(Redazione) - A proposito de "Gli spostamenti del desiderio" di Raffaela Fazio (Moretti & VItali ed., 2023) - Una lettera aperta all'autrice di Sergio Daniele Donati




Scrivere note di lettura, e ancor più recensioni, presuppone - almeno così dicono - una sorta di distacco dello scrivente dall'opera, un porsi prima, dopo o, comunque altrove, rispetto al testo. 
Sarebbe questa una necessità, si dice, per poter arrivare a quel minus di capacità critica che permetta un dire sulla parola altrui. 
Ma l'estensore di una nota é in primis un lettore e, come nel caso di specie, un pluririlettore dell'opera e alcuni tipi di lettura, credetemi, sembrano andare in direzione opposta e contraria a quella del distacco. 
Per questo motivo ciò che dirò e scriverò a proposito di "Gli spostamenti del desiderio" di Raffaela Fazio (Moretti e VItali ed., 2023) non potrà che essere letto come una sorta di lettera aperta all'autrice, alla poeta che ha illuminato, con la sua scrittura, passaggi che riguardano anche, e forse soprattutto, il mio percorso nella e con la parola. 

Opera estremamente dinamica quella di Raffaela Fazio, già dal suo titolo provoca in chi la legge un movimento che pare sorgere da una mancanza o, forse, da un'assenza. 
Tralasciando l'evidente richiamo dinamico del termine spostamenti nel titolo, è evidente quanto lo stesso termine desiderio sia del registro del moto
Infatti, sia che alla particella latina de si dia funzione privativa (desiderio come mancanza di stelle) che di origine (desiderio come forza creatrice proveniente dalle stelle), è evidente che il solo richiamo della parola per chi la legge è quella di un movimento, di un richiamo psicologico, corporeo ed etico che non ci lascia mai uguali a prima di averlo percepito. 

Penso di poter dire che quella di Raffaela Fazio è un'opera in cui la parola gioca su piani apparentemente antitetici che creano nel lettore un humus atto a far germogliare consapevolezza, sia di ciò che la poeta dice che di sé stesso. 
Anche nelle descrizioni più minuziose del dolore e della sofferenza, della mancanza e dell'assenza, c'è nel procedere di Raffaela Fazio una spinta alla comprensione, alla traduzione in legge del vissuto personale. 
La sua è dunque una poesia dagli alti contenuti filosofici che però non rinuncia alla descrizione quasi chirurgica dei suoi elementi compositivi. 
Leggerla significa proceder per anamnesi e diagnosi con la precisione lenta del medico esperto, perché ciò che risulta evidente dello sforzo, e dell'esito, poetico della poeta è che forse il desiderio che sottende a questo lavoro, unico nel panorama contemporaneo, è verso la comprensione. 

Ebbene, in questa lettera aperta all'autrice, il mio primo moto è quello del ringraziamento. 
In un momento storico in cui sempre di più vige la stra-preponderanza di un poetare incapace di uscire dal mero registro descrittivo, in cui si percepisce una sorta di allergia dei più a vedere nella conoscenza e nello sforzo etico una delle finalità possibili della poesia, l'opera di Raffaela Fazio assurge a ruolo di controcanto necessario. E io, per questo e tanto altro, ringrazio. 

Questo elemento di spinta verso un dire che com-prende e permette al lettore di com-prendersi è un crescendo costante, una sorta di climax, nelle cinque sezioni che compongono l'opera. 
E anche questo mi provoca un moto di gratitudine perché é di tutta evidenza che la poeta é figlia di un insegnamento e di una consapevolezza che vuole che ciò che più ha peso vada trasmesso goccia a goccia, con sapienziale cura e, soprattutto, rimanendo sempre coscienti che chi riceve stimolo alla conoscenza deve spostare dentro di sé ammassi e inciampi prima che la luce della comprensione si accenda. 

Raffaela Fazio, che pure è capace in alcuni passaggi di portare il lettore al pianto, questo sembra saperlo benissimo. 
La sua è una scrittura sempre rispettosa del lettore, una scrittura suggeritiva e mai impositiva e, soprattutto, una scrittura che lascia aperto il campo del dialogo. 
E, infatti, la poeta dialoga, in più di un componimento con tanti personaggi storici e del Mito, autori, poeti e artisti. E anche di questo io ringrazio.

