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Visualizzazione dei post da 2019

Amare amarene amare

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    Ispirato a "Structure in Emotion"  - A vishai Cohen   (album Lyla) Amare amarene amare  davanti al mare  e, con lo sguardo fisso,  remare, remare,  remare nel re mare.  Amo su lenza tesa,  amare le amarene amare,  e amare l'amore  che strappa  da bruni rovi  more more.  Come scure  che taglia,  amare le more,  primizie d'amore,  nella tempesta che  il re mare  pesta  nel mortaio dell'amore.  E, controcorrente,  remare, remare nel re mare,  mentre lasci  che l'ascia  dell'amore  fenda e spezzi  rovi ed arbusti secchi  di more more.  Amore folle d'amarene  amare.  

Silvestre

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Ispirato a  Ludwig van Beethoven -  Piano Concerto No.3 in c-moll, Op.37 - II. Largo Goccia, e poi goccia,  nota con nota,  passo su passo,  intoniamo leggeri  i nostri verdi canti silvani.  E ci attarda la sera,  tra fuochi diafani,  un gioco antico tra i Volti  di un Dio ironico  che mai si sottrae al nostro incontro  dal passato del suo cielo, stellato.  E se, di lontano, l'assiolo  lancia i suoi monotòni,  rispondiamo ilari  col suono dei nostri flauti.  Poi giunge l'ora  che mai ci spaura.  E chiudiamo gli occhi,  e seminiamo nel silenzio  di muschi e ghiande e fronde antiche  la poesia lontana  del nostro comune sogno.  E ride lieto il nostro Dio  dal futuro del suo firmamento.  Posa la sua mano senza tempo  sulle nuche fertili dei nostri figli.  E sigilla nel presente  il patto che da sempre  fa confluire i tre fiumi del Tempo  nello stesso mare.

Sorriso

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"Sì" , mi disse commosso, "sono stato capace di farlo" . Gli sorrisi, come si sorride al primo impacciato passo di un figlio. "E le ho anche detto che il mio amore sarà eterno" . Fu solo un lampo quell'ombra che si impadronì dei miei pensieri. Poi fu di nuovo un sorriso al primo passo impacciato di un figlio.

Distratto

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La foglia sulla quale  posai il mio piede  apparteneva ad una ben rara pianta,  sconosciuta per lo più  agli asfalti milanesi. Ma la mia limpida via  era ormai segnata,  troppo dritta e chiara per poter percepire la lieve altura  che quella foglia avrebbe potuto rappresentare nel mio cammino. Le posai sopra il piede e continuai a camminare,  distratto!

Oggi descrivo

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Oggi non scrivo. De-scrivo Stasera il pub, come tutti i sabati sera, è colmo di umanità.  Mi ci sono ritrovato, solo, per un imprevisto bidone di un amico. E ho osservato per due lunghe ore la vita manifestarsi. Ho deciso di non scrivere ma di descrivere. E c'era la tavolata di ragazze con un unico amico gay. Indovinate chi fra loro mi guardava mentre io li osservavo. No, oggi non scrivo su quel tavolo, sennò ne viene fuori la Recherche due. E c'era la cameriera stanca che nel prendermi l'ordine mi diceva: "Sergio non ce la faccio più" . Ed io, che oggi descrivo e non scrivo, ho dovuto tagliarmi la mano per non costruire un romanzo su quella piccola frase. E c'era il macho, capelli raccolti con un piccolo chignon alla samurai giapponese, che però non beveva Sakè, ma lemonsoda. E via, taglio l'altra mano per non scrivere un romanzo sul nostro bisogno di apparire ciò che non siamo. E c'era la gnocca dell'est che mi gua

