(Redazione) - Dissolvenze - 29 - Such is life

 
A cura di Arianna Bonino




Poesia d’amore per Sunday (1)

In questi luoghi
iniziava la selva.
Le foglie tutt’attorno a noi:
solo gli uccelli
videro i nostri sguardi,
solo il torrente correva con noi,
solo quel profumo caldo, il suo tocco,
fu testimone delle nostre carezze.

Sidney Nolan, sebbene poco noto in Italia, è stato uno dei maggiori pittori australiani.
Se solo si fa una breve ricerca su questo artista, Nolan risulta conosciuto soprattutto per la serie di dipinti dedicati a Ned Kelly, eroe australo-irlandese che si ribellò alle vessazioni subite dalla popolazione da parte della polizia della colonia britannica di Victoria, ma anche fuorilegge, rapinatore di banche e ladro di cavalli, condannato venticinquenne a morte per impiccagione, morte avvenuta l’11 novembre del 1880 davanti al carcere di Melbourne, in presenza di una folla di cinquemila persone, alcune delle quali udirono Kelly pronunciare le sue ultime parole: “Such is life”.


Ma torniamo innanzi tutto a Nolan, perché qui c’è da scrivere anche di lui, soprattutto di lui, non solo della sua arte. Nella sua vita sono accaduti fatti strani e a me interessa l’incontro che ebbe con una donna inquietante per quel che le accadde, una donna trasformata in qualcos’altro, dopo il naufragio a cui sopravvisse. Una donna a quattro zampe.
Nato nel 1917 a Carlton, un sobborgo operaio di Melbourne, Nolan s’iscrisse quattordicenne al Prahran Technical College, nella baia di Saint Kilda, dove si era trasferita la famiglia quando lui era ancora un ragazzino, il maggiore di cinque fratelli, e a sedici anni iniziò a lavorare per la Fayrefield Hats di Abbotsford; qui, per i successivi sei anni, applicò tecniche di verniciatura e pittura spray producendo stand pubblicitari. Studiò arte, anche se in modo non convenzionale e continuativo e imparò a padroneggiare molteplici tecniche, che metterà a frutto nella sua lunga, varia e prolifica carriera.
Insieme a Jhon Perceval, Albert Tucker, Joy Hester e Arthur Boyd, Nolan fu una delle figure principali dell’ Heide Circle, dove entrò in contatto con i mecenati John e Sunday Reed, un incontro, quest’ultimo, determinante e fatale più sul piano del destino personale che su quello professionale ed artistico, in ogni caso intimamente e indissolubilmente legati nella vita di Sidney Nolan.
Nel 1938 Nolan incontrò la graphic designer Elizabeth Paterson, che sposò e dalla quale ebbe una figlia. Un matrimonio che naufragò molto presto, con ogni probabilità a causa del particolare “coinvolgimento” personale di Nolan con i coniugi Reed, andato ormai ben oltre il perimetro degli interessi meramente artistici. Nolan e Sunday divennero apertamente amanti. Trasgressione non veniale, anzi, dipendenza velenifera che percorrerà l’intera esistenza di Nolan, anche in assenza di lei, anche quando il loro sangue diventerà reciprocamente gelido, distante.
Negli anni ’40 Nolan, di fronte alla possibilità di essere arruolato per andare a combattere in Papua Nuova Guinea, diserta. Una subordinazione all’ordine costituto che lo avvicina al suo eroico antieroe Ned Kelly.
Sono gli stessi anni in cui si unisce agli Angry Penguins, il movimento artistico dei surrealisti ed espressionisti australiani che, come redattore dell’omonima rivista, lo mette in contatto con la poesia “oscena” e anticonformista di Ern Malley, che sarà uno dei principali ispiratori dei suoi dipinti.
I dipinti di Nolan dedicati a Kelly sono senz’altro un modo per riportare all’attenzione un capitolo centrale della storia australiana e con lei di quei paesaggi pieni di contrasti, resi da Nolan grazie all’uso di colori violenti e di elementi disturbanti, ove la linea dell’orizzonte taglia con il rosso sanguigno della terra deserta il cielo pesante e minaccioso.


