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Visualizzazione dei post da aprile, 2022

Steppenwolf (divertissement)

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Vi prego, mia Dama, non badate ai miei piedi rozzi e al passo da montanaro  che porto in una così fine danza. La discesa dalle stelle solitarie e fredde alle braci dei vostri occhi è stata troppo veloce e, se odoro di cometa, non dovete temere. Io qui voglio farmi pianeta - anzi satellite - e voi, che ora ridete per le mie strane parole, astro benevolo.  Insegnatemi a danzare  le danze della seduzione che d'essere il naufrago del firmamento non ho più forza.  E quel sorriso che vedo aprirsi nel vostro volto di luna già mi parla del vostro progetto di conversione di un Steppenwolf ¹ in uomo, col mio assenso. ¹ dal tedesco «lupo della steppa», è il titolo di famoso romanzo di Hermann Hesse

Un sogno

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È una sorta di reflusso represso una voce di pietre e licheni un miagolio di notte un'assenza d'azione, senza interpuzioni né verbo osservare dei tronchi nei boschi la sola corteccia, la voce di quel sogno ricorrente. Nebbie e muschi e un ruscello sotto un cielo color indaco e un gorgoglio indistinto che sussurra: « non hai ascoltato abbastanza; non è qui la risposta» . E non si scosta il mio sguardo immobile dalla corteccia bianca della betulla, ché forse a me piace soltanto porre domande inutili a chi non sa rispondere. Sergio Daniele Donati - inedito 2022

(Redazione) - Dissolvenze - 06 - Chewing Punk

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A cura di Arianna Bonino Ho cercato sul mio vocabolario etimologico – sempre a portata di mano – la voce “punk”, ma non l’ho trovata e allora ho ripiegato su “punch” che però, essendo, come ricordo dai tempi della nonna - che oltretutto lo chiamava “punch” con la “u” – essendo, dicevamo, una bevanda preparata con acqua bollente, rhum o altro liquore, zucchero e scorza di limone – la nonna lo faceva col Mandarinetto Isolabella e lo serviva in quei terribili bicchierini di vetro con manico in ferro, di una scomodità crudele - essendo il punch, dicevamo tale torturante pozione, a differenza del termine “punk”, la cui etimologia al momento rimane ignota, il “punch” affonda invece le sue origini linguistiche nel “puncho”, che compare, a quanto pare, per la prima volta come “ponchio” nel 1745, a sua volta rifacendosi all’inglese che lo sfodera già nel 1632, avendolo mutuato e tramutato in britannico dall’hindi pā ñc , che poi è un numero e quindi indica con onesta franchezza che servono cin

"La immaginavo tonda"

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  "La immaginavo tonda  da bambina la vita", avvocato, " tonda e felice". Io ascoltavo e avrei voluto accendermi una sigaretta, ma non si poteva, perché certi racconti ti riempiono di fumo gli occhi e non serve fingere un distacco che non riesci ad avere.  "Le infanzie rovinate, le infanzie rovinate"  ripeteva la mia mente mentre la donna continuava il suo racconto.  "Ora ho paura di tutto e quel mostro, anche se l'abbiamo reso innocuo, mi ha rovinato il cerchio " . E vorrei dirle di farsi aiutare, che esistono associazioni alle quali posso introdurla per superare il trauma.  Ma ha lo sguardo fisso, vitreo, senza vita, di chi non trova più senso in nessuna parola di conforto.  E poi quali parole, Avv. Donati? Quelle che ti si strozzano in gola insieme al ricordo di un bambino che urlava di notte per la paura del buio, in una casa di periferia dove tutto sapeva di un dolore non detto dai sei milioni di nomi? Quali parole? Quelle che riconoscon

Resh

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  Foto di Sergio Daniele Donati Arriva ventesima una lettera fatta di resine e cortecce, le cui radici di fuoco rendono braci vitali i segni della decomposizione. Ti china la schiena, in ossequio allo sguardo, che lento si fa ampio e percepisce l'immensità d'un orizzonte in continuo movimento. Ogni principio vitale  dimora nell'etica della trasmissione e ogni inizio contempla un sigillo, poco più là; a permettere un nuovo ciclo. Arriva ventesima quella lettera perché solo chi ha conosciuto  la fallacia dei richiami degli altari e sconfessato idoli e maschere di cera trova in quell'orizzonte lontano i primi segni della diluizione  del suo nome nel coro delle voci delle stelle. È una lettera che si bisbiglia di notte perché il principio del sogno ci raddrizzi al mattino la schiena, sull'asse etico di una mano che, aprendosi, mostra il palmo.

