Non ho barato... (un racconto di Maria Gabriella Cianciulli)

 

Non erano maschere di carnevale quelle che di tanto in tanto Umberto Sati vedeva alzando lo sguardo al televisore nell’angolo della sala d’attesa del poliambulatorio dove si era recato per un consulto specialistico, poiché da tempo accusava forti crampi allo stomaco. L’infermiera, sopraffatta da un colpo di tosse, gesticolò per qualche secondo indicando il corridoio a sinistra pregandolo di raggiungere la sala ecografica, il verdetto fu inequivocabile: "Signor Umberto lei ha una calcolosi in atto, dovrà togliere questa cistifellea al più presto", tuonò il dottor Mauro Collante. 
Si portò fuori al balcone per una boccata d’aria con la sua mole di uomo nerboruto, ossidato dal lavoro di tranviere svolto in Brianza per 40 anni. Gli occhi cerulei guizzarono sul viso tondo incorniciato da una capigliatura rossiccia e scompigliata, inevitabilmente come sempre gli capitava si velarono di un leggero torpore per via del dolore addominale; rientrando in sala d’attesa lo sguardo andò nuovamente al televisore nell’angolo che trasmetteva il telegiornale. Da qualche giorno l’attenzione dei media era sempre più focalizzata sull’arrivo di un nuovo virus che andava diffondendosi rapidamente nella regione di Wuhan in Cina, la qual cosa sembrava essere circoscritta a quella regione, a quel popolo che nel giro di pochi giorni aveva messo su un ospedale, una città nella città. “Un virus...sembrano marziani vestiti così questi infermieri...non sarà mica venuto da una altro pianeta?” pensò...strizzando lo sguardo alla signora seduta affianco, che in pochi istanti fu annebbiato dal fumo del sigaro tirato fuori dalla scatolina, in barba a Clara, appena fuori del poliambulatorio. 
"Ehilà, Giorgio, ho visto delle robe in tv, sai...c’è da qualche parte una di quelle cose lì...una sorta di influenza, di quelle che fanno compagnia durante l’inverno, soprattutto a quelli come noi...da rottamare!", soggiunse. 
"Va là Bedì, non siamo di primo pelo, ma ce la caviamo ancora, siamo di scorza dura noi, ad avercela la tempra come la nostra! Ormai di influenze ne abbiamo fatto una scorpacciata, cosa vuoi che sia una in più, non sarà mica la peste! Dobbiamo sempre tenere alto lo spirito, siamo stati nel corpo dei bersaglieri, poi, sai cosa ti dico: crederci aiuta a riempire la vita!", replicò Giorgio, facendo trapelare un sorrisetto dei suoi di mentre lisciava i baffi, quando lo sguardo cadde su un gruppo di ragazzi, intenti a discutere animatamente sull’ultimo smartphon . 

I due si erano dato appuntamento per la consueta partita a burraco al circolo per anziani nel quartiere storico della città. 
"Non perderemo certo l’abitudine di vaccinarci con un buon bicchiere di Lambrusco, amico mio, il mondo per quelli come noi è lì, credimi! Io e il Dario l’altra sera ce ne siamo scolato un bel fiasco, tanto da non riconoscere la Tonia sul pianerottolo di casa che mi sembrò persino ringiovanita di quasi vent’anni...ahahaha!" 
Umberto scosse la testa "Ma possibile che al secondo bicchiere di vino dai già i numeri e vai in brodo di giuggiole? Mancava solo che ti venissero a raccogliere con la carrozzina!"
Giorgio brontolò fino all’isolato successivo, tirando fuori la saga delle avventure di quando faceva il boscaiolo sulle Alpi, di quanto fosse stato duro quel lavoro che nonostante tutto rimpiangeva. Insieme si defilarono nel trambusto della città con i suoi cubi di cemento a tratti illuminati con grosse scritte, che li ingoiò di lì a poco. Quella sera al bar si discusse di quanto si andava vociferando nei telegiornali, così lontano da loro. Si disse che poteva essere una di quelle disavventure che di tanto in tanto irrompevano nella vita delle persone per via degli allevamenti intensivi...
"Così sembra" se ne convinsero, tanto da pensare che quella fosse solo l’ennesima riprova di cattive abitudini, figlie del consumismo. Dopo la partita, Umberto si congedò dagli amici, ricordandosi di passare in farmacia per un antidolorifico, sua moglie Clara lo aspettava per cena. I suoi passi di si fecero pesanti all’ennesimo spasmo, si allontanò non potendo fare a meno di piegarsi ancora una volta assorbito dal vocio indistinto della piazza, dove irruppe festoso il suono delle campane del Duomo a dargli la spinta nel cuore della sera.