Ho previsto tutto

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Ho previsto tutto.  Il lume di candela, la penna, il foglio bianco ed il volto di Glenn che mi guarda dalla copertina del cd, sornione, pregandomi silenziosamente di dar inizio ai suoi​ canti.  Sì, perché Gould canta,  e non solo attraverso il suo piano. Ho previsto tutto, dicevo, perché solo prevedendo tutto si può dar spazio e voce all'imprevedibile.  Pensavo persino, nella mia nevrosi di controllo, di poter prevedere quando  l'imprevedibile si sarebbe manifestato.  " Assurda pretesa.   Adoro troppo il passaggio dal Preludium alla Allemande perché l'imprevedibile non si manifesti proprio allora. L'imprevedibile non può che manifestarsi "nel" silenzio tra i due tempi", dicevo tra me e me.  E invece l'imprevisto imprevedibile mi ha stupito ancora.  Si è manifestato certo tra quei due tempi, nel silenzio che li collega.  Ma, imprevedibilmente, ha scelto di stupirmi nei suoi modi e non nei tempi. E canto mentre scrivo

Meditazione sul treno del ritorno

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L'avvocato si siede felice. Ne ha salvato un altro, a Marcaria, un paese di mille abitanti vicino a Mantova. Chiude gli occhi. Sempre più stanco. Il treno lento culla i suoi pensieri. O sono i suoi pensieri a rallentare il ritmo della locomotiva sulle rotaie? E il ricordo del maresciallo dei Carabinieri che lo aveva ringraziato, stritolandogli la mano, gli strappa un sorriso.  Poi il volto del ragazzo, sfidante ma fragile, che gli chiede se andrà tutto bene. "Certo che andrà bene" , aveva detto. Ma poi cosa mai è il bene per un ragazzo di 16 anni con quel passato famigliare addosso?  L'avvocato non lo sa. E i vecchi al bar che bevono un bianchino e l'avvocato ci entra in contatto quasi fosse un extraterrestre in un Saloon di un film western. Poi si ricorda di suo padre e della Modena che gli vibrava nel cuore e nelle parole. E si ritrova a parlare in modenese coi vecchi, che gli raccontano la loro vita, mentre il cinese titolare del bar sorr

Il treno delle emozioni

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Il treno va, e porta l'avvocato stanco verso quell'interrogatorio in quei di Mantova. Lento, va il treno regionale, come lenti sono i pensieri dell'avvocato. Ed ogni casa che incrocia è un pensiero, un ricordo dei propri errori, come in sequenza. I "dovevo dire", i "dovevo tacere", i "dovevo fare", i "dovevo astenermi dal fare", professionali e non, scorrono inesorabili nella mente dell'avvocato, stanco.  Ognuno come una piccola puntura su una pelle troppo sensibile, troppo sensibile. Ed è come ripercorrere tutta la propria vita, costellata di inciampi, cadute, risalite, ricadute, progetti, sogni realizzati e racconti rimasti nel cassetto. Il treno va e l'avvocato stanco pensa al suo assistito, alla lista dei suoi errori, per quella giovane età, già troppo lunga. Il treno va e taglia lento campagne, paesini fatti di rotaie e quattro abitanti, e poi ancora campagne e case sperdute che allungano la lista del

Nella penombra

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Per paura dello sciopero e di far tardi, sono arrivato tre quarti d'ora in anticipo nel luogo dove tengo i miei corsi di meditazione.  Tutto è silenzio e buio. Non mi va di accendere le luci, non ancora. Chiudo gli occhi e, per un istante, cerco di fare entrare il silenzio e la penombra nelle ultime tracce di questa mia caotica giornata.  Un senso tutto questo affanno lo avrà?  Un senso, magari sottile, delicato, sfuggente, deve averlo questo mio desiderio di non lasciar morire la voce del mio maestro, di passare ad altri il testimone che fu passato a me.  E ho bisogno di Silenzio anche solo per porre la domanda a me stesso, per non permettere al bimbo piccolino e pigro che mi abita di accontentarsi di risposte preconfezionate e stantie. Perché insegno? Che cosa insegno ogni giovedì e nei miei seminari? Quali voci mi abitano quando parlo ai miei allievi? Quali semi cerco di seminare nel loro più che fertile terreno?  Oh sì, potrei dirvi del piacere del pass

