Ciò che non sai è che il tempo spezza e toglie ossigeno a respiri già affannati; non sai che stelle e firmamenti, e voci e silenzi, e lettere e corse folli, e petali e danze sono gocce per riempire il secchio dell'abisso che ride; là sotto.
Non sai del bimbo con le mani sulle orecchie, per non sentire. Non sai del volto che si volta per non guardare. Non sai dell'urlo soffocato: guardami. Non sai della carezza nel ghiaccio e della testa sull'asfalto e la moto a terra con la ruota anteriore che ancora gira, come gira la follia per questo mondo.
Ciò che non sai ancora, è che essere padri è vivere pregando che l'ossidiana dei tuoi occhi si posi su ciò che chi non ha ancora parola chiama distratto amore, che la tua mano batta su tasti di pianoforti antichi e non su schegge di coscienza.
Essere padre, è ora che tu lo sappia, è chiedere, urlare, imporre a un mondo distratto di ascoltare il tuo nome.
Ciò che ora, se mi leggi, sai è che un padre si scortica le mani nelle terre dure e solitarie del suo passato, spostando sassi e radici pesanti sotto il ghiaccio per trovare una gemma col tuo nome inciso a fuoco.
Una gemma forse l'unica, da mostrare al mondo, estratta dalle dune immense dei suoi deserti, mentre il falco taglia il cielo in tangram non ricomponibili.
Là, tra quelle dune si trasforma l'urlo in speranza e il sole in gocce di pioggia fertile; su terre aride.
Allora prendi ciò che ancora non sai, figlio, e gettalo lontano dai tuoi occhi; e che rimbalzi come un sasso sul lago degli occhi umidi di tuo padre.
BELLISSIMA E SINCERA, VERE PAROLE.
RispondiEliminaRingrazio davvero dal profondo
EliminaTosta e struggente. Un grido. Qui ci sono i fratelli Prometeo e Epimeteo!
RispondiEliminaPrometeo e Epimeteo ... uno sviluppo interpretativo davvero interessante. Grazie
EliminaBella Sergio... Ne hai scritta una anche per i padri?
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