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L’urlo più lancinante di tutti - un racconto di Antonella Perrotta

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Sono nata piccola, sgusciata fuori tra le tue gambe nel tempo dell’urlo più lancinante di tutti. Non so dove lo prendesti l’ossigeno per quell’urlo, tu, così minuta. Lo raccontava mia nonna, tua madre, che non aveva mai sentito prima una partoriente lanciare un urlo come il tuo. Mi attaccasti al seno di mala voglia, (me lo diceva sempre nonna, tua madre). Poi iniziasti a piangere e il pianto mio si confondeva col tuo, ma non era lo stesso pianto, non credo: io ti cercavo e per questo piangevo; tu volevi che ti stessi lontana e per questo piangevi. Piangemmo entrambe per mesi finché io mi rassegnai e imparai a sorridere mentre tu continuavi a piangere. Avrò scoperto per caso la gioia di un sorriso e avrò pensato che era preferibile al piangere. Mentre tu, di piangere, non potevi più farne a meno. Fu per questo che ti rinchiusero in manicomio, ancora esistevano. Quando i manicomi furono chiusi, ti lasciarono andare. Tornasti a casa che avevo già otto anni, e neanche mi guardasti. Forse n...

Donna - Eppure #2 (microracconto)

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  Foto di Sara Groblechner su Unsplash "Eppure questo dialogo con un'assenza eterna nella mia mente non ha mai fine. Mi spezza il respiro al risveglio e mi accompagna la notte nel sogno.  E mi fingo fragile per nascondere la mia forza e poi guerriera per poter celare al mondo le mie crepe. Cammino con un sorriso che ammalia lungo le sponde della vita ma quella voce - quella voce - non tace e mi chiede un ascolto che non posso darle senza la presenza di chi qui non è più."    Questo pensava mentre i suoi passi, ritmati dal colpo secco sull'asfalto di un tacco basso , sembravano celare danze di Tango dietro lacrime inespresse.  "Il mare, il mare sì, potrebbe accogliere quella voce ed ascoltarla e darle pace e risposta, non io.  La mia vita: un susseguirsi di battaglie e risurrezioni, la tenacia del morso che non molla il polpaccio, non sa donare risposta, ma pianti.  Il mare, il mare sì, potrebbe depositare sulla rena conchiglie rare e darmi pace, per...

Uomo - Eppure #1 (microracconto)

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  Foto di Sara Groblechner su Unsplash "Eppure ci deve essere un luogo dove la mia anima possa trovare riposo; o forse un tempo in cui non subisca la chiamata di un eterno e incolmabile vuoto".   Questo pensava mentre i suoi passi, sempre troppo lenti per lo sguardo indifferente del mondo, si avvicinavano a quella meta da lui solo conosciuta. "Il mare, il mare sì, potrebbe accogliere i miei pensieri e diluirli in rifugi per il paguro. Ho visto troppo, ho vissuto troppo, ho colto troppo poco insegnamento dalle mie visioni e, a conti fatti, ho perso l'occasione di dirmi vivo...troppe volte".   Era l'incessante suo  giocare con le parole; la trappola in cui si era rinchiuso sin da piccolo per non vedere, per non vedere la smorfia che dava il suo riflesso negli occhi altrui. Si fermò davanti alla distesa d'acqua, guardò l'orizzonte, suo eterno compagno di meditazioni, contò tre respiri profondi, di quei respiri che paiono poter contenere smisurate ga...