L'ombra Lunga

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Camminando verso il Tribunale dei Minori, febbre alticcia, noto che il sole alle mie spalle proietta sul marciapiede un'ombra lunghissima, diafana, quasi onirica.  Di quelle ombre che, se non trovano ostacoli, possono allungarsi per chilometri sul marciapiede.  Sugli ostacoli, invece, quelle ombre si inerpicano, ci si aggrappano e lì si fissano, diventando più definite e a fuoco.  E se l'ostacolo è una persona che cammina verso di te, l'ombra ride.  Sì perché quella persona sembra restituirtela. "Tieni, ti è caduta per terra. È tua no?". " E certo che è mia", vorrei dire, "sono 53 anni che cerco di liberarmene e tu me la restituisci così, con un sorriso, come se mi facessi cosa gradita. " Ma poi io taccio, la persona incontrata tace,  persino l'ombra tace. Perché lo sappiamo tutti e tre.  Di un'ombra ti puoi dimenticare temporaneamente, ma non puoi perderla per sempre, se non vuoi perdere te stesso. All

Et vous êtes passée

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"Et vous êtes passée Demoiselle inconnue À deux doigts d'être nue. Sous le lin qui dansait" (J .Brel) Non lo dico io; lo dice Jaques Brel nella più lirica delle sue canzoni. Io invece sono un pover'uomo. Un essere banale davvero che ha avuto nella vita il massimo punto di elevazione (e di bassezza) nell'aver capito profondamente quanta ruvidità possa portare ai nostri piedi il fragile e delicato esercizio della "danza su fili di lino". Io sono una pietruzza banale del gretto di un fiume impetuoso che ha avuto come massima elevazione (e punto di bassezza) l'aver saputo dire ai diamanti, zaffiri, perle e giade che ha incontrato un bisbigliato: "Eccomi qui. Ci sono". Io sono il più umile degli allievi davanti al più grande dei maestri.  Un figlio poi, e prima, che ha avuto la massima elevazione (e punto di bassezza) nell'aver saputo dire "Basta, io da ora faccio da padre a me stesso" , propri

Arruffami

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Foto di Trini Schultz Oh sì,  arruffami i capelli che persi,  le idee sulle quali inciampai,  i cieli ove lanciai le mie prime lettere,  e poi confondimi i lemmi, le radici, le punteggiature,  e, te ne prego, fammi ancora rotolare,  ridente e per nulla risentito,  nei tuoi chiasmi, nei tuoi ossimori, nelle tue iperboli,  senza dimenticare per favore, di indicarmi la via delle tue metafore,  delle tue similitudini, dei tuoi paradossi, metonimie, e, ti supplico canta. Cantami ancora la nenia antica che per prima mi illuse,  che ancora mi illude, nelle "sere della memoria", prima che l'assiolo lanci i suoi vocalizzi mistici, e che la voce del ruscello  in cui immersi piedini di bimbo  mi ricordi che è ora che io vada.

Sinal Fechado (Chico Buarque)

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Hai voglia a dire “smetto di credere nell'amore”. Ciò che cade a terra, lo so bene, a volte non si rialza più. Viene soffiato via dal vento, come i resti di un giornale bruciato per strada, per gioco. Ciò che cade (credi che lo ignori?) fa il rumore sordo di un cranio sull'asfalto. Uno “stump” cui non segue più alito né respiro. Ciò che cade sul freddo glaciale di uno strappo imprevisto ha il suono del...no anzi non ha suono. Un grido muto lanciato verso orecchie sorde. Hai voglia a dirmi di aiutarti a smettere di amare, amico mio. Come se non conoscessi ancora il desiderio di dire basta, di sprangare la porta dietro ogni speranza. Come se... Ma a me hanno dato ali, amico mio. Spezzate più volte dalle tempeste della vita, certo, ma ancora capaci di volo. Allora mi stendo a terra. Mi faccio cuscino morbido sotto la tua caduta. Crollami pure addosso. Spezzati pure in fratture scomposte, incrinami le vertebre nella caduta. Ma il tuo cranio non toccherà l'a

