Tre poesie di Gabriella Cinti, tratte dalla raccolta "Prima" (Puntacapo ed., 2024), con nota di lettura di Sergio Daniele Donati
Esiste un luogo, o forse dovrei dire un tempo, in cui poesia, natura, terminologia del dominio scientifico, mito e simbolo si scambiano sguardi di seduzione reciproca. Sono territori preziosi e in gran parte inesplorati in cui chi legge è sospinto da un vento di comunione. Su quelle praterie del dire poetico i neologismi ossimoricamente richiamano all'antico, come in un gioco musicale dal netto profumo contrappuntistico. Ed è là, tra quei declivi, che l'armonia dei contrasti si manifesta con una pienezza che si avvicina alle pennellate di un maestro rinascimentale. Il simbolo, per questo gioco sapienziale della versificazione, prende ogni sua sfumatura attorno ad un nucleo centrale di significanti, allo stesso tempo emergenti ed evanescenti. Per chi legge trovarsi in quelle lande significa vivere una profonda esperienza di trasformazione della parola in corpo e del corpo in parola e ci si ritrova a dirsi nuovi nel "déjà-vu", arricchiti da nuove striature di un se