(Redazione) - Una nota di lettura alla silloge di Davide Rocco Colacrai "D come Davide" (Le mezzelane Casa Editrice, 2023) - di Sergio Daniele Donati


Può la poesia divenire atto confessorio? Ancor meglio, può l'intenzione di un poeta essere quella di usare il verso per confessare sé stesso a sé stesso?
In realtà la domanda ha una ben banale risposta, prima facie
Ogni parola che sorga dalle nostre intime profondità ha un contenuto confessorio perché porta con sé tutti i detriti, le tracce e le radici del suo percorso di emersione, anche quando finge.
Dico banale perché in questa risposta si omette di parlare del dato volontario, di una scelta confessoria e si evita di tracciare una cosa del tutto evidente: ogni confessione suppone la commissione, almeno simbolica, di un reato di qualcosa che viene percepito a lungo come da nascondere e poi emerge in tutta la sua potenza. 

Al di là delle deviazioni e imprecisioni di linguaggio dei tempi moderni, ciò che percepiamo come bello di noi, non lo confessiamo mai. 
Semmai ne parliamo. 
Lo celiamo se siamo ritrosi, lo mostriamo se non lo siamo. Il bello non si confessa, si dice

La confessione, al contrario, comporta una parola pesante, nel senso stretto e positivo di portatrice di peso, e riguarda sempre ciò che quantomeno nel nostro foro interiore percepiamo di errato in noi stessi. 
Questo lo sa bene chi vi scrive, giurista ed avvocato, e lo sa ancor meglio Davide Rocco Colacrai, autore della magnifica raccolta poetica "D come Davide" (Le Mezzelane Casa Editrice, 2023), a sua volta giurista e criminologo.

Dice l'autore: "La Poesia e la Musica / non sono cose terrestri / appartengono al Mondo Superiore." Così scriveva il Maestro Peter Deunov. Sono anni che mi faccio perseguitare da questa idea, tanto precisa quanto instancabile, di realizzare attraverso i miei versi una forma di confessione, che dalla sua dimensione strettamente personale possa con naturalezza trasformarsi in una storia del mondo alla quale chi ha il coraggio di accostarsi possa ascoltarsi, e persino riconoscersi. Ed è arrivato il momento oggi di affidarvi i suoi frammenti, le sue "storie di plurali al singolare", in modo che ciascuno possa ricomporli nella più bella delle orchestre che i versi sanno creare: quella del cuore. (Davide Rocco Colacrai)

Ecco forse la prima e più importante confessione che ogni poeta dovrebbe fare è proprio questa: chi scrive poesie è sempre almeno un poco reo di furto. Chi scrive poesie sottrae le parole che naturalmente appartengono al mondo superiore di ciò che terrestre non è,  e le obbliga ad una discesa perigliosa nell'umano. Una sorta di peccato originale di chi alla parola poetica si accosta, che certo ha un richiamo a filosofie molto antiche e purtroppo attualmente poco percorse. 
Dico purtroppo perché quelle stesse linee di pensiero insegnano come questo furto del frutto sacro della parola ( se trasliamo dal racconto biblico o dal pensiero ebraico ) oppure questo furto prometeico del fuoco sacro agli dei della parola (se trasliamo dal mondo del mito greco) insegnano anche che la parola stessa è la via di redenzione da questo atto portatore di entropia.

La parola che si confessa e chi si confessa attraverso la parola - nulla impedisce di confessarsi attraverso musica o segno grafico - si fonda su scelte ponderate, forti e sublimi. 
Così il poeta in questa magnifica raccolta, dai tratti antichi e sapienziali, nelle sue lunghe composizioni ci accompagna al diretto contatto di una parola che si confessa e lo confessa e, va detto, brucia come brucia la cauterizzazione di una ferita, di un taglio.

Qui di seguito riporto tra degli omissis qualche verso significativo dell'opera ove ritengo che ciò che sinora ho cercato di dirvi sia più esplicito. Vi lascio con un suggerimento sincero: non perdetevi questa raccolta pienamente matura e capace di ridar peso ad una poesia contemporanea troppo spesso eccessivamente leggera e ludica; questi ultimi due aggettivi non qui in accezione positiva.

Per la redazione de LE PAROLE DI FEDRO
il caporedattore SERGIO DANIELE DONATI
(...)
mi veste la promessa che avevo fatta a me stessa
prima che mio padre potesse decidere
il mio nome

(...)
il mondo fragile ma bello
che scompone il mio sguardo
dalla forma di una foglia
che sorride
(...)

(...)
il suo canto in una lacrima
gli "amoremio" sostituiti dai rosari"
e tutte le obliquità attorte come nodi ai rostri del cuore.

(...)
sono figlia dell'amianto
che in un respiro nero d'uomo definisce la sua carne
(...)

(...)
cosa seminano i miei occhi per l'ultima volta
prima di congedarsi a questa vita
in un soffio di rugiada?
(...)
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ESTRATTI

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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Davide Rocco Colacrai - Giurista e Criminologo,(Kilchberg – Zurigo, 1981) partecipa da quindici anni ai Premi Letterari e nel frattempo ha ricevuto oltre mille riconoscimenti.
Tra gli ultimi, ricordiamo due Certificati di Eccellenza per “cultural activities and the promotion of literature in the world” rilasciati dalla Associazione Literary World Art, il Premio alla Carriera nell’ambito del Premio Internazionale “Carità è donarsi”di Massa, il Premio Universum organizzato dalla Universum Academy Switzerland (vinto nuovamente dopo dieci anni), il Premio Firenze Capitale d’Europa per la Sezione Legalità, il Premio alla Carriera nell’ambito del Premio Letterario “Talenti Vesuviani” di Napoli e il IV Premio Mundial A La Excelencia “El Aguila De Oro 2022” nella Sezione Letteratura come rappresentate dell’Italia.
Ė autore di dieci libri di poesia – l’ultimo D come Davide – Storie di plurali al singoloare Le Mezzelane Casa editrice, 2023.
Sue poesie sono state tradotte in inglese, in spagnolo, in francese, in russo, in albanese, in turco, in lingua cinese, in tedesco e in bengali. Nel tempo libero, studia arpa, colleziona 45 giri da tutto il mondo (ne possiede duemila), ama leggere, praticare sport all’aria aperta con il suo cane Mitty e viaggiare.

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