Elezione

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Terra Arata di Joan Miro (dettaglio) Ascoltando l'Andante sostenuto quasi adagio del Piano Concerto No. 1 in re maggiore op. 17  di Camille Saint-Saens  Se potessi piegarmi, Fedro, rinunciando ad ogni orgoglio, credimi, lo farei. Ma tu sei suono d'archi potenti fatti di lettere, Fedro. Io, sono invece incapace di celare significati arcani quando il tuo aratro solca le mie argille indurite dal gelo. Se potessi inchinarmi, Fedro, davanti alla superiore statura delle tue note ripetute, credimi, lo farei.  Ma tu sei intervalli di seconda, di settima, fatti di lemmi antichi come il cielo prima della separazione. Distonie.   Io invece sono pece. Pece nera, balbuziente, claudicante. Incurante di ogni valore, io vago, Fedro. Io vago ed estendo senza pudore i significati di quelle parole che tu ami gettare a terra nell'elezione di una diversa Qualità. Io raccolgo cocci, Fedro, i tuoi, su un terreno aspro, le nocche delle mani scorticate e sanguinanti. Sono incap

La casa dei sogni (ascoltando le 7 toccate di J. S. Bach eseguite da Glenn Gould)

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Disegno della piccola immensa Ruth Marie (11 anni) Hai ragione Glenn. Dovrei ricordarmelo più spesso.  Le tempeste sono sempre e solo esterne e lasciano rivoli sulla nostra pelle che, certo, invecchia.  Il vento, poi , Glenn, ci soffia sui pensieri e tardiamo sempre di qualche secondo l'istante del nostro ritorno.  Tardiamo e tradiamo l'istante, anagrammi noi stessi delle poche lettere che sappiamo mescolare.  Per questo il nostro stesso nome ci sfugge.  Eppure Glenn, tu lo sai bene, esiste sempre una possibilità di suonare uno staccato, riempiendo i silenzi tra le note delle nostre intenzioni di balzare.  Uno staccato per oltrepassare lo steccato dei nostri turbamenti.  Il mio nome è Fedro, Glenn. Il mio nome è Fedro.  E lancio sguardi dietro lo steccato dal giorno del mio primo respiro, là dove si cela la casa dei sogni. Un albero antico, un ruscello limpido dove posare le nostre fatiche.  E sono piedi nudi sul muschio morbido. E pennellate infan

Mi piace

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Mi piace  pesare la penna, prima della parola, tener sospeso lo strumento, prima degli aliti del lettore, incidere segni su un foglio bianco, prima che nel suo cuore,  Mi piace il gesto quasi pianistico dello scrivere al computer, prima di ogni significato, il corpo e la forma delle lettere, prima del loro suono.  Mi piace pensare e pesare la scrittura, come si pesa e pensa ad una pietra che, più che da scagliare lontano, sia da posare con pudico gesto, su una tomba ebraica, in simbolo eterno di trasmissione.

La geometria dell'amore

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Foto di Noelle Ozwald C'è una geometria dell'amore i cui equilibri poggiano su teoremi così sottili da sembrare abbandonati ai venti del Caso. Esiste poi un'algebra dell'abbandono le cui logiche sembrano scritte in codici indecifrabili. Eppure l'artista, quello vero, sa trasmettere nel caos apparente la Legge che lo governa, e nella Babele della parola il Silenzio che, tacendo, esprime. Quei pochi artisti che parlano la lingua che sento mia, senza saperla però pronunciare, giocano come Maestri tra luce ed ombre, tra l'orizzontalità delle nostre pulsioni e la verticalità dei nostri aneliti. E parlano al cuore, al mio cuore, in modo geometrico, ricordandomi che esiste una Via che sa muoversi con la delicatezza fragile del petalo al di sopra del mio vissuto. Di fronte alle loro opere io, inarrestabile "bavarde", menestrello senza liuto, dismetto il mio canto sgraziato. Perché dove parla la Legge, che tutto governa, non ho parola da

L'amore, dicevi...