Mancava solo la prenotazione per l’intervento e poi sarebbe finita, soprattutto con quel piegamento in avanti che lo ingobbiva in alcuni momenti. E pensare che Clara aveva insistito tanto perché si decidesse per l’intervento. Il momento era arrivato. La moglie lo aveva atteso certa dell’esito, appena lo vide sentenziò: "Lo so, non dirmi nulla...domani chiamo per la prenotazione".
"Sì, purtroppo. Ora sono stanco prendo un antidolorifico."

Umberto si tuffò sul divano, dopo un po’ prese sonno, assalito da una leggera agitazione che lo fece dimenare più volte su se stesso. La prenotazione per l’intervento fu fissata per i principi di marzo, i controlli pre-operatori si svolsero in un clima caotico come non gli era mai capitato di vedere. Nell’ospedale un via vai di infermieri con maschere sul viso accompagnavano pazienti in barella, da spostare nell’ala est dell’ospedale: una scena che gli sembrò di aver già visto da qualche altra parte. Chiese con un un filo di voce ad una persona giunta lì in grande apprensione: 
"Mi scusi cosa sta succedendo, sa qualcosa?" "Covid 19, covid 19...mio padre..." disse con sopraffiato, poi si dileguò nel corridoio correndo dietro ad una barella su cui penzolava il braccio di un uomo. 
Gli fu riferito di non oltrepassare il limite segnato in rosso, di entrare direttamente in stanza e di attendere l’infermiere per la presa della temperatura. Umberto accusava forti dolori diffusi per tutto il corpo sin dalla mattina. “credo di avere la febbre come faranno ad operarmi in queste condizioni...” 
La temperatura rilevata confermò ciò che aveva presagito. Qualche minuto dopo gli fu riferito di dover attendere i risultati delle analisi per procedere all’intervento programmato per il giorno dopo, nel caso fossero stati nella norma. “Covid 19...mmh...ora ricordo...Wuhan...noi come Wuhan”. 
"Signor Umberto, mi ascolti...purtroppo l’intervento programmato per domani non potrà essere effettuato, lei dovrà curare prima questa forma influenzale di cui sono chiari i sintomi, è affetto da Covid 19 purtroppo, in queste condizioni non può essere operato e dovremo aspettare che sia perfettamente guarito. Abbiamo già avvertito sua moglie, lei resta in isolamento fino alla guarigione. Verrà un’infermiera che la trasferirà nel padiglione est, vista la pericolosità della malattia, non sono ammesse visite al fine di evitare contagi." 

Umberto ammutolì per qualche istante, annuì con la testa mentre un tuono gli esplodeva dentro. “ Covid 19, che tu sia maledetto...potevi restartene in Cina da dove sei venuto, ma io ti sconfiggerò, non sono abituato a perdere, non lo farò certo con te...
Un torpore lo assalì, con forti dolori alle ossa che lo indussero a posare in tutta fretta il telefonino sul comodino; stava per chiamare Clara, ma lei era già in linea. 
"Ciao, hanno detto che dovrò restare in isolamento per qualche giorno."
"Lo so, Umberto, vedrai che andrà tutto bene. Ci vedremo presto, leone!" 
Non poté fare a meno di ingoiare qualche lacrima congedandosi da lui.

