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Stasi

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È come un valzer il ritmo della stasi degli oggetti. Un tempo per osservare, un tempo per dirsi altrove, un tempo per tornare. Una penna appoggiata al tavolo è ciò che ha scritto,  ciò che non ha scritto, ciò che scriverà. Così la nostra esistenza tiene quel ritmo calmo, che nemmeno l'affanno, nemmeno il sigillo alla madre che ti guarda di lontano, riesce a coprire.  La vita è sempre in tre tempi; e ciò che è stato, e ciò che è, e ciò che sarà di un uomo che più scrive  e meno comprende; di un uomo che meno comprende e più scrive. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 Foto di Noelle Oszwald

Ossidiane

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La luce tenue della speranza si coltiva negli occhi dei figli. Siamo a guardia di qualcosa di cui non conosciamo il nome, né la forma, e di cui ci è ignoto il messaggio profondo.  Eppure come sentinelle teniamo su torrioni antichi  dritta la schiena, la notte. Le stelle che davanti ai nostri occhi testimoniano la luce della loro morte ci paiono eterne, come eterno è l'augurio  del padre al figlio. Si china ai suoi primi passi a pochi metri da lui, allarga la braccia e sussurra piano: « Vieni, tu ce la fai». Lo sguardo fragile  di mia madre oggi la sua richiesta silenziosa di aiuto, - una mamma-bambina dai capelli sottili che lenta svanisce - e l'ossidiana nera e certa  degli occhi di mio figlio. Io in mezzo, testimone canuto e malinconico del passaggio di testimone della vita. 

Ebraicamente

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«Mother and son» di Sergio Daniele Donati L'ebreo non chini mai la testa davanti all'uomo - così è detto - ma sappia coprirsi il volto col mantello sacro, con gesto pudico, se percepisce una voce sottile di Silenzio nel brusio della Vita. Lo stesso gesto - aggiungo io - faccia il poeta quando il suo dire si trasforma in incaglio e balbuzie. Parola e Silenzio si liberano da catene arrugginite, a volto coperto tra il caldo delle lane e i ricami delle sete. Il piccolo rivela l'intreccio, scioglie il bandolo del limite e lo tramuta in canto. A volte è bene tacere, non per assenza di parola, ma perché la sua cacofonia - in testa - divenga armonia per lo sterno. L'uscita del popolo dall'Egitto fu un grande silenzio, così sia la poesia per chi sa che scrivere è sempre più rinunciare alla parola che ostentarne una falsa potenza.

Alcune poesie di Federica Simionato

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Federica Simionato POESIE TRATTE DALLA SILLOGE  “MI PIOVE CONTRO” ED.  MACABOR, 2022 Tramonto Cercami lì dove si ripiega la mancanza, nella fame d’ombra che appiattisce il vuoto. Lì, dove accelera la distanza. Il peso del ricordo si allungherà ai tuoi piedi, nero di un silenzio che non si rapprende. Cercami nel sangue vivo di un giorno morente. l’orizzonte la nostra cicatrice. Controvento Chiederò al vento di portarmi il respiro del tuo sonno, la stanchezza delle tue spalle. L’ubriaca carezza di una foglia di salice, senza farla cadere, senza farsi sentire. Chiederò al vento di soffiare sulla riva bruciata del tuo mare al tramonto e darti un’onda ancora, prima della sera. Il fiato caldo di un sogno controvento. Insonnia Questa notte è solo un guardare dal respiro rallentato, la coperta troppo corta di un peccato. Un letto sfatto, il fiato corto di un incubo a occhi aperti. Questa notte è solo il freddo dei piedi scoperti, un cuscino di piume e pensieri. Ma

Contorni

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Spesso sfumano i nostri contorni; nei ricordi  assieme all'ultima parola detta, all'ultima sensazione vissuta. Ancora più spesso di noi si dimentica l'intenzione pura, pur coperta da balbuzie e inciampi, e si apre la porta cigolante dell'impietoso giudizio. I più ci entrano col capo chino; io non posso né entrarci né accettare che tu ci entri. Troppo vivo il ricordo di quando ti dicevo, d'amare di te il pacchetto completo, contorni e inciampi compresi. Io non so se questo sia perdono, e in fondo poco conta, so di essere stato capace di non perdere di te l'immagine completa, e mi piace ancora quel tuo modo trattenuto di sorridere. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 Foto di Noelle Oszwald

«Sono una debole»