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Foto di Noelle Ozwald L'amore, dicevi: è il goniometro  della mia anima. Traccia con precisione  assordante  linee sugli angoli  più riposti delle mie speranze; è la squadra dei miei pensieri. Disegna con minuzia  d'amanuense  e passo di danza i poligoni dei miei abissi. Io tacevo e tacevo  e tacevo, ancora; perché per me amore  è sfera, e rotola giocoso e incurante sulle tracce  di un passato silvestre, perché per me amore è un nome  senza rima, e indicibile e scava solchi  su un terreno  argilloso, e impone note diafane  ai canti miei, antichi; perché per me amore  sono ciglia e sguardi ritrosi e timidi su una terra che trema, e sotto il cielo  che abbaglia.

Ricordi?

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Foto di Noelle Ozwald Ricordi? C'è stato un tempo in cui la linea dei nostri due destini s'è piegata sulle note di un canto comune. Osserva.  Quel tempo che parve per un istante eterno traccia segni fluorescenti nella stanza azzurra.  Ascolta. È ora ch'io vada per non far più ritorno,  che la goccia di pioggia sui nostri volti ceda il passo al raggio di luna,  che il celeste dei nostri intonaci trasudi perle scarlatte da me non colte. Passo di petalo, il primo, il mio, per non fare ritorno.

Take my hand (ispirata a “Insensatez” di Antonio Carlos Jobim)

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Antonio Carlos Jobim Battono e levano, ormai nel sogno,  i balzi del cuore  un ritmo sincopato.  Peso di foglia, di piuma,  son nel muschio umido del ritiro  parole ritrose.  Irrorano semi celati  anche all'occhio del cercatore  più avido.  Eppure le mani fremono;  mani vissute, piccole,  scorticate.  Incapaci di trovare tasca,  implorano il ritorno  di ciò che mai fu  E saltella, svolazza e plana  su acque evanescenti  l'anima di chi spera. 

Il pugile (ispirata a: Gioco d'azzardo di Paolo Conte)

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Schiva, schiva, para, schiva e colpisci.  Montante basso, para, schiva, schiva ancora. E saltella, danza, cambia guardia, resta al centro del ring, attacca, danza ancora. Diretto, gancio, diretto. Alza la guardia, esci dalle corde, schiva. Colpisci ora. Colpisci...ora. E nella testa quel ritornello, piazzato sotto l'arcata sopraccigliare ormai rotta: “io parlo di me, di me che ho goduto, di me che ho amato e...” Attento, para, ora entra nella sua guardia. Uno, uno, due. Uno. Saltella. Al corpo, al corpo, senza sosta, senza pietà, toglili il fiato. “...e che ho perduto” Gancio, gancio, diretto, gancio. Non fermarti. “Adesso è tardi e dico soltanto...” Cambia guardia ancora, il sudore ti brucia nel sopracciglio. Non importa, mordi, attacca, attacca, non dargli sosta. “...che si trattava d'amore” Diretto, diretto, gancio, montante, diretto. E' a terra. ….sette, otto, nove, dieci “...e non sai quanto”

Lo chiamano cambiamento

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Lo chiamano cambiamento. E fanno bene.  Perché è la parte inferiore del viso a manifestarne per prima la presenza.  Lo chiamano cambiamento e fanno male.  Perché, a furia di chiamarlo, viene nascosto dalle nostre aspettative. Il cambiamento che invochiamo quando non ci stiamo più dentro è fumo negli occhi.  E quello vero, invece, è una preparazione lenta del terreno.  Sono sguardi fissi sul futuro, mani scorticate, nocche dissanguate cercando gemme tra le dure pietre del terreno. E pianti. E silenzi e silenzi ancora. Il cambiamento sono notti insonni passate a pregare un Dio che si cela perché ci dia la forza di poterci definire ancora uomini.  E urla e grida dall'angolo in cui ci troviamo richiusi, perché ci mostri una via d'uscita. E poi un giorno, senza nemmeno rendertene conto, ne sei fuori.  E scendi al bar, e ordini un cappuccio. E la barista ti guarda e ti dice: cos'hai oggi? Sei diverso. E tu la guardi e non sai che dire. Perché dentro ti senti lo s

Mon dernier rayon de soleil ( 7.3.1996 )