Sapete bene come io ponga sempre l'accento sulla necessità di ri-trovare nella poesia contemporanea l'elemento dialogico. E sapete bene come questo elemento appaia, al contrario, sempre più carente, quasi che al poeta contemporaneo prema soprattutto la manifestazione-espressione di un proprio ego del tutto troppo ingombrante. 
Non parlo qui certo degli atteggiamenti, delle pose extra-scritturali, di molti - argomento questo che poco mi interessa.
Parlo proprio e precisamente delle scritture imperanti, in cui si assiste, purtroppo sempre più spesso, a malcelati tentativi di imposizione poetica. 

Ecco: Raffaela Fazio é voce fuori dal coro. Il suo è un detto bisbigliato, mai impositivo, mai assertivo, e, proprio per questo, efficacemente filosofico, aperto al dialogo e di movimento. 
E, se c'è un desiderio che questa opera sposta, è quello del lettore (dall'essere compreso al comprendersi).
Leggendo questa opera, anche il lettore rinuncia a parti di sé, rinuncia a ritrovarsi nel detto, ma, per paradosso, é proprio grazie a questa rinuncia che infine si ritrova a ritrovarsi integro e consapevole di sé in valli profonde.
Questa opera è un atto di delicato accompagnamento e spostamento dal desiderio di un ego imperante al riconoscimento di un Sé profondo. 
Per questo leggerla per me è stato un confronto continuo con le mie stesse fonti sapienziali, anche di cultura ebraica, che l'autrice mi ha in un certo senso obbligato a rivisitare, rinunciando alla sicumera di studi decennali, perché illuminate da luci che ancora non avevo colto.
E anche questo è un motivo di mia estrema gratitudine verso l'autrice. 

Sono dunque onorato e felice di potervi proporre qualche estratto dall'Opera esortandovi, senza esitazioni, a comprare la raccolta e a leggerla (e rileggerla) per compiere un viaggio iniziatico che vi porterà e percepirvi più ricchi di prima. 
Che sia per loro assenza, o perché da loro proviene la nostra spinta etica ed erotica, questa è un'opera che ci stimola a ricordare che le stelle ci esortano al movimento, alla conoscenza profonda di sé, e va letta, finalmente nel panorama della attuale poesia, come un dono. 

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore Sergio Daniele Donati
 


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Estratto dall'opera

Sono scesa
dove mi ero decisa a non entrare.
Mi avvicino al profumo
che insieme avevamo
più forte sui confini.

Non tornerò intera.

La memoria è un campo di mine.
Non si lascia abitare.
(agosto 2022)
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Qui dove nessuno
mi conosce né io nulla conosco 
cani randagi case non finite 
cose a loro agio
nella sospensione o nella fuga
mi scopro più vicina 
a te che come me
non sei in nessun luogo.
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20 giorni dalla tua morte

A un angolo di strada 
mi aspetto una sorpresa e la sorpresa
è questo mio improvviso 
aspettarti
che brucia perché dura un solo istante
s'immette per istinto
in quello di una volta

se allora - per litigio - 
non credevo tu venissi
ma ero (ti volevo, ti voglio così tanto)
sempre pronta.
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Capisco adesso il senso
del tempo che seguiva
per gli antichi 
un rito. Prescritto apriva
uno spazio buono
come un pasto
messo da parte per il momento giusto 
- tempo di arresto.

Dopo la morte il lutto
dava il permesso 
di risalire il corso
senza fretta
partendo dalla notte. 
Al cuore prestava una casa
perché vi svernasse
si proteggesse
dai lupi
e da sé stesso.
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Latenza

La mano resta uguale.
                                 Contiene 
lo stesso potenziale 
di amore e di violenza. 
Tutto è in latenza 
dal giorno in cui nasciamo.

                                 La mano 
resta uguale
anche adesso che ha rotto
quello che ha scosso 
                  ancora capace 
di protezione, capienza.

Ma ciò che si è rotto 
ora vuole 
che ogni pezzo riceva 
almeno una volta
                    il suo vero nome. 
Che non venga di nuovo
in fretta sepolto.

(dicembre 2020)
_____
Un istante 
e lo schianto è avvenuto

ma non ho capito 
se hai disinnescato 
il male che avevo in petto 
o se il pianto è esploso 
per il sospetto 
di un bene ignoto
più grande, più pericoloso.

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