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«Sono una debole» - mi dicevi - «una che deve contare i centesimi nella borsa per comprarsi  un pacco di sigarette,  che te ne fai di una come me?». E per questo tuo dire io avrei dovuto amarti meno? Avevi un chiaro progetto d'allontanamento d'un sentimento scomodo; il mio,  come se fosse un dono da te elargito - e ignoravi il mio saltare i pasti, di allora, per poterti offrire una cena - E non sai quanto mi ferì quel tuo dire, perché se c'era qualcosa di protetto da un pacchetto morbido e senza filtro alcuno era proprio quel sentimento; il mio. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 Foto di Noelle Oszwald

Enjambement

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  Foto di Man Ray Dedicata a David la Mantia Che vuoi mai possa finire in un verso che ha un universo da dire sulla seduzione della parola ed educa  il lettore a sbirciare sotto la gonna dei lemmi mentre un fruscio di seta testimonia l'accavallarsi di gambe? Sergio Daniele Donati - inedito 2022

Col pianto al cuore

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Ho peccato nella testimonianza - eppure fu una mia promessa - mi mancano dei nomi, delle storie; e il mio racconto  sarà sempre incompleto. Però mi rifiuto di parlar di numeri - sarebbe troppo facile dire «sei milioni»  e tacitare il mondo. Ma il numero era la lingua zoppa dello sterminatore; a noi si chiede l'onere impossibile di recitar nomi, per rendere onore alla lingua e al suono. Allora guardo le stelle  e sento voci bambine e chiedo loro perdono perché non ne conosco i nomi. Sergio Daniele Donati (inedito 2022)

Stanze (SAMECH - AYIN - PEI - TZADE - KOF)

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  SAMECH (ס) Null'altro da dire: esistono voci lontane e proteggono e custodiscono la parola ancora inespressa di una voce bambina. La prima parola d'un infante è un sibilo di accoglimento di un percorso infinito. AYIN (ע) Mi chiedi cosa sia una visione  e dove si debba poggiare lo sguardo quando un vento freddo scivola sui pori della pelle? Sull'orizzonte sotto i nostri piedi , rispondo. E quando il vento si placa, verso la luce lontana  di stelle già morte. PEI (פ) Un dente deve cadere per passare dalla negazione del creato al suo abbraccio. La parola si deve far chiara per permettere l'infinita interpretazione, eppure, già lo dissi, il mio maestro era balbuziente e sorrideva tra i suoi denti ingialliti al compito sacro della trasmissione. TZADE (צ) E non c'è giusto fuori dalla testimonianza. Né l'etica si poggia su un'intuizione afona. Il Giusto raddrizza la schiena prima di parlare e torna curvo nel silenzio. Chi lo ascolta raddrizza la schiena  di fron

(Redazione) Specchi e labirinti - 06 - Su "Diario amoroso senza date" di Antonio Nazzaro ed Eleonora Buselli

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  A cura di Paola Deplano Sono cresciuta in una casa piena di donne – di cui due fanciulle in età da marito – nei primi anni ’70 del secolo scorso, quindi non deve stupire il fatto che io abbia imparato a leggere, oltre che da Topolino, anche dai fotoromanzi che invadevano qualsiasi spazio e che tutti – maschi e femmine - leggevamo con piacere, accanto a Pirandello, Deledda, Asimov, al quotidiano “La Nazione” e al settimanale “Intimità”. Letture onnivore, quindi, senza nessuna preclusione di genere e di gusto. C’era tempo-luogo-bisogno di tutto e ciascun testo rispondeva a diverse esigenze e aveva un suo spazio ben preciso nell’arco della giornata e della settimana. Tornando ai fotoromanzi, era stato facilissimo imparare a leggere da quelle scarne didascalie che corredavano foto del compianto Franco Gasparri che guardava languidamente negli occhi Claudia Rivelli. Erano storie semplici, ben aderenti al genere letterario della commedia: cominciavano con dei casotti pazzeschi e finivano s

Fenice

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Non credere che ciò che cede e si cela e diviene evanescente si dissolva nelle terre dell'oblio. Fenice eterna, cerca  una nuova forma per risorgere. E se provi poi,  ammirato dalla sua trasformazione, ad accarezzargli le piume l'ustione sul tuo palmo sia testimonianza di quando hai cessato di credere nelle sue potenzialità. Oggi mi manca una voce, una sola, eppure mille. Le cerco tra le mie lettere e tace non solo la Alef, come è solita fare dalla notte dei tempi, ma anche la Tzade, canterina. Ha paura che il suo messaggio di giustizia oggi non sia adatto per un uomo con le ossa rotte. Si corica al mio fianco, come sempre, la Nun e mi canta una nenia antica e di miele; una nenia, la sua, di sole tre parole: Tu sei l'Uomo. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 Foto di Noelle Oszwald

Il poeta e la poesia (ironia)

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  Un giorno un poeta incontrò la poesia , ma non la riconobbe e continuò a scrivere.