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7 marzo 1966 nasce Francesca Nel 1982 io ero un giovane timido, sognatore, come solo un sedicenne fatto col mio stampino può essere. Non amavo giocare a calcio ma guardavo le stelle. E le stelle mi parlavano. Francesca era una creatura solare, gli occhi ridenti e, no, per nulla fuggitivi.  Quando si fissavano nei miei venivo attraversato da onde di emozioni che, se chiudo gli occhi, il mio corpo ancora rimembra. Io avevo lo sguardo sempre posato sull'orizzonte, forse un po' malinconico, ma pieno di speranze per il futuro. E, quando il mio sguardo incrociava quello di Francesca, ne sono certo, lei sentiva un canto antico nelle sue orecchie.  Mi chiamava, un poco per sfottermi con tenera dolcezza, il guerriero delle stelle .  Io ridevo e ridevo e ridevo. Poi tacevo e la guardavo ancora negli occhi. La chiamavo, senza mai dirglielo, brezza marina . Ci tenevamo per mano come solo due sedicenni possono tenersi. Senza parlare. Che altro avremmo potuto dire? Che nome che no

L'incontro

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La passeggiata di Marc Chagall (particolare) No, non credere che io non sappia  che i nostri sguardi furono preparati  dai venti del tempo e dello stupore.  E non pensare che io non possa  legare al Silenzio eterno delle stelle  la gioia dei nostri non detti.  Gioco di bambini, serio,  abbasso lo sguardo al passaggio angelico  del soffio che lega,  E mi copro il volto, pudico.  Perché scarlatta è la traccia nei cieli  e blu, come il mare, la sua evanescenza.  No, non credere che io non sappia  che è meglio che tutto taccia  e si lasci cullare da un pulsare antico  che, messaggero, ci guida  là dove risiede sereno  il battito lieve d'ali di farfalla 

Dormi?

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Marc Chagall -Bacio (particolare) Un uomo tiene  una donna  tra le braccia.  L'ama. Le chiede  in un bisbiglio, all'orecchio: ”Dormi?”  E spera,  che non risponda, e possa infine vedere  i suoi volti  protetti dal Sogno,  dal loro sogno.  Un uomo ricorda,  legandosi alle  dolcezze dell'attimo,  sapendo che è memoria  e dimentica l'amarezza e lo strappo.  Un uomo volta  lo sguardo al cielo,  poi a terra.  Lì, nel mezzo,  tutta la poesia  del suo dolore.

Il maestrino

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C'era qualcosa di calloso e duro nella sua mano,  cui la souplesse del mio passo non seppe mai supplire. Qualcosa di tenace e duro nella sua voce, qualcosa di non invocato, che le mie schivate giovanili mal seppero evitare. Eppure, quando infine mi disse di smettere di parare i colpi della sua spada e di cominciare la danza del fiore, i suoi occhi erano cieli stellati,  la sua voce il soffio che crea e le sue mani, sí le sue mani, strumenti di chirurgica bellezza.  E fu perché seppi assitere a questa trasformazione  che potei dirmi allievo, e mai Maestro.  Mi chiamò però da allora petit maitre, maestrino.  I miei occhi non furono stelle ma lune,  la mia voce un dolce soffio sulle candeline di ricordi d'infanzia, e le mie mani, già le mie mani, divennero allora mani di padre. 

Panim (volti)

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Temo di averli visti tutti, Fedro, i volti di cera rossa che celano al mondo, che pur ti brama, il ghigno che ti muove. Né mi spaura più il tuono del tuo nascondimento tra le foreste fitte del mio pensiero. Non sei più là e io sono altrove, dove dolce dondola l'assenza mia di speranza, infine raggiunta.

