Mon dernier rayon de soleil ( 7.3.1996 )



7 marzo 1966 nasce Francesca

Nel 1982 io ero un giovane timido, sognatore, come solo un sedicenne fatto col mio stampino può essere. Non amavo giocare a calcio ma guardavo le stelle. E le stelle mi parlavano. Francesca era una creatura solare, gli occhi ridenti e, no, per nulla fuggitivi. 
Quando si fissavano nei miei venivo attraversato da onde di emozioni che, se chiudo gli occhi, il mio corpo ancora rimembra. Io avevo lo sguardo sempre posato sull'orizzonte, forse un po' malinconico, ma pieno di speranze per il futuro. E, quando il mio sguardo incrociava quello di Francesca, ne sono certo, lei sentiva un canto antico nelle sue orecchie. 
Mi chiamava, un poco per sfottermi con tenera dolcezza, il guerriero delle stelle
Io ridevo e ridevo e ridevo. Poi tacevo e la guardavo ancora negli occhi. La chiamavo, senza mai dirglielo, brezza marina.
Ci tenevamo per mano come solo due sedicenni possono tenersi. Senza parlare. Che altro avremmo potuto dire? Che nome che non fosse in sé un limite avremmo potuto dare a ciò che ci univa? Il contorno era la Valle, i nostri tentennamenti di ragazzi, i falò la sera, i timori ed i tremori, le confidenze e la voglia, allora immensa, che la Vita si srotolasse ai nostri piedi, senza pieghe, semplice ed intensa. 

Un giorno Francesca mi chiese perché amassi tanto scrivere. E non riuscii a spiegarle che non era amore ma necessità, che scrivevo per sopravvivere, per non soffocare. 
La guardai e le dissi che scrivevo perché lei potesse leggermi. 
Lei rise ma, ne sono certo, di quella esigenza di respiro e sopravvivenza aveva già percepito il nocciolo duro. 
Ci baciammo il giorno dopo, sotto un pino in un bosco, nell'ora che precede di poco il tramonto. La Valle guardava e, ne sono certo, rideva felice. 
Ci lasciammo, come avviene a sedici anni, senza sapere nemmeno il perché, forse per provare a noi stessi la nostra capacità di indipendenza. Non so perché ma so che avvenne, senza strappi, dolcemente, nel rispetto e con la certezza che il legame sarebbe comunque durato, per sempre. 

7 marzo 1996 - il mio 9 di Av

Dopo un decennio che non avevo più sue notizie, decisi di chiamare un comune  amico per avere il suo numero. Volevo farle una sorpresa e gli auguri. Mi disse che pochi mesi prima la malattia, che non nomino, l'aveva portata via. Non vi parlerò della mia sofferenza. Vi dico solo che rimasi completamente afono per 5 giorni, incapace di pensiero, di emozione, anestetizzato dal silenzio...per sopravvivere.
Poi al quinto giorno scesi al bar. Chiesi un cappuccio a fatica e alla domanda del barista: "ci vuoi un po' di cacao?", scoppiai in lacrime che il barista, brav'uomo, cercò di contenere con parole semplici. 

Ma sì, in fondo era semplice. Una parte di me era andata via, o almeno così credevo allora. Intanto praticavo Aikido già da un po', e crescevo, crescevo, crescevo mescolando la mia fioritura di giovane trentenne a quel dolore, che cercavo di elaborare con gli strumenti, sempre più fini e delicati, che mi venivano donati. Ora, dopo più di 20 anni, lo strazio, certo, ha lasciato spazio al dolce ricordo e di Francesca ho una memoria che mi sostiene. 

Ma se chiudo gli occhi e entro nel mio respiro io lo sento ancora, e sempre più chiaro. 
Il 7 marzo 1996 il dernier rayon de soleil della mia adolescenza si piegò sul mio pianto e rimasi afono ad osservarne fino all'ultimo istante lo spegnimento.
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