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Polittico del nascondimento

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(...) tutto questo per non dire quanto fertile sia il terreno dell'inadeguatezza, per non aprire al mondo la ferita del nascondimento, per non parlare senza sosta del desiderio d'essere accolti (...) Accompagna la memoria una lieve brezza  un profumo acido  d'adolescenza ribelle;  pesa l'incapacità mia  di dirmi diverso dall'assenza che ha devastato - prima che imparassi l'uso della spada - il mondo di sogno; dei miei sogni più acerbi. Lascia ch'esploda la bellezza della penombra, nella decadenza  del tuo autunno. E poi taci; non farti maschera ma coriandolo,  non gesto, ma gestazione. Vivi nascosto  e non piangere sul lathe biosas versato. Allora è certo, affascina l'Antico ma la rovina testimonia la balbuzie del futuro; l'incanto del passato è morso di tarantola  ed è l'incauto inciampo  di bambino a sorreggere il mondo. Alla fine di questa corsa io resto a guardia - samurai dalla sp

Polittico della diserzione

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Lo sai, diserto la luce e mescolo dall'ombra - in lingua antica - deserto e parola e scorgo lontani i fuochi di tribù non coltivate all'ascolto. Là soltanto si tinge  il mio sangue  d'un richiamo straniero. Canti davanti al pozzo il tuo desiderio, Moabita; la parola è deserto. Ti ascolto di lontano come si ascolta il grido del falco mentre scompone  l'unità del cielo in tangram improbabili. Coltivo il grano  e mi nutro di carruba; il dattero resta un ossimoro, un miraggio silenzioso nel deserto della parola.  Il tuo canto è miele,  la mia mano forata; una caverna da cui soffiano libecci color ocra d'un desiderio antico  d'unione.  Il resto tace, scolora ogni luce tutto torna al suono  poi lento al silenzio; anche il nostro eterno gioco di creature silvane davanti alle rocce  della bellezza senza nome d'uno sguardo furtivo. Testo (inedito 2022) e foto di Sergio Daniele Donati   ©