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Visualizzazione dei post da maggio, 2022

(Redazione) - Breve nota di lettura su alcune poesie di Emanuela Mannino

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La poesia di Emanuela Mannino è poesia della trasformazione (anelata a volte, raggiunta altre) attraverso la via della delicatezza. Il dire della poetessa non è mai acerbo, né tantomeno duro, nemmeno nella descrizione di moti di paura e pianto, quasi ad indicarci sempre all'interno dei movimenti dell'anima un percorso, una via possibile. I versi di Emanuela Mannino sono spesso brevi ma sempre legati, senza salti, con concatenazioni linguistiche e di significato sempre ricche per chi sa abbandonarsi prima al suono della parola che alla ricerca del significato veicolato.  Siamo di fronte a una brevità che disvela l'altro, il non detto, come solo la poesia densa di qualità sa fare.  Nelle poesie tratte dalla silloge " Eppure " (CONTROLUNA ED., 2022), che qui si propongono assieme a tre inediti di Emanuela Mannino, è evidente la capacità simbolica e di uso di elementi naturali per descrivere il sè profondo (in Paura ad esempio troviamo acque, sabbie, piogge che chiama

(Redazione) - Su "Il Petrarca nel III Millennio" - Divergenze ed., 2020 di Valentina Bandiera

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  Per chi ama Francesco Petrarca e la sua descrizione dell'umano il testo di Valentina Bandiera rappresenta una lettura originale e immancabile, non perché su Petrarca non sia siano spesi fiumi d'inchiostro da parte della miglior critica - ne è cosciente l'autrice stessa che in prefazione dichiara il disagio che coglie chi, scrivendo su Petrarca, si deve confrontare coi grandi della critica letteraria italiana e internazionale - ma perché è un testo capace di trasportare il lettore (dal più preparato al meno esperto di letteratura petrarchesca) nella conoscenza di elementi che ai più sfuggono. E soprattutto è un testo capace di mettere in relazione la produzione petrarchesca coi la contemporaneità dei nostri vissuti, non solo poetici.  L'autrice parte dal Secretum   - de secreto conflictu curarum meum -  e dall'analisi della sua struttura dialogica atta, secondo l'autrice, meglio di altre di svelare le ansie interiori del grande poeta aretino.  È molto intere

Un dittico "giapponese" (di Sergio Daniele Donati)

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  Foto di Man Ray Ki-Ai (1) Al tempo delle miriadi  di formiche mirabolanti, un solo grido stirava la propria voce attendendo che la nenia antica trasformasse il proprio ritmo in fragore cristallino. Ero là, pronto ad essere gettato  contro il muro dell'illusione, come proiettile.  Fu allora che innalzai la mia volontà  fino a toccare il non desiderio. Poi fui sparato. Altri mi hanno dato un nome, il cui suono soffusamente potente è Kiai _______ La vita che mi diedi  (in morte del Maestro) Nato da una voce non ancora sopita,  il vento mi scuote come ulivo dalle mie incertezze - cadono in reti verdi a terra, pronte per la raccolta - Poi, come sempre il Silenzio  mi guida verso il Silenzio. Questa la vita che mi diedi in morte del Maestro. (2) SERGIO DANIELE DONATI INEDITI 2006 NOTE (1) - Il Kiai è il suono che nelle arti marziali si emette prima di portare un colpo (atemi), o durante la sua esecuzione o subito dopo la conclusione della tecnica. La parola Kiai è composta da due p

Timidezze; ai miei occhi

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Se sapessi scrivere come i trovadori  o come i poeti che furon detti dal dolce stil novo ti parlerei anch'io d'uno spirito soave che il tuo dire ritroso risveglia,  e di sospiri che all'anima mia, che mai s'allinea a detti potenti, causa l'inciampo della tua parola.  Ma io son della stirpe  del liberatore balbuziente, di colui il cui palato, pur oscurato da pietre aguzze, si riempì di parola Alta e Altra. Si spezzarono allora le catene, non del limite, no, ma quelle che rendon cieco chi non sa osservare, mentre la percorre, la bellezza del crinale, della lama del coltello.

