A un bimbo ucraino

La luce stanca le nostre retine
e così lo scoppio delle parole.
Sono bombe che lanciamo
per tener lontane quelle vere. 
Né è possibile chiudere gli occhi
- foss'anche per un battito di ciglia -
perché dietro il globo ci fissa un bimbo
- lo sguardo perso -
e chiede la restituzione 
di un'infanzia rubata.
Ma io ho frugato nelle mie tasche
e non ho nemmeno un ricordo
d'infanzia da donare.
Gli darei il sassolino
che tengo sempre con me
a ricordo di ciò 
a cui mi sono aggrappato
per sopravvivere. 
Gli sussurrerei le parole
che mi disse un vecchio
sul ciglio della strada
- stavo seduto sul marciapiede
incapace di respiro.
"Tieni sempre qualcosa di duro
in mano. Qualcosa di scuro".
Imparai col tempo 
che la saggezza di una mano
supera di gran lunga
qualsiasi affabulazione
e che la forza della preghiera
- anche atea -
è tanto simile alla tenacia della pietra.
Lo scoppio delle parole sulle bombe
è l'atomica che lanciamo su noi stessi
per non guardare negli occhi
quel bambino.
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