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Visualizzazione dei post con l'etichetta Stanze

Stanze della piccolezza

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Non chiedermi della natura del granello di sabbia; sai bene che scivola caldo tra le pieghe della mano per tornare - unico e invisibile - nella spiaggia del nascondimento. È questa la sua natura, e forse anche la mia. Odori di mandorla e cuoio nella stanza degli inchiostri; il mio volto si fa stretto all'ascolto del silenzio statico. Nel luogo della tacitazione mi faccio piccolo; un orecchio vedente sul piano inclinato dell'infinito. Mi celo di nuovo tra rotoli di pergamena, troppo nobili per contenere il mio nome. Il tuo, come sempre, resta non pronunciato in eterno. Eppure ho visto vibrare corpi musicali e archi al richiamo dell'alto, mentre da terra saliva il flusso senza tempo di una densa tradizione. La discesa del femminile su corpi segnati dal tempo è pioggia d'ambra. Il resto - se resta qualcosa - è solo rinascita. _______ Testo e foto di Sergio Daniele Donati ©

Stanze del Sacro (Breviter)

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Al filo bianco delle speranze  restavi appeso. Dolce l'apnea - tenue silenzio. Ali di falco sfioran i volti. Molle paura di poter prender il primo volo. Quel cantar lento - ininterrotto - del mio bambino crea speranze; e tu respiri. Dicevi "volo" - parlavi piano; pianta di neve in occhi gialli troppo infantili Franano sassi neri, con nomi e tu m'osservi chiudere gli occhi per veder meglio. ______ Foto e testo - inedito 2023 - di Sergio Daniele Donati

Stanze d'ospedale (quando il cuore urla, si confessa)

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LA NOTTE Eppure srotola qui - di notte - la sua armonia, lo strascicar di ciabatte, il cigolio della gruccia dell'ossigeno, l'assolo dell'anziano che chiama ” mamma ” - e il silenzio di velo che ne accarezza lo strazio. L'attesa - d'un giorno d'attesa - è qui narrazione solenne. Adesso, a occhi chiusi, la notte la puoi ascoltare. ALL'IMPROVVISO T'assale poi mesi dopo improvviso un pianto ché in camera c'era una voce  un urlo sgraziato tra l'extrasistole del mio cuore e mi diceva:  conta, contale tutte le separazioni della tua vita, le lacerazioni e gli abbandoni e i pugni ricevuti e quelli dati. Conta, contali tutti gli occhi sofferti di chi ti chiedeva "guardami" mentre tu sapevi solo tenere in equilibrio instabile lo sguardo vitreo sul tuo vuoto centrale. E io le contavo, una a una, e davo loro un nome perché nel rivederle il cuore,  sentinella stanca, non cedeva agli abusi  d'una memoria stuprata a colpi d

Stanze del "piccolo male"

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Ho smesso d'indicare al mondo vie da me mai percorse e mi sono seduto  su una panchina arresa  ad ammirare piccioni  ed esseri umani becchettare ai miei piedi briciole e detti di speranza. La discesa nell'Ade della parola si fa in silenzio, il volto coperto d'un vello rosso e le mani in guaine di pelli selvatiche  ad evitare ustioni. Le cime degli alberi, a volte, si piegavano a coprire la memoria e versi di gracchi lontani risvegliavano lacrime d'argilla sui miei volti immobili. Era il momento dell'oblio; dell'oblò appannato su un abisso sotterraneo ove pesci senza vita producevano scariche elettriche di conoscenza ancestrale. Mi teneva la mano mia mamma, durante quelle mie assenze, quando infante guardavo il vuoto incapace di ritorno. Mi teneva la mano e - ora lo so - piangeva mentre mio padre di là nella stanza dell'angoscia si dondolava lento e opponeva il corpo  al timore della mia - della nostra - follia. Nessuno sa - ma io so -  delle grid

Stanze della lacrima del bello

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Suoni che mutano nell'istante dell'incontro. La discesa sacra  del femminile rende  cauta la mia attesa e un tuono di silenzio dà cadenza ai passi e all'armonia del sottosuolo. Ho atteso eoni la tua venuta e il mio cambiamento - si forgiava allora come flauto silvestre.  Tu non guardare i miei zoccoli, osserva come abbasso  lo sguardo se t'avvicini alla mia malcelata timidezza. D'autunno si forgiano le intenzioni dei giovani amanti e sui muschi su cui si deposita il sidro sacro del loro desiderio resta una traccia di latte la danza della rinnovata stagione del verde amore dei boschi. In alto, sotto la pianta dei nostri piedi siamo alberi sacri per miriadi di formiche mirabolanti che scambiano per radici i nostri inciampi silvani. Ci dicono angeli solo perché volgiamo la schiena  a un passato indicibile e ci copre di rimpianto un vello di lino mal tessuto le cui tinte ocra, però, sono vestigia d'un rappo