Ascolta

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Ascolta il respiro lento del mondo, il brontolio d'orso,  e il canto della lucciola. E, se un nome devi ripetere, non sia il tuo ma quello senza suono del ritiro dei ghiacciai. Allora ti dirai, forse, poeta, ma nessuno saprà, finalmente, del tuo talento di latta. Foto e testo di Sergio Daniele Donati Inedito 2022

( Redazione ) - Breve nota di lettura alla silloge "Nutrica” di Daìta Martinez (LietoColle Edizioni, 2019)

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  Leggere Nutrica di Daìta Martinez è in primis accettare un gioco di spoliazione della parola o, forse, un ritorno all'elemento ludico e sonoro della stessa, in cui la ricerca del significato è sempre sottesa ma, al primo approccio, lasciata sospesa.  Nutrica è la neonata ma anche il seno che nutre e così già dal titolo ci troviamo di fronte ad un famoso lacaniano dilemma. Quello su cui si fonda, secondo il grande pensatore francese, l'ambivalenza col materno per il neonato.  " questo latte, questo seno, che dà nutrimento, da cui dipende il neonato, è anche l'elemento su cui si fonda la dipendenza del neonato stesso e la sua sopravvivenza, il suo punto di debolezza; debolezza che si trasforma presto in ambivalenza del rapporto".  Già dal titolo dunque la poetessa sembra dirci del suo rapporto con la parola, della quale siamo tutti dipendenti,  perché ci creiamo attorno al linguaggio, ma dalla quale, inutile negarselo, tentiamo ugualmente tutti manovre, spesso poc

Due poeti allo specchio (Arianna Bonino e Sergio Daniele Donati)

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Con nomi di fiori puoi chiamarmi e di animali leggeri e inquieti. E nei blu - ma almeno sette - trovar traccia di me della mia tempesta. L’ultimo sorso rosso del giorno - quello dei pensieri - sul fondo schiude labbra che sogni nel mio viso. E sai che il fieno sa di quel che puoi fiutare nell’ombra delle mani che sui tuoi occhi lascio il tempo che indovini chi io sia. Se tocchi foglie strane di piante d’acqua e ruvide cortecce puoi dire che hanno l’aria di me quando cammino all’ombra. Ma è il cerchio che si apre sullo stagno e poi svanisce l’abbaglio della luna che svirgola la schiena alla faina e la spirale vuota di conchiglia l’ombra che assomiglia a quel che sono. Tu non dirmi di petali e colori le tele lascia bianche bevi e non sognare che il fieno stia nei campi e se nuoti nuota senza dire. Lo spazio tra le cose la pelle della frutta le note cancellate mentre scrivi la macchia della nuvola sul muro: se quelle sono cose che non sai è a loro che il mio nome devi dare..

(Redazione) - Dissolvenze - 07 - Così, per dire

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A cura di Arianna Bonino È possibile che qualcuno decida di cercare ai quattro angoli della Terra tutti i vocabolari di tutti i tempi e di tutti i luoghi, pieni di lingue scritte in tutti gli alfabeti mai visti e poi di conservarli in una stanza speciale, la stanza delle parole del mondo.  Potrebbe farlo spinto dal desiderio di avere a disposizione per sé, ma anche per gli altri, le parole per dire tutto quello che esiste, reale o immaginario che sia: vede qualcosa che non conosce, prova qualcosa d’indefinito e allora entra nella sua stanza delle parole del mondo e gli basta dire a voce alta due cose che hanno a che fare con la parola che cerca, quella che ancora non conosce, ed ecco che la stanza si anima e proprio i libri che gli servono capiscono di servirgli e si mettono in marcia verso di lui, aprendosi di fronte a lui, così che la parola che gli mancava gli balzi agli occhi in un istante. La parola per quella cosa, per quell’emozione, per quel pensiero che altrimenti non saprebbe

( Redazione ) - Breve nota di lettura sulla silloge "Fra l'Olimpo e il Sud” di Doris Bellomusto (Poetica Edizioni, 2021)