(Redazione) - Specchi e labirinti - 29 - Arrivederci (un racconto)

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  di Paola Deplano Agosto. Guido veloce, nella strada dritta che costeggia il mare, alle due del pomeriggio. Devi prendere l'aereo e, come al solito, hai fatto tardi. Sei bellissima. Dai finestrini aperti entra l'aria infuocata che ti sconvolge i capelli. Non ti piace l'aria condizionata, come non piace a me, quindi finestrini aperti in una macchina che sfreccia verso l'aeroporto. Canti a squarciagola sopra l'ultimo di Gianna Nannini che mi hai regalato per il mio compleanno. Piace a te, non a me. Pazienza.  A caval donato... Lo ascolto solo quando in macchina ci sei tu, per farti piacere. Vorrei dirti tante cose, ma sto zitto. Mi mancherai. Non ci siamo mai separati. Io vivo per te. Ti volti e mi sorridi. Come somigli a tua madre. Ce ne sono state altre, ma nessuna come lei. Nessuna coi suoi occhi e il suo sorriso. Cioè: i tuoi occhi, il tuo sorriso. Avevi dieci anni quando un uomo brutto col camice le disse: - Lei ha un tumore. Le restano sei mesi. - Calmo, tranq...

(Redazione) - Specchi e labirinti - 27 - Cuore Leggero

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  di Paola Deplano «Hai una pronuncia pessima.» Avevo detto una parola in inglese, alla cena di fine anno tra colleghi - e lui mi aveva corretta così,  davanti a tutti: « Hai una pronuncia pessima. » Proprio questo aveva detto, me lo ricordo ancora,  anche se non brucia più: « Hai una pronuncia pessima. » Mi stava facendo pagare il fatto che lo avevo COSTRETTO ad uscire con i MIEI amici. Degli altri ricordo, a questo punto, il silenzio imbarazzato, gli sguardi nei piatti. Di te ricordo gli occhi dispiaciuti per me - e su di me. Dopo qualche bicchiere di troppo, prese di mira anche te. Non direttamente, per carità, ma si capiva  benissimo a chi fosse rivolta la violenta filippica contro i terroni che rubano il lavoro agli altri. Vani  furono i tentativi di farlo stare zitto, non solo miei.  A scuola ti volevamo - ti vogliamo - tutti bene.  Solo tu non parlasti, come se la cosa non ti riguardasse, come se tu fossi nato a Bolzano da genitori finlandesi, n...

El me Milan - ricordi di un Nature Boy

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Era, è e sarà sempre così. Perché quando il ricordo piega, e senti un'odore d'asfalto grigio nei pori della pelle so che lei, al me Milan, mi parla.  E abbasso gli occhi, perché non ho risolto nulla e, forse, non c'era nulla da risolvere, se non la tirannia di un racconto.  E metto le mani in tasca, come allora facevo in quelle, bucate, del mio Montgomery col cammello con i bottoni in osso.  Era stato un regalo di papà, forse troppo largo, perché ero piccolo e magro; ma tanto "che male fa? poi ci cresce dentro".  E io ci sono cresciuto dentro e dentro ci sono cresciute le mie paure e quelle strane sensazioni adolescenti tra le costole, in una Milano che d'inverno sapeva d'umidità e d'estate, invece...d'umidità ancora.  Ci sono cresciuto dentro camminando per le strade e contando i tombini del Giambellino, con una calamita in tasca, perché a volte c'erano delle monetine da recuperare, per comprarci poi la spuma al bar, un posto dove papà mi dice...

(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "Ho incontrato il Golem" - un racconto (forse!) di Sergio Daniele Donati

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  di Sergio Daniele Donati “ Ho l’impressione di ripartire da zero, di dover ricominciare un percorso che credevo concluso ”. Questo pensava Max Baruch con la penna in mano e il foglio bianco come un lenzuolo davanti a sé. “ So che questi appunti mi serviranno come materiale grezzo per alcune mie future scritture e che questo non è altro che un momento di rivalutazione. Eppure la sensazione profonda di fallimento mi accompagna. La parola mi è diventata nemica, e così anche il silenzio. Ho creato in questi anni un’enorme dinamica attorno alla scrittura, ma non è altro che fango incapace di riempire di una sola goccia d’olio sacro la voragine che occupa il mio centro ”. Erano pensieri tetri, melmosi e ossessivi quelli che prendevano corpo – un corpo di gigante – nella mente dell’anziano scrittore. E la notte – sua antica amante – riempiva ora i suoi pensieri di dubbi e incertezze. “ Scrivo ormai solo per stendere lenimenti inefficaci sugli orli di una ferita ancora in suppurazione e,...