Stanze del «io non ho saputo»

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Lascia al cielo l'antica battaglia; la radice d'un corpo d'uomo è nel legame tra uno sguardo - gettato all'orizzonte - e il corretto appoggio dei piedi a terra. Lascia al cielo l'antica battaglia, posati sul punto più lontano che il tuo sguardo possa contemplare, e, prima del primo passo, sospira. Ogni sospiro è un tributo  - sapessi quanto giova  potersi dire « io non ho saputo» - e lasciare ancora una volta quella battaglia al cielo. Sapessi quanto giova nel ritiro potersi dire «io non ho capito» e prima del primo passo alzare il palmo a una presenza evanescente - un saluto a ciò che mai torna - Una mano che si alza - anche se non percepita - un battito di ciglia volontario - anche se nei tempi dell'occhio - spostano aria e creano spazio alla penombra che crea  mulinelli di riconoscenza all'amore non riconosciuto. Lascia quella battaglia al sole, tu affidati a uno sguardo capace d'orizzonte a un palmo capace di rende

Il canto del perdono

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  Inizia nel midollo una sorta di vibrazione che riassetta i ricordi e ricolora una tela abusata di tinte tenui. Non è dimenticanza è il passo sapiente della mano che articola lenta falangi e parole  per un fine solo; una dichiarazione di resa. Il vero si manifesta sempre nel corpo come un canto di merlo al tramonto,  e tutte le immagini che ti sei creato per negarne l'esistenza  svaniscono come nubi al soffio del vento.  La schiena si raddrizza e lo sguardo si fa nostalgico su un orizzonte che si sposta coi pensieri; è il richiamo del riconoscimento silenzioso d'un passato che tardava a passare. Quel nome innominabile diviene canto per una gola ormai matura a pronunciarne altri e nel ventre fecondo di speranza senti muoversi le primavere che sinora ti sei negato.  Poi taci, è arrivato l'istante dell'ascolto e il corpo - sede unica di ogni nostro sentire - ti dice che è ora di pronunciare ancora quella parola interdetta.  Inizia sempre nel midollo come una vibrazione d&

Un piccolo pensiero

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Dice il pensiero ebraico che non c'è peggior peccato che ricordare  al convertito le sue origini. La conversione è un mutamento radicale dell'anima. Ogni volta che ricordiamo a qualcuno ciò che è stato lo condanniamo a una pena infinita. Allo stesso tempo condanniamo noi stessi a ignorare le nostre stesse potenzialità. Siamo qui per liberare scintille, negli altri, nel mondo, nel creato: non per mettere l'accento sul fango da cui tutti, chi più chi meno, siamo emersi. Va di moda dire che il perdono è impossibile perché contiene in sé un senso di superiorità. Si dice, per non perdonare: chi sono io per perdonare? Cosa ho in più di chi dovrei perdonare per poterlo fare? L'obiezione non è stupida, ma contiene una trappola.  Perdonare è accettare non solo il cambiamento dell'altro ma, soprattutto, il nostro. Invertendo l'ordine di quell'assunto mi chiedo: chi sono io per non perdonare e ergermi a muro contro la forza del cambiamento? Oggi ho intimame

Due poeti allo specchio (Arianna Bonino e Sergio Daniele Donati)

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Kilim Nei venti migliaia d’arie e nastri centigradi d’ombre polveri di tempeste e paci intaccano il segno sul legno e sull’osso. Tra i fili il kilim tiene sabbie le belve blu sue non sono più bestie, le faune del mare hanno forme di rocce graffiate di verbi. Tinte perdute figurano macchie - fosfeni di sonno e di trama. Ma il suono mio chiuso di labbra in punta di lancia o velluto frustato su pelle o intagliato in un frutto ti volta ogni volta lo sguardo e sempre la sete mi asseti. E ancora sul fondo nel buio sogno arrovesciata da maree di sale ogni onda d’occhi tuoi ricrea luce alle stelle del mondo. (Arianna Bonino - inedito 2022) Quel vecchio Mi celo allo sguardo assorto di quel vecchio comunque troppo pieno del gesto della sua mano  per percepire la mia presenza. Tesse fili di parole dal suono diafano, intrecci di suoni arcani con la perizia dell 'antico . Non temo più la parola perché so che tra quei fili canta l'arpa della tua voce e il mio ascolt