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  Che il Mito, specie quello greco, sia talmente radicato nella nostra forma mentis è frase talmente ripetuta da perdere per i più il suo significato profondo.  E, d'altronde, siamo tutti così spesso intrisi di una idea fittizia di modernità che del nostro rapporto con il Mito ne facciamo locuzioni che nient'altro dimostrano che la nostra lontananza da una radice fondamentale del pensiero occidentale.  Il Mito viene in altre parole riletto in chiave moderna, o (odioso termine) rivisitato, come si visitano le vestigia di ciò non è più. Doris Bellomusto, autrice della silloge "Fra L'Olimpo è il Sud" (Poetica edizioni, 2021)  ci indica nel rapporto col Mito, un viaggio contrario, possibile e più autentico.  Quello di un Mito che non viene solo rivisitato ma di cui ci si riappropria completamente, verificandone poi i richiami e le pulsazioni nel nostro vivere moderno e quotidiano.  L'autrice riesce a svelare, in altre parole, quanto il Mito sia l'ossatura anco

(Redazione) Riflessioni, non recensioni - 07 - Antichrist (quando la natura è matrigna?)

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  A cura di Stefania Lombardi Vidi Antichrist nel 2009 e mi precipitai subito a recensirlo nel mio blog dell’epoca. Avevo tanta voglia di esprimermi su un film così ricco di spunti. Scrissi subito che era un film che rompe ogni schema, non catalogabile e unico nel suo genere. È un film di Lars von Trier ma non sembra affatto uno dei film di Lars von Trier; in realtà non lo si potrebbe attribuire a nessun regista anche se, in ultima istanza, solo una mente particolare come quella del nostro amato regista danese sarebbe stata in grado di idearlo e realizzarlo. Sulle note di “Lascia ch’io pianga” del Rinaldo di Händel accompagnate da immagini quasi oniriche ha inizio il nostro film. La prima cosa che viene in mente è la dicotomia classica Eros/Thanatos ma anche universo maschile/universo femminile in chiave psicoanalitica. Che Eros e Thanatos fossero collegati abbiamo a supporto pagine e pagine di letteratura e di trattati dagli albori della civiltà, ma qui è diverso; qui abbiamo un at

( Redazione ) - Piccola nota di lettura sulla silloge "Sintesi dalle radici” di Antonia Santopietro (Ensemble editore)

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Foto di Sergio Daniele Donati Non fatevi ingannare dal titolo di questa nota di lettura. La piccolezza è riferita ad un preciso sentire di chi scrive.  La silloge di Antonia Santopietro, Sintesi dalle Radici, Ensemble editore, meriterebbe un'edizione critica completa ed approfondita, considerati i suoi contenuti profondi e ricchi. Il primo approccio con la lettura di questa silloge pone il lettore di fronte ad una scelta di ritmo.  Sintesi dalle radici va affrontata con la lentezza della goccia, insistente e cadenzata, soffermandosi su ogni parola e pausa che l'autrice, con maestria rarissima, sa imporre all'incedere dei suoi versi.  Una volta accolto il giusto ritmo, al lettore si apre il mondo dell'ecologia della parola, della misura e del metro dell'influsso del naturale nel nostro essere umani (uomini e donne). E viceversa si percepisce come per l'autrice l'umano sia richiamo al naturale. Così ad esempio in Terra Donna leggiamo: Nullo il passo, è velo.

I campi del Silenzio

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Mi hanno dato un tempo - e non è il mio - per permettere all'antico passo di far breccia in un mondo  che ruota su perni incerti. Mi hanno dato memoria  di ciò che non ho vissuto per testimoniare la parola prima del tatuaggio; la pelle di fanciulla prima dei fumi e dei camini. Mi hanno dato una mano troppo piccola per contenere il fiume di parole mai dette da voci distanti - colano dai miei palmi e si disperdono su un terreno bruno - e ventidue lettere ballerine per ricomporre un mosaico cui manca sempre  il tassello del perdono.  C'è chi ha giocato con un'anima piccola - la mia - che stenta a volare su certi campi a seminar Silenzio. (Sergio Daniele Donati - inedito 2022)

