A mio figlio (fuor di scrittura)





A mio figlio,
il nuovo mondo

Ciò che non sai
è che il tempo spezza
e toglie ossigeno
a respiri già affannati;
non sai che
stelle e firmamenti,
e voci e silenzi,
e lettere e corse folli,
e petali e danze
sono gocce
per riempire il
secchio dell'abisso
che ride; là sotto.

Non sai del bimbo
con le mani
sulle orecchie,
per non sentire.
Non sai del volto
che si volta
per non guardare.
Non sai dell'urlo
soffocato: guardami.
Non sai della carezza
nel ghiaccio e
della testa
sull'asfalto
e la moto a terra
con la ruota anteriore
che ancora gira,
come gira la follia
per questo mondo.

Ciò che non sai ancora,
è che essere padri
è vivere
pregando che
l'ossidiana dei tuoi
occhi
si posi su ciò che
chi non ha ancora parola
chiama distratto amore,
che la tua mano
batta su tasti
di pianoforti
antichi
e non su schegge
di coscienza.

Essere padre,
è ora che tu lo sappia,
è chiedere, urlare,
imporre
a un mondo distratto
di ascoltare
il tuo nome.

Ciò che ora,
se mi leggi,
sai
è che un padre
si scortica
le mani
nelle terre dure
e solitarie
del suo passato,
spostando sassi e
radici pesanti
sotto il ghiaccio
per trovare
una gemma
col tuo nome
inciso a fuoco.

Una gemma
forse l'unica,
da mostrare
al mondo,
estratta dalle dune immense
dei suoi deserti,
mentre il falco taglia il cielo
in tangram non ricomponibili.

Là, tra quelle dune
si trasforma
l'urlo in speranza
e il sole in gocce di pioggia
fertile;
su terre aride.

Allora prendi ciò
che ancora non sai,
figlio,
e gettalo lontano
dai tuoi occhi;
e che rimbalzi
come un sasso sul lago
degli occhi umidi
di tuo padre.





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Commenti

  1. BELLISSIMA E SINCERA, VERE PAROLE.

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  2. Tosta e struggente. Un grido. Qui ci sono i fratelli Prometeo e Epimeteo!

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    1. Prometeo e Epimeteo ... uno sviluppo interpretativo davvero interessante. Grazie

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  3. Bella Sergio... Ne hai scritta una anche per i padri?

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