Sono scenari in cui il figurativismo, mai abbandonato da Nolan nonostante la vicinanza e la comunione coi surrealisti degli Angry Penguins, si traduce in forme umane, animali e vegetali realistiche, che tuttavia hanno anche elementi di astrattatismo e proporzioni talvolta distorte, simboliche: sulla skyline compare un cavaliere oscuro e mascherato, il cui volto non è mai visibile, protetto da uno strano elmo nero, spaventoso nello svelare solo enormi occhi impenetrabili. È Ned Kelly a cavallo, ritratto mentre compie le sue scorribande e i suoi delitti, in bilico tra eroismo e delinquenza, tra onore ed efferatezza. I tratti sono ridotti all’essenziale e questa semplificazione carica di brutalità l’impatto dei dipinti, i cui elementi infatti sono poi assurti a icona, in particolare l’elmo nero di Kelly.


Le opere di Nolan dedicate a Kelly, esposte al MoMa di New York e al Tate di Londra, per la critica sono paragonabili, per la loro iconicità, ai manichini di De Chirico, così come ai papi di Bacon.
Ma Kelly, nei dipinti di Nolan, è sempre e soprattutto una metafora di Nolan stesso, della sua contraddittorietà e ambiguità, della sua doppiezza, della fuga impossibile da se stessi.
A partire dal 1947 Nolan visse letteralmente per una decina d’anni coi Reed, ma Sunday non lasciò il marito e Nolan decise di sposare la sorella del marito di Sunday, Cynthia, pur continuando a vivere, inevitabilmente, il suo legame avvelenato con Sunday (Cynthia verrà trovata morta nel novembre del 1976 in una camera d’albergo a Londra, per overdose di barbiturici, e Nolan sposerà due anni dopo Mary, ex moglie del pittore Jhon Perceval, alcolista e schizofrenico, ricoverato presso l’ospedale psichiatrico di Melbourne dal 1974 al 1981).
Il rapporto corrotto con Sunday e il di lei coniuge, destinato dalla nascita a farsi tossico, degenera in ossessione, angoscia, rifiuto, morbosità. Nolan parlerà in merito di “un periodo cupo della mia vita”, trascorso in un ambiente opprimente, degenerato, vessante, che lo avrebbe condizionato a livello fisico ed esistenziale, come si coglie dallo stesso libro di poesie che pubblicò nel 1971 (“Paradise Garden”), ove i due coniugi Reed vengono dipinti come figure predatorie e moleste. Eppure, dagli stessi testi, come da altri diari e documenti, emerge, al contrario, un suo paradossale consenso alla manipolazione e al soggiogamento che avrebbe subito.


Ma andiamo con ordine e torniamo agli anni ’50: in quel periodo Nolan fotografa il Queensland e in particolare quelle carcasse di cavalli e altri mammiferi piene di cavità e polvere, e di orbite al posto degli sguardi vivi; sono soggetti che torneranno nella sua pittura.


