(Redazione) - Nota di lettura su "Dissociazione elementare" di Silvia Gelosi (Arcipelago Itaca edizioni, 2022)


È uscita poco tempo fa per Arcipelago Itaca edizioni la raccolta poetica di Silvia Gelosi Dissociazione elementare. 
La raccolta si caratterizza per una innata eleganza, sia strutturale che sonora, che non scema - anzi paradossalmente aumenta - in relazione alle tematiche profonde che affronta. 
Di quale dissociazione l'autrice intenda comunicare al lettore l'esistenza lo scopriamo passo dopo passo, senza fretta, con la lentezza che l'intera raccolta richiama a sé. 
Tuttavia non sfugge già nel titolo il paradosso (e l'ossimoro), che abilmente la poeta lascia scivolare con estrema nonchalance tra le pieghe del libro, e che pone il lettore in attenzione concentrata. 
È possibile che ciò che è elemento (quindi essenza) possa essere dissociato? E, dissociando un elemento costitutivo dal suo altro da sé, cosa resta della sua vitalità iniziale?
Silvia Gelosi struttura la sua silloge con una struttura che appare a chi la legge immediatamente binomiale; in cui la parte sinistra porta con sé la descrizione di un reale, presente o passato, su cui non si può discutere e al quale, a destra, viene affiancato il mondo del desiderio, dell'onirico, di ciò che potrebbe essere se solo...
E forse è proprio in questa struttura a binomi, che affianca ciò che è a ciò che si vorrebbe che fosse che si insinua la più elementare delle dissociazioni. 
Elementare qui forse prende una connotazione laterale importante e diviene quasi sinonimo di comune, vissuto da tutti, quindi con-vissuto. 
Persino la differenziazione grafica tra le composizioni a sinistra (tutte tra parentesi quadre in corsivo) e quelle a destra, dal formato più classico, aiuta il lettore a prendere il giusto ritmo di lettura e a rimbalzare, come palla da ping-pong, tra due mondi sicuramente limitrofi ma che non si sa quanto comunicanti e/o in conflitto. 
Facciamo un esempio qui sotto.
Al testo nella pagina sinistra

[Questo scrivere che squaderna sopra ogni riga
aperta tra un respiro e l'altro mi tiene
un mondo breve
un giardini chiuso all'ombra dove l'acqua
resta ferma tra le crepe  -terranera-
sotto roccia che mi scava.]

Viene affiancato sulla pagine destra il seguente componimento

Questo stare lì ancora e ancora mi dici
ma tu non sai il mio dove e qui
la luce manca, l'angolo è un'ombra.
Piove settembre e ho meno fame 
far da mangiare e non avere bocca adesso
si ingiallisce la pianta, muore alla finestra
lo scuro è qui dentro. Soltanto in cucina
tra il forno e il lavandino distinguo
il tempo tra una cottura e l'altra.
Le stagioni mi rincorrono sul retro
il ciliegio che non vuole, l'innesto è una ferita;
lo stesso spacco che non si chiude
questo niente che mi copre.

Qui la dissociazione è evidente sia tra le due composizioni, che tuttavia mantengono un filo rosso, un legame tenue nel primo identico aggettivo eletto in entrambe (l'aggettivo è: questo), sia all'interno delle singole composizioni che si caratterizzano per forti balzi non solo di significato ma anche sonori ed espressivi. 
Si noti ad esempio la magnifica ambiguità dell'ultimo verso della prima composizione, che non lascia volutamente comprendere se sia la roccia a scavare o l'acqua ferma del verso precedente. 
E poi una roccia che scava non si dissocia forse dall'immaginario comune, dal suo essere nella normalità del nostro sentire oggetto di scavo e non il soggetto della stessa operazione?
A sinistra, pare a chi scrive, troviamo un dire più tenue, meno delineato e marcato, un simbolico forse più battente ma delicato. 
A destra, al contrario, sembra battere un cuore umano fatto di pulsazioni di parole, non privo di aritmie e sincopi, un dire non certo tenue e liscio, ma saltato, eppur mai e-saltato. Resta infatti concreta e piena la relazione col reale. 
È il passaggio dal mondo del dire al quello del dirsi in cui l'autrice si dimostra eccellente penna che si pone in una precisa tradizione. 
E se parlo di eccellenza è perché nel suo dirsi Silvia Gelosi è capace di comunicare a tutti elementi universali, tra i quali una dissociazione che è certo ferita e dolore, ma anche crepa che può essere seminata di consapevolezza. 
"Ogni atto creativo è un atto dissociativo", sembra dirci l'autrice. Ogni parola è strappo, fessurazione, divisione. 
Non so se consapevole o meno, ma questo pensiero è sicuramente figlio di una tradizione molto antica, anzi, per dirla in termini sapienziali dell'Antico che si insinua in ogni tradizione.
E ogni insinuazione necessita di una dissociazione del dire dalla sua sorgente silenziosa.
Quella di Silvia Gelosi è un'opera matura e piena che consiglio a tutti di leggere con profonda attenzione e con la lentezza che ogni strappo, ogni dissociazione, richiama prima della sua ricucitura. 

Per la redazione il caporedattore
Sergio Daniele DONATI

stampa la pagina

Commenti