Dialoghi poetici coi Maestri - 40. Antonia Pozzi

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  Innocenza Sotto tanto sole nella barca ristretta il brivido di sentire contro le mie ginocchia la nudità pura d'un fanciullo e l'ebbro strazio di covare nel sangue quello ch'egli non sa. Antonia Pozzi Santa Margherita, 28 giugno 1929 (Tratto da: Antonia Pozzi - Mia vita Cara Interno poesia Ed.  - 2019) Io non so della mia infanzia o forse ne nascondo le tracce nei punto e virgola della mia scrittura; fui invece statua di sale a lungo incapace di guardare avanti. E recuperai l'innocenza a tirar sassi nei fiumi per contarne i rimbalzi.  Ebreo ebbro nello strazio, puoi crederci Antonia, fui spesso, e tengo sempre un sassolino in tasca; che assorba lui il mio antico desiderio di evanescenza. Sergio Daniele Donati Milano, 18 maggio 2022 (Inedito )

Dialoghi poetici coi Maestri - 39. Patrizia Valduga

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Anima, perduta anima, cara, io non so come chiederti perdono, perché la mente è muta e tanto chiara e vede tanto chiaro cosa sono, che non sa più parole, anima cara, la mente che non merita perdono, e sto muta sull’orlo della vita per darla a te, per mantenerti in vita. Patrizia Valduga  Da Requiem (Einaudi, 1994) Se fossi petalo mi coricherei ai tuoi piedi o mi farei muschio verde per rendere più morbido l'atto che strappa lembi di tessuti pregiati: la richiesta di perdono.  E se fossi poeta scioglierei la parole che ora s'incagliano tra gola e sterno; perché perdono è parola che rende la mente schiava del desiderio d'uscir da sé stessa. Ma non ho ancora - e tu sai quanto la cerchi - la delicatezza del petalo né le lire e le cetre del rapsodo o dell'aedo - e queste forse le cerco meno - allora ti ascolto e mi siedo  su quel muto muro a secco,  assieme a te, ad ascoltare  il canto lieve di un addio. Sergio Daniele Donati Inedito 2022

(Redazione) Specchi e labirinti - 07 - Nota di Lettura a "Il Mito Ritrovato. La poesia di Umberto Piersanti"

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  A cura di Paola Deplano Non so quanto questo sia stato intenzionale, ma la copertina disegnata da Marco Grioli per il saggio di Ezio Settembri di cui stiamo scrivendo sembra darci indizi in codice su l’oggetto di questo lavoro, vale a dire Umberto Piersanti , poeta non solo di alberi e vicende ma anche d’ostinato amore per i colori, specialmente dei toni del giallo e dell’arancio, (i colori dell’amato favagello, fiore-simbolo della sua poesia): IL FAVAGELLO è d’un giallo squillante, nessun fiore l’uguaglia anche se prendi l’anno intero copre a febbraio i greppi verdissima è la foglia umida sempre un poco e immacolata quando la neve cade che ritarda il favagello resta sotto intatto se sta sotto la neve tra giorni sani e viene una ragazza che lo coglie dinnanzi alla specchiera, in un bicchiere col gambo dentro l’acqua poi lo mette sale nel vetro l’uomo, sale le scale bussa alla porta e aspetta se lei apre (da I luoghi persi di Umberto Piersanti) Anche il titolo Il mito ritrovato. L

Volevo soltanto

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All'infanzia di mamma Volevo solo ridarti il sorriso e ridurti lo strazio; per un istante esitante ti ho teso una mano forse troppo vissuta e piccola per contenere  - chissà cosa poi, se non le mie stesse lallazioni scomposte. Le intenzioni, quelle più pure, contengono il limite  di un'inconsapevolezza infantile, mamma.  E si torna bimbi  per strapparti un sorriso mentre ricordi un'infanzia in cui la fuga e il nascondiglio non erano per giocare a rimpiattino e la tana era un luogo oscuro da cui in troppi non sono mai tornati