Il terzo Alef - Bet (completo)

 


ALEF

Ho compreso che mi guardi e taci;
e attendi il mio primo vagito
per posare la tua mano di madre sul mio volto.
Ho compreso che il tuo Silenzio
è spazio lasciato al vento messaggero
per comunicare il nuovo mondo.
Là avrò posto
e il mio nome,
che ancora tu non pronunci,
navigherà nel flusso
di chi mi ha preceduto.
Alef, madre eterna,
con occhi di giada
e sorriso evanescente.


BET
Porto sulle spalle una domanda che china la testa.
Mi dici di andare per tornare diverso; ma la tua voce si perde nel mondo incontaminato dai miei passi.
Tu vuoi che io crei lontano dai tuoi infissi.
Mi giro, li guardo e ne rimpiango gli spifferi.
Erano la lingua dei tuoi silenzi, il canto prenatale d'un grembo accudente.
Porto sulle spalle una domanda che china la testa per varcare la tua soglia, che odora d'antico e tace del vento che mi spinge lontano.

GHIMEL

Un passo incerto,
oltre la soglia del pensiero,
manifestava l'universo
di parole che non sapevamo
ancora articolare.
Prima era Silenzio,
e un focolare tiepido
accoglieva i nostri vagiti;
come resine sui muri.
Fu quando il nostro respiro
divenne consapevole
-e non più condiviso-
che attraversammo il deserto.
Certo, fu un addio
ma ci sosteneva la stessa sabbia;
la stessa consapevolezza
dell'impossibilità del ritorno
alle resine,
ormai divenute ambra,
d'una casa in rovina.


DALET

Aprimi i pori della pelle
perch'io possa accogliere
tutte le voci del mondo
e riesca a distillare
risolini infantili
da grida e strazi.
Insegnami la difficile arte
della riconoscenza,
prima ch'io nasca
a un mondo sordo
e troppo intatto
per dirsi vero.

HE
Stiamo tutti fermi
a osservar la soglia
a farci cogliere dallo stupore
d'un vento lontano.
Pochi però sanno o dicono
del dolore d'ogni narrazione
dello strappo e dell'abbandono,
del timore che crea un viaggio
se non ne sai immaginare
la possibilità di ritorno.
Per questo resto ancora un poco
nel luogo protetto e apro la finestra.
Che il presente e l'altrove
si mescolino sulla mia fronte
a formare speranza

VAV
In cielo volavano rondini dai versi acidi; suoni che chiamavano forte a sè la potenza del “lontano”.
A me sembravano scomporre un cielo di carta velina azzurra in coriandoli leggeri.
Sotto il loro volo sapiente, stava il mio sguardo bambino.
“Vedi Sergio,” mi disse papà, “le rondini cuciono i lembi del cielo perché diventi una coperta per i nostri sogni”.
Capii allora che non esiste lacerazione possibile, finché tra me l'altro un paziente e anziano sarto saprà cucire rammendi argentati.
Fu un sogno.
Le rondini, i coriandoli e la voce di un padre capace di parlare di sogni, fu solo un sogno
Capisco ora che quello stesso sarto anziano conserva i suoi fili migliori per lo strappo, che a volte ci lacera le viscere, tra i nostri desideri di completezza e la voragine dei nostri bisogni; insoddisfatti.
Quell'anziano sarto tesse un arazzo e chi lo osserva con sguardo critico scuote la testa per il filo scomposto che pare uscire dall'ordito.
Il sarto a sua volta ne sorride.
Sa bene che nulla deve essere lasciato completo al mondo e che l'imperfezione è la bilancia del creato.


ZAIN
Poi una voce,
un monito potente:
« Vai lontano,
verso te stesso,
ché non c'è luogo
più lontano di "te stesso"
nel Silenzio ».

