A mio figlio
A mio figlio Gabriel,
al bimbo che fu
«Bianca la luce, papà, bianca»,
dicevi con voce bambina,
mentre la stanza si riempiva
di striature ocra e indaco.
E non sapevi ancora
che quel tuo dire infante
era promessa dura da mantenere,
non la semplice constatazione
della discesa del sacro
nel tuo mondo di allora.
Restai afono e commosso
ad ascoltare il suono
di quella tua intuizione lontana,
che aveva il metro preciso
e inesorabile di una scrittura
antica e lenta.
Ricordo ancora il nostro scambio
di sguardi di allora
e la dolce armonia
di una sospensione del tempo
nello spazio da te circoscritto
con quel tuo timbro cristallino.
Ora però è l'ora del tuo ritorno
e forse, se ti volgi a quel ricordo,
non sarà difficile per te riconoscere
in quella tua promessa
la benedizione da te ricevuta
dal dio burlone che allora risiedeva
nel tuo sorriso
mezzo sdentato e ironico.
Ora è l'ora che anche io torni
e mi sieda accanto a te a contare
le gocce di bianco che si espandono
sul grigio delle nostre esistenze.
Sarà una conta al contrario,
dall'infinito all'uno,
e poi dall'uno all'infinito,
e i nostri sguardi,
ancora una volta persi,
sarà il segno umido e caldo
di un perdono ricevuto.
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Testo inedito 2025
di scrittura spontanea
di Sergio Daniele Donati
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