Due poeti allo specchio (Annalisa Mercurio e Sergio Daniele Donati)

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  STASI È come un walzer il ritmo della stasi degli oggetti. Un tempo per osservare, un tempo per dirsi altrove, un tempo per tornare. Una penna appoggiata al tavolo è ciò che ha scritto, ciò che non ha scritto, ciò che scriverà. Così la nostra esistenza tiene quel ritmo calmo, che nemmeno l'affanno, nemmeno il sigillo alla madre che ti guarda di lontano, riesce a coprire. La vita è sempre in tre tempi; e ciò che è stato, e ciò che è, e ciò che sarà di un uomo che più scrive e meno comprende; di un uomo che meno comprende e più scrive. SERGIO DANIELE DONATI - INEDITO 2022 Possiamo ancora giocare e spostando oggetti decidere dove far cadere il battere e il levare. Possiamo cambiare partiture muovendo l’ordine e il peso delle cose, cambiandone le sequenze le vedremo sotto nuova luce. Muterà la percezione delle ombre e delle onde nello spazio che rimane. Metteremo accenti, pause, cambieremo strumenti e chiavi; affinché il ritmo lento di ciò che eravamo, di ciò che siamo e sarem

Stanze dell'ovvio

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Come vuoi che reagisca  un corpo rifiutato se non nella fuga; lontano da sé;  possibilmente nella nebbia? E come vuoi che agisca un corpo accolto nell'abbraccio se non nella cura della mano che lo scioglie? Sul biliardo rotola senza rumore la boccia rossa; è verde, sul tappeto, il mio sguardo maturo sulla geometria dei sentimenti. Mi chiedi perché indosso la Kippah ¹ solo la sera, prima di dormire. Un qualche velo antico dovrà pur proteggermi dall'irruenza dei miei sogni e permettermi il ritorno. Mente e corpo non sono mai disgiunti, se non, forse, quando la mente dimentica che il corpo è la sua antica dimora. La primavera affascina  e spaventa per la sua prepotenza, cancella coi primi soli la fatica invernale  del radicamento. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 Foto di Sergio Daniele Donati ¹ Kippah: tipico copricapo ebraico

Dialoghi poetici coi Maestri - 37. Francesco Scarabicchi

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Da quel giorno Da quel giorno ogni giorno con te parlo, ma che dialogo muto, che silenzio dalla parte da cui non viene il vento. Tratto da Francesco Scarabicchi - Il prato bianco Einaudi editore (2017) Potrei declinare, Francesco,  in tutte le lingue conosciute ogni lemma che si è disperso  e diluito nel soffio di quel dialogo evanescente. L'assenza, lo sai, è la più ciarlona delle presenze; raramente tace per lasciare spazio al sospiro; allo spettacolo del presente. Non è più il silenzio  il mio problema; al contrario, è dirsi vinti da un nemico ectoplasmatico che mi sussurra parole di seduzione e poi svanisce, ridendo della mia incredula espressione. Tu sei il Maestro, Francesco e reciti in pochi versi i vocabolari della mia sofferenza. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 ____ NDR: Potrete trovare un altro dialogo poetico con Francesco Scarabicchi a questo  link

Il bruco

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È sempre un dilemma, una domanda mal posta la cui risposta, però, contiene la bava del vero - il vero è un bruco, non lo sapevate? e lascia bave collose sulle foglie dei nostri sogni. Restare riflessi, dicevo, o diventare astri, è la domanda di cui il bruco ride la sua vera risata verde. Sergio Daniele Donati (inedito 2022) Foto di Noelle Ozwald

Alcune poesie edite di Adriana Valabrega

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  dalla raccolta Acrobata sul filo del tempo 2009 Muta la parola scritta senza suono biblica lettera eco di aviti rotoli nell’Arca. Armonia di spazi vuoti e silenzi intesi pause fra fitte note suoni alti rotti memoria di foglietti nascosti sotto le pietre chiare del muro del pianto. Fra simbolismi rovesciati il sole batte nell’ondeggiare di vesti nere. Rondine dal petto bianco. Dalla raccolta Giochi d’acqua, 2019 Poesia 30 Silenzio arabescato D’ortica e vento Il salice è d’argento, Slitta sui sogni Di rami piangenti. Il muro sotto il cielo È immerso Nel silenzio Di vetro. Tra le pietre Del tempio antico Si leva il grido Di chi si volta indietro A cercare il suo destino. Translucido il vento Nei cieli lattei e deserti, La volta celeste Appanna La luce solare, Elastico miele selvatico Lo stormire allegro Di alberi e foglie Libertà un passaggio In mezzo al mare. Poesia 24 Nel giardino dei melograni Consacrati alla forza Dell’innamoramento, Il vento è puro. Come l’acqua, una carezza Preme

(Redazione) Riflessioni, non recensioni - 06 - Su MadMen (La serie perfetta. Non pazzia ma visione, iconicità)

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A cura di Stefania Lombardi Non ci sono solo i film iconici su cui fare le proprie riflessioni. Credo che possa esserci anche tutto il mondo sommerso delle serie televisive. E, anche se la perfezione non è di questo mondo (e per fortuna), c’è una serie che mi sono permessa di definire perfetta: parte benissimo e termina in modo superlativo. Sto parlando della serie MadMen che iniziò nel 2007 e ha accompagnato i propri telespettatori per ben 7 stagioni fino al 2015. La serie comincia negli anni ’60 fino a giungere al 1971. Assieme ai protagonisti assistiamo a una società in rapido divenire, compresi, ad esempio, anche abbigliamento e acconciature. Vediamo tutto il cinismo di una società che, dimentica delle relazioni umane, scarta tutte le persone che non riescono più a essere produttive, senza alcuna memoria per quello che sono state e che sono. Nella serie si toccano molti temi, dagli stipendi molto più bassi per le donne, dall’alcolismo (più o meno velato) dei protagonisti, ai vari t