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Tre poesie di Gabriella Cinti, tratte dalla raccolta "Prima" (Puntacapo ed., 2024), con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  Esiste un luogo, o forse dovrei dire un tempo,   in cui poesia, natura, terminologia del dominio scientifico, mito e simbolo si scambiano sguardi di seduzione reciproca. Sono territori preziosi e in gran parte inesplorati in cui chi legge è sospinto da un vento di comunione. Su quelle praterie del dire poetico i neologismi ossimoricamente richiamano all'antico, come in un gioco musicale dal netto profumo contrappuntistico. Ed è là, tra quei declivi, che l'armonia dei contrasti si manifesta con una pienezza che si avvicina alle pennellate di un maestro rinascimentale.  Il simbolo, per questo gioco sapienziale della versificazione, prende ogni sua sfumatura attorno ad un nucleo centrale di significanti, allo stesso tempo emergenti ed evanescenti. Per chi legge trovarsi in quelle lande significa vivere una profonda esperienza di trasformazione della parola in corpo e del corpo in parola e ci si ritrova a dirsi nuovi nel "déjà-vu", arricchiti da nuove striature di un se

(Redazione) - La "parola seducente" di Gianpaolo G. Mastropasqua - nota di lettura di Sergio Daniele Donati a "Danze d'amore e di duende" (Puntoacapo ed., 2023)

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Gianpaolo G. Mastropasqua (foto tratta dal web) Quando la mia penna si tacita per dei mesi di fronte a un'opera che in tanti, e giustamente, si affrettano a commentare, non me ne voglia l'autore (o l'autrice). I miei sono sempre tempi lenti di rielaborazione, e soprattutto so che le parole, come la nostra prole, hanno bisogno di un luogo protetto e di cura prima che possano essere lanciate nel mondo. Questo per me è ancor più vero per la parola che commenta la Parola.  È necessaria una sorta di elevazione per proferir commento su ciò che si reputa eccelso e, quindi, i tempi di una lallazione scomposta, non certo degna di pubblicazione, si dilatano.  I motivi del mio silenzio di fronte a ciò che reclamerebbe, e ad ottimo titolo,  commento possono dunque derivare anche proprio dalle linee di scrittura e dall'ammirato stupore che in me, lettore, suscitano. È una sorta di rispetto-allievo il mio, di respiro corto di fronte a un dire che ritengo maestro , che mi impedisce di

A proposito de "La tera coverta" (La terra coperta) di Carlo Rettore (Puntoacapo ed, 2023)

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Prima ancora di essere dialogo - o forse per poterlo diventare - la poesia è incontro. E ogni incontro, come sosteneva Freud, nasce come un primigenio inciampo disturbante nell'alterità.  L'altro da noi è, primariamente, elemento di disturbo per il piccolo equilibrio instabile che costruiamo attorno a noi stessi, come se fosse uno scudo. L'incontro con l'altro ci obbliga ad uscire da una zona di conforto per riconoscere nell'alterità i semi della nostra stessa identità - non c'è nulla di più rifiutato della conoscenza del proprio Sé - e del nostro possibile viaggio di ritorno in noi stessi .  La poesia, dicevo, ha anche questa spinta inziale - faticata e faticosa - soprattutto perché chi la legge è, in un certo senso, obbligato a lasciare che le altrui parole lo modifichino, che lo spostino da dove pensava, fallacemente, di aver messo radici per esplorare territori nuovi o, quantomeno, dimenticati.  L'incontro con l'altro, quindi, inizialmente è sempre