Stanze della parola contratta

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Stento a dire mio quel tratto di penna. M'appartiene il polso -  e anche il fiato. Ma quel lemma scomposto - quel taglio beffardo sull'albume del foglio - che tacita ogni mio dire canta con voci straniere ai miei midolli semiti. Poi, lo sai,  finiamo coll'ospitare nelle rughe delle mani parole altrui - malsane - per non dirci capaci del volo che c'appartiene. Finiamo coll'opporre un silenzio di palude al sacro che abita le nostre pure intenzioni, perché incapaci d'una risata che sgretoli lo stigma sulla nostra pelle bambina. E ci incantano la notte voci sublimi di sonno - che il sogno poi nega - e la loro lettura  al mattino confonde; perché sotto all'omero candido del nostro oblio si nasconde un verso sovrano, una "voce di tenebra azzurra" ¹, un sospiro silvano, un tatuaggio sull'ebano d'un guerriero africano. Tu chiedi il gesto io oppongo il suono; non resta che un passaggio  stretto - alla parola - per divenire besciamella di significato

Stanze della lentezza

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Una sorta di condensa di vapore cola dalla finestra  delle mie illusioni scomposte; un richiamo all'inverno del pensiero, alla letargia delle intenzioni. O forse è il miele del fiore dell'incanto a render cauta la mia palpebra nell'attesa senza tempo della stagione del nocciòlo. E poi sta qui - tra i cuscini d'un divano sfatto -  l'indicibile mistero color indaco d'un movimento subitaneo, di un'allerta dal futuro. Benché lento, il passaggio sul crinale s'ha da fare e il cambiamento - tanto sognato - è nei passi incerti d'un figlio adolescente. Per questo il flusso rallenta nei giorni spersi dell'ascolto e le voci mie e tue e sue intonano cori da noi indipendenti come cicale tra i rami d'un platano. Foto e testo (inedito 2022) di Sergio Daniele Donati ©

Stanze d'Abruzzo

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Il bello che emerge bussa insistente su tempie arrugginite e incita ad aprire un portone  di legno antico,  troppo a lungo serrato. Ne estrae resine e gocce d'ambra e apre uno spiraglio nella stanza - s'inonda di luci prismatiche, colori tenui, portatori d'un messaggio unico e inesorabile: il bello, dimenticato, mette radici profonde anche in chi vuole dimenticare. La luce scalda tenue e costante come candela il palmo delle mani e scioglie l'animo indurito di chi ha trovato difesa nel proclamare ciò che non vive. Tacita un dire, troppo a lungo abusato, e accorda al silenzio un'intenzione pura. Il bello è un ventre materno che protegge in una gestazione lenta una parola nuova. e fa esplodere in midolli  rinvigoriti petardi sorridenti d'intuizioni ridenti e puerili. Il bello è un sarto sapiente che cuce con fili di lino e canapa la parola alla parola, il silenzio al silenzio, e richiama da terra  mulinell

Stanze della Pietra di Annalisa Mercurio

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Immagine di Annalisa Mercurio Parlerò di pietre prone d’altre supine, e di passi incuranti che ne calpestano schiene e volti. Immagine di Annalisa Mercurio Di fughe sghembe – loro, nostre – che attendono un tocco di labbra all’ombra di bestiari e florilegi Immagine di Annalisa Mercurio Carezzo crepe di pietre. Fossero rughe – tue – ti proietterei al tocco in spicchi di cielo tra rosoni scolpiti nelle iridi – mie –aprendoti la visuale sull’eterna pazienza dei leoni al portale. Immagine da web D’umili chianche conserviamo petali odorosi di terra e ferri corrosi da silenzi animali Immagine di Annalisa Mercurio Fossimo noi, pietra, saremmo in attesa di cambi di luna dove tutto il cielo scorre tra rapaci, e rassegnati demoni. Foto di Bressaï (Gyula Halász) Testo di Annalisa Mercurio Inedito 2022