chiave non scordarti di baciare tua moglie sulla bocca e sull’orecchio non scordarti di dondolare la piccola culla senza spaventare il bambino. Non scordarti la torcia elettrica e portati dietro le batterie. Tu sai quando parti ma non quando tornerai. Forse tornando la finestra sarà chiusa e la porta di casa chiusa a chiave, tua moglie non distinguerà i tuoi passi e tuo figlio non saprà più chi sei. Attento, o tu che parti per terre lontane, non metterti in cammino se intendi tornare. (Natan Zach, tratto da "Poeti israeliani" - Einaudi, 2007, trad. it. Ariel Rathaus) ___________ Dietro la porta, prima del tuo viaggio sorrisi, racconti e grida di bambini. Sul muro il ragno, immobile proietta ombre di medusa. Mentre indossi i sandali che hai comprato al mercato il ragno si sposta sul muro. Dietro la porta, all'inizio del tuo viaggio volti stretti e