Io stavo là,
con la "voce-dentro",
nel travaso del dolore.
«Padre,» chiesi, «perché tradisci
il destino di tuo figlio?»
Abbassava lo sguardo
mentre mi ferivo il torace,
pugnale alla mano.
Un monito al monito:
«Le ferite dei padri
sono numeri tatuati
sulla pelle dei figli»

HET

Mi commuove
la tenacia del sogno,
il suo volo radente
che spezza ragnatele
e smuove polveri
da una realtà perdente
e incapace di costruire
da sola il futuro.
Mi commuove
l'ostinazione del bimbo
quando urla "è mio"
di ciò che, se non gli appartiene,
è per una deviazione del senso.
Spiega tu a quel bimbo
- mentre io mi commuovo -
che il dono di suo padre
appartiene a ogni figlio
e sostieni, se ci riesci,
l'etichetta di follia
che il suo sguardo,
senza parola,
pone sui tuoi volti.
Mi commuove la cocciutaggine
del vecchio, a pochi giorni
dalla sua morte,
mentre mi sussurra all'orecchio
le formule che trasformano
ciò che la vita gli ha negato
in insegnamento per chi resta.
Tutto questo mi commuove
e mi gela la parola
mentre osservo
la forza bruta del sogno
farsi strada
tra denti ingialliti
e menti inesperte.
In cielo l'ottava lettera, la Heth,
ride delle mie lacrime commosse
e avvolge di suoni di lira
le mani di un uomo
innamorato dell'Uomo.

TET

Entrare in un mondo altro
- quello che ci portiamo dentro
urla, come un cagnolino
il suo desiderio
d'essere portato a passeggio -
è un passo lento.
Il saggio sa cosa lascia
e memorizza i passi di ritorno
per non perdersi
nella selva delle seduzioni.
Io, che saggio non sono,
ricordo che quando
cercai di varcare, incosciente,
per la prima volta
quella soglia
fui fermato dalla mano salda
del mio Maestro.
Sì perdevano in un ricordo salato
e umido i suoi occhi
mentre mi diceva:
Non ancora Sergio, non sei pronto.


IOD

Se guardo negli occhi un bambino
si scioglie in un istante
La mia resistenza al futuro.

KAF
Eppure qualcosa protegge
e avvolge e vibra.
Qualcosa ci alza lo sguardo
e ci fa recitare lenti
l'elenco dei doni.
Una membrana sottile
di luce
protegge ogni creazione
dalla mano che cancella,
la dolce penombra
dall'abbaglio.

LAMED (SEGNI)

È là il segno antico, il più antico.
Quello che mette in movimento
serenità nascoste
- coperte dall'incertezza del vivere -
gli stupori di passi infantili
in montagna
- e guarda il merlo
e il fischio della marmotta
e dietro il tronco della quercia
ho sentito cantare un elfo -
È là dicevo la carezza del Maestro,
il sorriso che non retrocede
al vento freddo in faccia;
lo sguardo che sa
- che tutto sa -
dell'imperfezione del mondo
e si china a spostare
foglie morte
dal sentiero degli allievi.
"Vai", ti dice,
"vai all'incontro con te stesso;
apri le mani e ricevi
e poi canta;
non dimenticare il canto
e trasforma".
E tu vai e lui resta,
guardia delle tue spalle,
solo, a contare i passi
che spera che tu faccia;
i passi che allora
non ebbe il coraggio di fare,
e si segna il viso
col fango sul ciglio
perché resti segno
- almeno sui suoi volti -
dei limiti del suo insegnamento.


MEM

È Re e Angelo fedele
- al centro di ogni verità -
un richiamo acqueo,
un invito ad adattarsi a ogni forma
prima del falso gioco
del radicamento.
Furono separate per prime le acque
e distillate le intenzioni.
Restò all'uomo un dubbio,
ma che importa?
Era la prima alba.

NUN

Senza merito, né onta
ciò che cade risale
se sa trattenere tra le mani,
prima che si sbuccino,
polveri di significato.
Là su quella pietra levigata
ho battuto il capo
e rossi sono ora i licheni
che dimorano nelle sue crepe.
Si corica al mio fianco una lettera antica:
nun
e mi ricorda di dimenticare
la ragione della mia risalita.