De profundis (una scrittura in onore di Vladimr Lubarov e Arvo Part)

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  Opera di Vladimir Lubarov Ci sono stato a lungo davanti a quello specchio che pareva riprodurre all'infinito una nenia di memoria, terzine di suoni che erano balzi - avanti e indietro, per poi tornare, chissà dove.  Chissà dove? E ho tenuto a lungo lo sguardo fisso sulla candela sullo scrittoio alla ricerca dell'anima nera e nobile che sostiene ogni nostra tremula speranza.  Nero all'interno, bianco in mezzo, azzurro fuori, queste sono le alchimie di una fragile fiamma.    Ma tu non c'eri, né mi accompagnava la tua voce, non più. Allora mi sono rivolto ai semidei che abitano la mia libreria e ho cercato parole, lemmi di conforto. Ma le lettere si mescolavano come sotto uno sguardo fortemente dislessico e componevano continui nonsense in lingue arcane e sconosciute. Una sola aveva contorni di fuoco: una Alef, muta e regale.  Mi guardava dentro le iridi senza cercare nulla, o forse cercando il nulla che le abitava.  Fu allora che una goccia d'ambra mi ...

Non ho barato... (un racconto di Maria Gabriella Cianciulli)

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  Non erano maschere di carnevale quelle che di tanto in tanto Umberto Sati vedeva alzando lo sguardo al televisore nell’angolo della sala d’attesa del poliambulatorio dove si era recato per un consulto specialistico, poiché da tempo accusava forti crampi allo stomaco. L’infermiera, sopraffatta da un colpo di tosse, gesticolò per qualche secondo indicando il corridoio a sinistra pregandolo di raggiungere la sala ecografica, il verdetto fu inequivocabile: " Signor Umberto lei ha una calcolosi in atto, dovrà togliere questa cistifellea al più presto ", tuonò il dottor Mauro Collante.  Si portò fuori al balcone per una boccata d’aria con la sua mole di uomo nerboruto, ossidato dal lavoro di tranviere svolto in Brianza per 40 anni. Gli occhi cerulei guizzarono sul viso tondo incorniciato da una capigliatura rossiccia e scompigliata, inevitabilmente come sempre gli capitava si velarono di un leggero torpore per via del dolore addominale; rientrando in sala d’attesa lo sguardo andò...

LA TARANTOLA (UN RACCONTO DI LUANA MINATO - già apparso nell’antologia “Schegge e frammenti”, Terra d’ulivi edizioni, 2019)

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Il racconto La Tarantola  che qui si presenta  è già stato pubblicato nell’antologia “Schegge e frammenti”,  Terra d’ulivi edizioni , 2019,   curata da Elio Scarciglia LA TARANTOLA Mattia Contini non amava i ragni e non li amava per un timore irrazionale, una paura infantile che riusciva a esorcizzare soltanto quando ne catturava uno e lo vedeva imbalsamato.  Lo prendeva cautamente con un piccolo retino, facendo attenzione a lasciarlo intatto, poi lo rovesciava in un vasetto di vetro ben sigillato e quando era sicuro che l'animale fosse morto, lo ”imbalsamava“ con un metodo che aveva appreso consultando i forum entomologi.  Solo in questo modo riusciva a tranquillizzarsi e a scacciare quell'idea assurda che gli veniva tutte le volte che ne vedeva uno, cioè di immaginare di essere lui la preda invischiata nei fili insidiosi della ragnatela e finire divorato nelle fauci di una aracnide a otto zampe.  Con gli anni aveva collezionato diversi esemplar...