Nolan ebbe però anche modo di visitare la Great Sandy Island (in seguito ribattezzata Fraser Island) in compagnia del giovane poeta Barret Reid.
La promessa di impressionanti scenari naturali offerti dall’isola non fu delusa, in particolare lo colpirono le scogliere, con quel disegno naturale forgiato da venti e mari tempestosi e violenti, gli stessi che anni prima erano stati fatali a qualcun’altro e in altro modo.
Nolan infatti venne a conoscenza di una strana storia, difficile a credersi, pur narrando di fatti reali. Ne lesse presso la John Oxley library di Brisbane e ebbe modo di sentire più volte e da più voci quel racconto pauroso. Il dettaglio che lo turbò e lo spinse ad indagare fu il fatto che Eliza Fraser fosse sopravvissuta.
Bisogna ricordare che proprio sulle rive della Great Sandy Island, il 22 maggio 1836 aveva fatto naufragio il brigantino inglese Stirling Castle, sul quale, oltre ad un carico di alcolici e a un equipaggio di diciotto membri, si trovava appunto anche Eliza Fraser, moglie del capitano James, comandante del brigantino. La barriera corallina, si sa, non perdona, e fu fatale anche allo Stirling Caste. Gli undici sopravvissuti occuparono le due scialuppe di salvataggio e si diressero verso sud, dove, stando alla narrazione dei fatti resa in seguito da Eliza Frazer, sopravvissero mangiando pandano e bacche, fino ad approdare, infine, a Hook Point. Il capitano Frazer morì di fame e a causa delle ferite riportate durante e dopo il naufragio. A questo punto la storia si fa oscura: Eliza raccontò di essere stata catturata dalla tribù dei Badtjala e trattata dagli stessi alla stregua di una bestia. Altri sopravvissuti contestarono questa versione dei fatti, dicendo che Eliza fosse pazza e che non dicesse il vero. In ogni caso, la versione di Eliza Fraser fu alla base del massacro dei Badtjala e all'estromissione degli stessi dall’isola. Eliza fu salvata e tornò in patria grazie all’ex detenuto irlandese John Graham; sposò in seguito un altro capitano di mare, Alexander Greene, con cui tornò infine in Inghilterra. Non è del tutto chiaro come si siano realmente svolti i fatti, se sia andata come disse Eliza o se si sia trattato della proiezione di un suo desiderio non diversamente esprimibile di essere sottomessa e brutalizzata, così come non è chiaro quanto abbia in realtà Nolan desiderato e permesso che Sunday lo soggiogasse a sé senza amore.
Certe cose non si fanno mai del tutto nitide, restano avviluppate da una foschia pari solo a quella che si leva dal terreno umido su una foresta di mangrovie.
Nolan dipinge la Eliza che desidera mostrare: una donna sopravvissuta a un terribile naufragio, catturata dagli indigeni locali, denudata e ridotta in schiavitù. Nell’immaginario di Nolan Eliza si fa animale potente, vulnerabile e selvaggio, in un ambiente lussureggiante e terribile come può esserlo solo quella foresta di mangrovie.
Nolan ritrae il soggetto in una serie di quadri che rappresentano uno dei suoi più creativi e intensi momenti di produzione artistica, pur se con scarso successo, forse anche per l’innovazione stilistica delle sue opere, ibride nelle tecniche di realizzazione e irriducibili a categorie e correnti.
Mrs Frazer, lei: una naufraga sopravvissuta, ridotta a bestia, reificata, usata. È un modo per vendicarsi dalla dipendenza (immorale) da Sunday, umiliandola attraverso un ritratto così degradante? Forse un modo per convincersi di essersi liberati di lei, di loro, di quel se stesso passivo, deprimente, angoscioso.
Poco successo, solo qualche opera venduta, in quel periodo.
Non “Mrs Fraser”, perché quel quadro Nolan non lo mise mai in vendita, lo tenne solo per sé, un feticcio privato, una sua ossessione intima.


Circa la scena dipinta, è e rimane inquietudine: una donna- animale che raccoglie legna, una prospettiva soffocante e chiusa, un campo visivo che pare lo stesso restituito allo sguardo di un cacciatore che, in cerca di prede, osservi il paesaggio con un binocolo, incappando in qualcosa di inaspettato e mostruoso. E quella mano di lei che esce dal visibile, che chiede aiuto, forse afferrata da qualcosa, da qualcuno.
Qualcosa di indicibile che si contorce, qualcosa di incombente, come una materia sconosciuta che non si mostra, ma si sa in agguato oltre la foschia silenziosa, sulle mangrovie selvagge. Imponderabile e insondabile, una presenza mortifera e violenta si espande dal dipinto e aleggia oltre la cornice, oltre il lecito, oltre la quiete, oltre l’ordine impossibile delle cose, proprio alle nostre spalle mentre guardiamo lei, di cui non conosceremo mai il vero volto.

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NOTE
(1) - La poesia integrale è citata da Barrie Reid in “Letters of the Artist” in Making Country, antologia postuma dei suoi versi (Barrett Reid, Making Country, Angus & Robertson, 1995, p.17). La traduzione è mia.
(2) -  Sidney Nolan, “Paradise Garden”, R. Alistair McAlpine Publishing Ltd, 1971
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