Il grigiore della nebbia non lasciò spazio al flebile raggio di sole appena decifrabile; dalla finestra che dava nello spazio interno all’ospedale il fumo dei bocchettoni dei riscaldamenti si innalzava prepotente e brividi di freddo lo invasero. Il respiro si fece affannoso nel giro di poche ore, a stento suonò il campanello per farsi aiutare; due infermieri incapsulati con tute bianchissime giunsero in stanza, lo alzarono sui cuscini per posizionargli la maschera dell’ossigeno. Intanto i dolori al petto divennero sempre più fitti e lancinanti, la voce stentò a pronunciare il grido e si lasciò andare al torpore in arrivo. ”mamma, cosa sta succedendo...dove mi trovo, chi sono costoro...andate via...”.

Un enorme corridoio semioscuro gli si aprì davanti, a mano a mano che lo attraversava si delineavano antri simili a caverne attraversate da sibili acuti come lance. Un battito martellante lo accompagnava e si sforzò di vedere da dove provenisse, ma non vide nessuno fino a quando divenne più intenso e chiaro: un’ombra con sembianze quasi umane, con lineamenti mutanti in varie forme, indecifrabili...gli si parò davanti a pochi centimetri dagli occhi. Tentò di aprire la bocca, ma la sentì serrata e l’urlo gli si appiattì in gola. Mosse le braccia che intanto si erano appesantite come macigni; nuovamente mosse le mani per sbarazzarsi del mostro senza riuscirci. 
“Ti prenderò prima o poi, non sai che non sono abituato a perdere...giochiamo ad armi pari se hai il coraggio!” 
L’ombra tentacolata sghignazzava il suo riso beffardo sul volto di Umberto, puntandogli due occhi simili a due oblò rosso fiamma a pochi millimetri dalla faccia; ne sentì tutto il peso nonostante si divincolasse come tarantolata premendo sullo stomaco quasi a soffocarlo e il martellare del battito accelerato gli rimbombava sempre più forte nella testa. 
La figura prese a schiaffeggiarlo imperterrita, allungò all’infinito le sue protuberanze che lo avvinghiarono nella morsa stritolante. 
Umberto raccolse tutte le forze in un respiro profondissimo, tentò di alzare la testa nell’attimo in cui la belva si distrasse e riuscì a percepire lo spazio circostante che avanzava labirintico; ecco che una nuova caverna si apriva imperscrutabile e un lamento simile al pianto di un neonato cominciò a farsi sempre più distinto. Sentì le membra sciogliersi teneramente: gli sembrò di riconoscere quel gemito sfumato in pochi secondi, facendo largo al battito della bestia che divenne prorompente fino ad invaderlo nuovamente; si sentì impazzire come in una di quelle giornate intense di traffico passate sul tram, che ad ogni fermata gli stampava lo stridore dei freni in ogni parte del corpo. E come allora pensò di dover calcolare la velocità con cui proseguire per evitare quello stridore e il sobbalzo alla fermata. Tese il braccio fuori dal torace certo di avere finalmente acciuffato una di quelle braccia che si divincolavano ora dietro le spalle ora davanti al viso. Tutto fu inutile fino alla caverna successiva. 

“Covid...tu non mi fai paura, ti chiami così ,vero?...prima o poi sarai nelle mie mani, non sono abituato a perdere..coooviid...”