Un inedito di Ornella Spagnulo

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  Se il cuore non sanguina significa che non esiste e non può non esistere un cuore è una cosa improponibile quasi come l'estate senza il sole. Se il cuore non sanguina vuol dire che non ce l'hai allora mille volte meglio avere dubbi esistenziali e ferite micidiali rispetto all'indifferenza di chi non s'innamora più. Mille volte meglio mille cuori sanguinanti del tuo contegno da ignorante e indifferente analfabeta dei sentimenti. Ornella Spagnulo - inedito 2022 NOTE BIOBIBILOGRAFICH E Ornella Spagnulo (1982) è laureata in Critica e comparatistica alla Sapienza, ha seguito il master in scrittura creativa Luiss Writing School e nel 2017 è diventata dottoressa di ricerca in Italianistica all’università Tor Vergata. È autrice del saggio Il reale meraviglioso di Isabel Allende (Aracne, 2009), della raccolta di poesie L'avvio e la perdizione (Sillabe di Sale, 2015), del prosimetro Nuove terzine (Fuorilinea, 2016), della raccolta di poesie Come una tigre (Eretica Edizi

Due inediti di Valentina Murrocu

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  I I piatti nel lavello in Via Kramer sono indice di una mediocrità piana come i residui di sangue mestruale sulla tazza: il soggetto che agisce una tragedia minima, lo sperma sulla tuta, il velo che si squarcia in metropolitana a Gessate. Oppure, lo spazio tra l’arredamento e il mondo interno, nominare il corpo svuotandolo di senso. «Se vivere è percepire, dunque, la somma dei soggetti è una proprietà, come uno spasmo nel sonno, l’angoscia del risveglio.» La rimozione come scarto o accrescimento. II Il divano lasciato in Via Magenta rivela una coerenza al fondo delle cose, come non ci fossero i caseggiati alla periferia di Milano, le partite di calcio, la tragedia esponenziale sulla linea della metro: in sogno, sempre più spesso, una miopia minore gli viene incontro come la coincidenza nei tessuti. «Allora, la membrana regola gli scambi tra viventi come da un dio interno: l’alto e il basso contro la parete, il vintage, la pornografia, il desiderio scomposto in forze.» Dicevi che

(Redazione) Letti da Francesca - 05 - su Atlante della nostalgia, Marco Patrone, Arkadia Editore Collana Eclypse, 2021

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A cura di Francesca Piovesan L’Atlante della nostalgia di Marco Patrone è lo dispiegarsi della vita su carta lucida; quella carta lucida usata per seguire con il dito una catena montuosa, o il percorso di un fiume, il confine di un continente, o gli anelli della densità abitativa di una capitale. L’Atlante sono quattordici racconti che delimitano le tappe: adolescenza, i quarant’anni, un’epoca della crisi, e un memoriale rivolto a un vizio mortale, per quanto controllato. Ci sono le storie, ci sono i personaggi, ci sono canzoni e film. C’è la vecchia Europa, un’Italia di provincia, di periferia. C’è il sesso, fatto di ore, giorni, stanze d’hotel, incontri ricercati, non voluti, ipotizzati, sperati. Esiste la solitudine in questo Atlante, esistono le amicizie d’infanzia, degli anni universitari, esistono uomini divorziati, inghiottiti dalle strade e dai chilometri, esistono le donne deformate da una tragedia, minute come un piccolo fiore carnoso. “La vita quieta”, che si vuol calciare v

Torna traccia (Oblivion)

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Torna traccia, in quella nota iniziale e sospesa, che so già declinerà verso il basso, del ricordo d'un bosco innevato. Quel cervo mi guardava di lontano pianificando le sue vie di fuga. Io l'osservavo, stupefatto e bambino - usciva del fumo dalle sue nari quasi respirasse l'aria fredda dell'addio prima di muovere un passo. Una nuvola grigia è passata sulle nostre pelli allora: tu non desideravi più esistere e le mie mani erano troppo piccole e i miei occhi troppo pieni di lacrime per impedirti di celarti di nuovo dietro le maglie di una mera sopravvivenza. Era una nuvola grigia che copriva i fumi caldi di vita che ci uscivano dalle nari. Oh si, tu ora esisti eccome e io sono trascinato via da una malattia dal nome impronunciabile; questa non è la stagione delle nebbie ma so per certo quale alito di vita ci ha sfiorato i volti prima che ci voltassimo tramutandoci entrambi in statue di sale.