Inediti (e poesia in grafica) di Raffaella Rossi

 


Sul dormiveglia del crepuscolo
si accendono le prime stelle
e muore il mio disincanto
per cercare nella volta celeste
qualcosa che ti rassomigli,
non ho mai dimenticato
la direzione di un tuo sorriso.
Restano le mani chiuse
pugni chiusi senza rabbia
non sfondano vetri
e non c’è sangue redentore sulle nocche.
Sono pugni che trattengono
la tua anatomia facciale
trasparente
afferrata in un batter di ciglia:
profanare gli angeli per averti
tentare di dormire per sognarti.



Voglio una pasqua lenta
che mi lasci abbandonata
sulle crepe della terra argillosa
a concimare l’ultimo bucaneve.

Non posso risorgere dopo tre giorni
ma posso morire ancora
per il mio bacio mancato
mentre accenno un sorriso disperato.

Io non ci sono
non so dove ho lasciato la pelle.
Dovrei rotolare in orizzontale
per riavvolgermi tutta intera
ma perderei la meraviglia
di alzare lo sguardo
o di lasciare l’occhio spalancato
sul ramo con le albicocche.
Devo mettermi in verticale
tessere una pelle compatta
adattarla alle nuove ossa
ricamare sopra
il silenzio di una coccola
che sale dall’indice alla spalla.
Forse ho lasciato la pelle
nelle parole difettose
graffianti sulle braccia
sul dorso, sulle cosce
arrivate fin sotto la pianta del piede.

Io sono là, proprio là
in quelle parole difettose
che non hanno regalato più
un giorno alla notte.


Mi piego in posizione supina
mi spiego nel buio,
non esiste soglia al cielo
comprendo.

Il mio indice
sull’orlo cieco delle tue vene
il cielo ha ceduto a te la soglia.
Comprendo.




Non so stereotipare il dolore
non compro offese e non le vendo.
Incasso senza cassa
non ricavando un centesimo
dall’avarizia degli altri.
Adesso nemmeno il tuo pugnale può trafiggermi
non c’è spazio
non c’è tessuto da forare
si passa soltanto da una parte all’altra.
Eri proprio tu la sagoma
sullo sfondo di un tramonto
che perdeva ogni onnipotenza
e appagava ogni tipo di esaltazione
verso l’infinito.
Ora insegnami
l’arte di ammaestrare un vuoto sincero
che di riempirsi usando un mazzo di erbette aromatiche
non ne vuole sapere.



Quanti discorsi da borghesucci
che hanno dimenticato la fame
Caino vuole uccidere Abele
chi vuole per forza gli scettri
gli ossequi e i rispetti
chi si scotta con gli ori falsi
e ti mette gli sgambetti
per un pugno di vanagloria senza gloria.
Che discorsi solitari
tutti avvinghiati senza ideali
stessa radice e uguale desinenza
questi discorsi invariabili
e senza parti morali.
Ma senti tu
senti
come si muove l’aria di maggio
al di sotto degli smerli della mia camicia
e come passa il vento
strusciando sul mio ombelico roseo
ma senti tu
come si muove il vento
sulla mia spalla destra
corteggia la mia grammatica
e si fa caldo sulle labbra screpolate.
Ma senti tu
la pioggia com’è calda oggi...

Cosa senti tu?


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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Raffaella Rossi (Avellino 1983), vive in un piccolo paese di provincia, dove svolge la professione di insegnante. Laureata in Archeologia, ha sempre dimostrato una grande passione per le tracce, non solo esterne. Dal 2007 si occupa di poesia visiva, ponendo l'attenzione su forme di comunicazioni verbali, accompagnate da forme visive. Il messaggio poetico è sviluppato facendo convergere al segno grafico altri tipi di segni, mettendo l'accento proprio sulla semanticità di questi ultimi. Ha pubblicato una silloge di poesie dal titolo “Stagioni e Riti” nel 2011. Nel 2023 ha pubblicato la raccolta poetica ”Epidermide Rara" con Eretica Edizioni. L’autrice ha ricevuto l’attenzione da parte di alcuni blog di poesie già con le sue prime poesie, ottenendo una prima traduzione in lingua spagnola per conto di “Laboratori Poesia”. Le sue poesie e recensioni poetiche per altri autori, sono fruibili on line e in una serie di antologie poetiche pubblicate dalle case editrice che hanno ritenuto meritevole la sua poesia ai concorsi. Per l’autrice, la poesia è la parola dell’anima, è un mezzo di comunicazione importante e salvifico, con funzioni anche demiurgiche. La poesia è un dono d’amore per se stessi e per gli altri.
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