Il respiro si fermò di nuovo per qualche secondo, poi riprese con l’affanno. 
"Presto, facciamo presto...in terapia intensiva, presto!" 
"Ma non so se abbiamo altri posti liberi..."
"Proviamo a vedere nella corsia di riserva!"
Da lontano un medico fece cenno di non avvicinarsi: un decesso appena avvenuto, ma il posto era già per un altro paziente. La lotta di Umberto con la figura malvagia che si moltiplicava e si riduceva tendendogli trappole sempre più insidiose si accanì sul suo corpo, accesa di furore, con occhi di fiamma lo scherniva ululandogli il suo fiato malefico nelle narici; fece per alzare il braccio destro al fine di colpirlo in volto, ma lui gli sferrò un sinistro e poi un destro, un colpo dopo l’altro, lo distese...sfinito tentò di asciugarsi il sudore, ma il suo viso non aveva consistenza, poi tutto ridivenne buio e si accasciò stremato precipitando in un sonno profondo, infinito. Un sussulto e si trovò fuori dal buio, lo scorrere come di un traliccio gli attraversò il torace, non vide più lei, l’ombra malvagia, ne sentì a malapena il rimbombare del battito che andò affievolendosi sempre di più. Si portò le mani in volto e poté passarle sugli occhi che ad un tratto si aprirono non lasciandosi penetrare dalla luce di un faro puntato sul volto. Si riaddormentò con il terrore di dover affrontare ancora una volta l’ombra maledetta; nel torpore del sonno giunto per appagare le torture subite, una voce lo pervase. 
"Ben tornato tra noi, Umberto, lei è fuori pericolo, finalmente." 
"Ma dove sono, da quanto tempo sono qui?", disse toccandosi il torace. Un infermiere gli si avvicinò trincerato dietro uno scafandro e gli tocco il polso rassicurandolo.
"Da un bel po’, ma siete al sicuro ora, siete guarito dal Covid, vostra moglie vi sta aspettando fuori all’ingresso, un portantino vi accompagnerà giù e potrete tornare a casa"
Fu alzato, aiutato a rivestirsi dei suoi panni e invitato a sedersi su una sedia a rotelle per uscire dall’ospedale. Appena fuori dalla stanza una schiera di infermieri e medici incapsulati lo attendeva accompagnandolo con un applauso fragoroso. Non poté fare a meno di farsi scrosciare un pianto liberatorio sul viso, sforzandosi di stare dritto. Ancora una volta riuscì a tirare fuori lo spirito da combattente e un sorriso commosso trapelò dalle labbra emaciate. Clara lo attendeva fuori con un pacchetto di cioccolatini, i suoi preferiti; a stento trattenne le lacrime mentre lo abbracciava. La città insolitamente vuota, lo accolse immersa in un silenzio che in un primo momento gli sembrò necessario, dopo tutto quel putiferio che gli si era scaraventato addosso. Le vetrine, che a quell’ora sfoggiavano luci colorate apparivano stinte con le serrande abbassate sui marciapiedi privi di pedoni, gli si paravano dinanzi correndo affianco alla piccola utilitaria di Clara. Umberto girò la testa a destra e a sinistra più volte in silenzio, attese invano il suono delle campane del Duomo ad annunciare la messa domenicale. Stava per chiedere di Giorgio, si erano sentiti poco prima del ricovero con la promessa che al ritorno dall’ospedale avrebbero organizzato un torneo di gioco, ma Clara lo anticipò fiondandogli lo sguardo basso nel petto e a malapena si fece uscire quel nome di bocca ingoiando un singhiozzo. 
“no, non dovevi farmi questo, ho combattuto tanto, proprio come avresti fatto tu, non ho barato...eppure ho perso...Giorgio...” 
C’era un via vai di ambulanze che correvano a sirene spiegate quel giorno verso l’ospedale...
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NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Maria Gabriella Cianciulli nasce a Montella (AV) il 30-05-1959, un paese dell’entroterra irpino, dove vive attualmente. Intraprende gli studi liceali, in seguito consegue la maturità magistrale presso l’Istituto Magistrale “Imbriani” di Avellino e l’abilitazione all’insegnamento per le scuole primarie. 
Con la prima silloge “Echi di maggio” (Delta 3 Edizioni), prefatta dal prof. Paolo Saggese e pubblicata nel 2015, inizia il suo percorso poetico che è continuato nel tempo, le sue poesie sono presenti in varie antologie. Nel 2021 l’uscita della sua seconda raccolta “ Di Terra e Di Donna” per i tipi di Controluna ed., a cura di Giuseppe Cerbino.

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