Il treno delle emozioni

Il treno va, e porta l'avvocato stanco verso quell'interrogatorio in quei di Mantova.
Lento, va il treno regionale, come lenti sono i pensieri dell'avvocato. Ed ogni casa che incrocia è un pensiero, un ricordo dei propri errori, come in sequenza.

I "dovevo dire", i "dovevo tacere", i "dovevo fare", i "dovevo astenermi dal fare", professionali e non, scorrono inesorabili nella mente dell'avvocato, stanco. 
Ognuno come una piccola puntura su una pelle troppo sensibile, troppo sensibile.

Ed è come ripercorrere tutta la propria vita, costellata di inciampi, cadute, risalite, ricadute, progetti, sogni realizzati e racconti rimasti nel cassetto.

Il treno va e l'avvocato stanco pensa al suo assistito, alla lista dei suoi errori, per quella giovane età, già troppo lunga.
Il treno va e taglia lento campagne, paesini fatti di rotaie e quattro abitanti, e poi ancora campagne e case sperdute che allungano la lista dell'avvocato e la riempiono di altri ricordi. 
Di quando alzava la spada di legno per le prime volte, di quando andò a comprarla e ci mise tre ore a scegliere tra due diverse.

"Questa è più leggera, questa è più bilanciata, questa è fatta di legno di cedro, quest'altra di olivo".

E poi ricorda la sua prima udienza, l'emozione che lo teneva sveglio di notte, l'ansia di non riuscire e lo sguardo benevolo del giudice davanti ai suoi giovani tentennamenti.

Il treno va e alla lista degli errori, inesorabile, l'avvocato senza pensarci sostituisce quella delle sue primizie.
Il primo bacio, la prima volta che è fu capace di dire "io ti amo" (che non fu la prima volta che amò), la prima volta che il suo corpo entrò nel mistero più dolce che chiamiamo donna, la nascita di suo figlio, il suo primo giorno di scuola, con la cartella più grande di lui e la paura mista ad emozione più grande di una montagna, la sua prima penna stilografica, la prima birra bevuta con gli amici, la prima chiave di una macchina (una ritmo 60 color carta da zucchero) che papà gli lanciò di lontano dicendogli: "è tua".

Chissà che primizie avrà quel ragazzo dai Carabinieri da raccontarsi? Chissà se avrà qualcosa di cui sorridere con nostalgia su un treno quando avrà la mia età?

Il treno va e l'avvocato stanco pensa ai suoi successi, alle sue grandezze, alle difese svolte con perizia e ardore, alla mano sulla spalla di un amico spezzato nel cuore.

"Tu ce la farai", gli diceva l'avvocato, "ce la faremo assieme". 

Pensa a quel ragazzo in pericolo, aggredito da tre bulletti, che ricevette l'aiuto della sua mano pesante di giovane aikidoka. 
Pensa a come le sue mani abbiano tante volte difeso, diviso, risolto conflitti pericolosi per sé e per gli altri. Pensa al grande cuore che ha messo per essere allievo di un maestro inarrivabile, al libro che ha scritto di notte mentre in casa tutto era silenzio e sogno, al suo passaggio di grado di secondo dan che emozionò il suo Maestro, sempre compassato e serafico.

Il treno va e l'avvocato stanco si guarda intorno. 

E la gente intorno lo guarda. E l'avvocato sorride. Alla donna che, agitata, non trova più il biglietto, al bimbo che mangia una merendina, al vecchio immigrato con gli occhi vispi attento a evitare l'arrivo del controllore, alla bellissima ragazza, occhi verdi tirati, da elfo, che d'improvviso gli chiede cosa stia scrivendo.

E l'avvocato ci pensa. La guarda e sorride. E chi non sorride alla bellezza?
"Il racconto della mia vita, ma anche della tua".
La ragazza lo guarda
"Anche io scrivo, sa?".
"E cosa scrivi?"
"La mia sofferenza. Il mio ragazzo è morto di una brutta malattia sei mesi fa".

L'avvocato chiude gli occhi, nel lento treno magico delle sue emozioni. Poi li riapre. La ragazza aspetta che lui parli, ma la parola gli si secca in bocca.
Gli occhi da elfo le si riempiono di lacrime.
L'avvocato vorrebbe posarle una mano su una spalla, ma non si fa con ragazze sconosciute su un treno.
E si chiede "perché succedono a me ste cose? Perché la gente mi racconta con facilità il suo dolore".
Ma poi sente una voce, quella del suo Maestro, dolce come sempre e lievemente nasale dirgli in francese: "Perché qualcuno prima ha ascoltato il tuo".

L'avvocato stanco guarda la ragazza ancora, lei alza lo sguardo nei suoi occhi.
I suoi occhi sono voraci di parole, di consolazione.
"Tu ce la fai", dice l'avvocato e ripete "non sei sola e ce la fai"

E vorrebbe dirle "assieme ce la faremo", ma prima o poi dovrà scendere dal treno e non esiste un "assieme" nel dolore se gli occhi non si incrociano e le spalle con vengono protette da mani amorevoli.
E allora aggiunge.
"Continua a scrivere e a fidarti del mondo e non aver paura di piangere, mai. Queste tue lacrime sono la garanzia del fatto che tu ce la fai".
La ragazza lo ringrazia, si asciuga le lacrime, prende un taccuino e una penna stilografica, tanto simile, per forma e per ciò che sta scrivendo, alla prima dell'avvocato.


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