Glenn

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J. S. Bach Variazioni Goldberg BWV 988 Variatio 15 Canone Alla Quinta ( esec. Glenn Gould ) Li lasciamo cadere di tasca, Glenn, i soffi, come note sperse, come lettere sfuse. E più il ritmo si fa lento, più diviene lieve l'appoggio sospeso. Come fiocco di neve, cade calando su un pensiero antico, senza far rumore, il Silenzio che crea. Ci chiniamo ancora e ancora per il peso di una piuma, Glenn. Perché sappiamo quanta intenzione sia necessaria per sostenere una leggerezza arcana. E increato è ancora il velo che possa coprire i miei volti quando il mio sguardo si sperde dietro le nenie antiche che mi diedero vita. E irroro territori inesplorati di lacrime di speranza. E il canto tuo è sottile, come il lino che danza al passo di donna che fu. La lama che ricomposi nelle notti stellate del mio desiderio irriso riposa in un fodero di fili d'argento. E il respiro, Glenn, il respiro che allora persi, agita ora le foglie della quercia sotto la quale ricevetti la mia stessa

Il piumone a puntini di Massimo Manduchi

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Pubblicato su concessione di Massimo Manduchi Era una sera di dicembre.  Una di quelle che precedono il Natale, ma già piene di quell'atmosfera che qualcuno ama tanto e che, invece, qualcun altro detesta più di ogni altra cosa. Suonò il campanello di casa.  Era sua moglie con il pacco più grande che lui avesse mai visto. Non era un regalo di Natale, però. Per lei era molto di più di qualsiasi regalo di Natale avesse mai ricevuto. Addirittura più del centrotavola raffigurante due cervi innamorati che sul tavolo del suo salone è in bella mostra da ormai quasi trent'anni. Era il piumone per il letto matrimoniale che era riuscita a ricevere in regalo grazie alla raccolta punti della Conad, grazie al fatto che per più di un anno la sua famiglia si fosse nutrita esclusivamente di prodotti acquistati in quella catena di supermercati e grazie ad un piccolo contributo spese di circa duecento euro. Duecento euro? Lui strabuzzò gli occhi tanto che una pupilla gli cadde i

Tramonto

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Sottili come il filo di lino le mie intuizioni attendono sospese l'éclat du monde per trovare un segno che le possa contenere.

Surreale 2

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Foto di Brassaï Io la vidi una volta, l'anima di donna in rivolta, il volto che si volta, verso un'ipotesi di futuro, e poi tornare alla calma  ormai da quell'intuizione stravolta. E nel sonno di piombo, ogni notte,  invoco le mie più nascoste alleate, lettere antiche e pianti di daino, perché la mia anima dall'oblio di quel ricordo  venga avvolta

Io so che tu sai

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Immagine di Mariana Kalavacheva Io so che tu sai. Per questo abbasso lo sguardo verso una terra che  possa accogliere il mio segreto. E, anche se fingi  indifferenza,  io so  che quel segreto  è per te un dolce tesoro. E il gioco tra i nostri silenzi è forse il più antico,  dolce e divinamente umano che si possa concepire.

Sull'adagio per archi di Samuel Barber (op. 11)

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Foto di George Christakis Io, piccolo uomo,  che da quel nostro sogno comune ho ricavato sopravvivenza e alberi e muschi  e mani carezzevoli immaginate sul tuo viso,  ti dico che so, amore mio.  So che tu vai, lontano,  dove i tuoi passi lenti ti conducono.  E so che non c'è spazio, statua di sale,  per il rimpianto nella tua scelta.  E so che il silenzio che ora mi chiedi è una cerniera sigillata con cera lacca, rossa.  Mi volto allora io, che posso,  verso il mio passato di cherubino, ormai senz'ali.  E invoco, col tono rauco di un flauto spezzato,  un gelo eterno sul mio cuore.  Ma resta accesa in me la fiamma che tutto scioglie.  E io, piccolo uomo, la maledico.  Perché il suo fumo sale lento e storto  perdendosi nelle brume dell'evanescenza.  E non c'è spazio, né tempo, né segno che possa coprire il mare placido della mia nostalgia. 

Potresti appoggiare di Cristina Simoncini

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Foto di Man Ray Pubblicato su concessione di Cristina Simoncini Potresti appoggiare una mano sulla mia testa, contenere l’idea impazzita, il fiotto di rabbia, e lasciare il tuo tempo un momento con me, nel buio improvviso che avanza?