SAMECH

Null'altro da dire: esistono voci lontane
e proteggono e custodiscono
la parola ancora inespressa
di una voce bambina.
La prima parola d'un infante
è un sibilo di accoglimento
di un percorso infinito.


AYIN

Mi chiedi cosa sia una visione
e dove si debba poggiare lo sguardo
quando un vento freddo scivola
sui pori della pelle?
Sull'orizzonte sotto i nostri piedi, rispondo.
E quando il vento si placa,
verso la luce lontana
di stelle già morte.

PEI

Un dente deve cadere per passare dalla negazione
del creato al suo abbraccio.
La parola si deve far chiara
per permettere l'infinita interpretazione,
eppure, già lo dissi,
il mio maestro era balbuziente
e sorrideva tra i suoi denti ingialliti
al compito sacro della trasmissione.

TZADE

E non c'è giusto fuori dalla testimonianza.
Né l'etica si poggia su un'intuizione afona.
Il Giusto raddrizza la schiena prima di parlare
e torna curvo nel silenzio.
Chi lo ascolta raddrizza la schiena
di fronte alla sua voce
e torna curvo nel bisbiglio ininterrotto
dentro la sua mente.
KOF

Esiste una saggezza della follia
che il saggio ignora.
Troppo difficile l'ascolto del diverso
quando ti indica la via d'uscita
dai tuoi abissi.
Eppure la bellezza risiede
nel saper trarre lingue nuove
dall'ascolto dell'irrazionale.
Non chiedere al sacro
di percorrere vie ordinarie
per farsi ascoltare.
Il sacro parla la lingua balbuziente dell'inciampo
e, nel farlo, ti indica la tua stessa zoppia
e poi il balzo verso l'infinito
che solo un corpo claudicante
è in grado di fare.

RESH

Arriva ventesima una lettera
fatta di resine e cortecce,
le cui radici di fuoco
rendono braci vitali
i segni della decomposizione.
Ti china la schiena,
in ossequio allo sguardo,
che lento si fa ampio
e percepisce l'immensità
d'un orizzonte in continuo movimento.
Ogni principio vitale
dimora nell'etica della trasmissione
e ogni inizio contempla un sigillo,
poco più là;
a permettere un nuovo ciclo.
Arriva ventesima quella lettera
perché solo chi ha conosciuto
la fallacia dei richiami
degli altari e sconfessato
idoli e maschere di cera
trova in quell'orizzonte lontano
i primi segni della diluizione
del suo nome
nel coro delle voci delle stelle.
È una lettera che si bisbiglia di notte
perché il principio del sogno
ci raddrizzi al mattino la schiena,
sull'asse etico di una mano
che, aprendosi, mostra il palmo.

SHIN (LO SPIRAGLIO)

Non basta l'abbaglio, la scintilla,
occorre uno spiraglio, un fuoco trigemino
sostenuto da un braciere antico
perchè la palpebra si alzi infine
ad accettar il Vero.
Prima del sigillo la visione completa di sè,
senza incagli, nuda.
Shin è la prima carezza ricevuta
da una mano paterna;
il primo sorriso di madre
per i rigurgiti del suo neonato.
Ci vogliono tre fuochi per dirsi completi,
tre fiamme, tre crepitii
su frequenze diverse,
che compongono l'armonia
del sigillo che verrà
a chiusura di un ciclo di consapevole cammino.

TAV

La chiave che chiude un ciclo
non è la stessa
che apre il nuovo;
anche se la porta d'entrata
è la medesima.
La ceralacca va spezzata
per aprire la lettera
e ogni sigillo è il segno
d'una possibile elevazione.
Infine - e non va mai dimenticato -
le dita d'un bambino
contengono la stessa saggezza
dei calli dell'anziano.
Ed è ininterrotto il canto
della trasmissione










Foto e testi di Sergio Daniele Donati
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