(Redazione) - Fisiologia dei significanti in poesia - 13 - Perchè l’analitico in poesia?

  

di Giansalvo Pio Fortunato  

C’è un interrogativo che da sempre caratterizza un’ipotetica riflessione o analisi sulla poesia: può un poeta vivere di sola parola.
È qui che, con tutta onestà, si innesta la riflessione totale su una fisiologia dei significanti in poesia. Una grossolana analisi, infatti, farebbe riferimento ad un sensazionalismo spicciolo e meramente ostensorio. Il poeta – si dice, infatti – attraverso la poesia fa miracoli, edifica mondi ed è sempre frustrato dall’inadeguatezza della parola, pur riuscendo a plasmarla così come vuole o così come l’ha in mente. Considerazioni, queste, certamente oneste. Ma, a dirla tutta, di un’onestà superficiale, capace di far scorgere un bieco e miope intimismo che fa poco il gioco autentico della poesia.
Si può essere dinanzi, invece, ad un altro intento motivante. Un intento che, seguendo l’analisi del precedente articolo [1], potremmo caratterizzare come tanto più ermeneutico e tanto più disposto ad una discesa viscerale nell’orma poetica. E, dunque, si parla dall’interno della parola poetica, dal suo sterrato fulminante ed immaginifico, dalle sue visceralità ombratili, dalle sue congiunzioni tra luce e buio, tra veemenza e rigido controllo, tra forza statica e fluidità reinventante, tra delineazione sistematica di un campo e continua apertura di quest’ultimo ad una natura ricettiva. Il problema di questo intento, come già precisavo, è proprio la capacità di far sentire la poesia, di farla essere vigorosa anche nei suoi tratteggi orientativi, pur senza chiarire fino in fondo da cosa sia realmente trainata. Perché – ed è ovvio e sacrosanto – la poesia maniene il suo misticismo; ma è altrettanto opportuno e necessario delineare precisamente questo misticismo. Farne vedere, per capirci, i contorni e renderli apprezzabili da ognuno. È chiaro che nell’atto poetico non si ritrovi quell’induzione analitica che si pretende qui di mettere in luce. È chiaro che ad essere tematizzato, così come già precisato nella distinzione tra Greifen e Zeigen [2], non è il sostrato che conduce alla poesia; non è la mano ispirata che fa alzare in volo la poesia. Eppure, pur non essendo tematizzata, essa esiste e veicola, compone, sostiene la percezione poetica e l’espressione che ne consegue.
Dov’è che si va a parare, allora? Si va a parare probabilmente nell’unico vicolo strettissimo, nel quale la poesia non vorrebbe andare a parare: il linguaggio. Dato, questo, assolutamente sorprendente. Anche perché una certa discussione diffusa – soprattutto in sacrali ambienti poetici – punta vigorosamente alla narrazione biografica, ad una diaristica nella quale, come sulla strada di Damasco, sia arrivata la miracolosa conversione poetica. Oppure si giunge immediatamente alla terminazione espressiva, al prodotto poetico, al segno (significante e significato) sulla carta, senza interessarsi alla domanda più semplice – e complessa, allo stesso tempo – che presenterebbe l’intero atto poetico: ogni poesia è fatta di parole, semplicemente?
Con quest’ultima affermazione – credo – si apra la strada alla più netta tra le complicazioni che possano istituirsi nel vivere la poesia autenticamente. Additare la poesia come un fenomeno di linguaggio significa, infatti, privarla di tutte le sue componenti ermeneutico-metafisiche; significa privarla di quello psicologismo che, soprattutto negli ultimi decenni, caratterizza una risposta immediata e consolatoria rispetto alla poesia. Il sostrato emotivo di un momento di vita che ha determinato il testo è certamente essenziale. La possibilità di sfruttare la poesia come mezzo e tramite per una riflessione più ad ampio raggio sulla vita, è certamente un esito sacrosanto che la poesia si pone (in fondo: il poeta vede ciò che gli altri non vedono). Il corpo della poesia, tuttavia, resta latitante. Così come la sua complessissima semplicità. Una complessissima semplicità che, se fosse posta adeguatamente in risalto, chiarirebbe quanto possa essere proibitivo ed immenso avvicinarsi alla poesia.
Dunque: ogni poesia è fatta di parole, semplicemente.
Qui, naturalmente, si pongono la sua croce e la sua delizia. Qui, vengono instaurati i motivi dell’originalità della poesia. Qui, vengono installate le sue contese, i suoi punti di arresto, le sue reticenze. Se, infatti, non si guarda al corpo vivo della poesia (la parola poetica), ci si imbatte in un falso miracolo. Ci si imbatte in un cadavere senz’occhi, in un vuoto di senso che può solleticare al massimo l’appetito di un apprendistato tetro in poesia. Obliterando i margini esterni della poesia, cercando di puntare al cuore, si arriva sempre alla più grande determinazione indeterminata di un nucleo poetico: la parola.
È la parola a creare ontologicamente – non solo formalmente – un nuovo mondo, una soglia che ricavi una ricezione di senso ed una costruzione di senso assolutamente nuova, inaudita. È la parola – per intenderci – che infonde il respiro ossigenante di una nuova presenza. È la parola poetica che non pone innanzi al lettore ed al poeta stesso un dispiegamento ottuso, atavico e chiuso. Pone, piuttosto, una relazionalità – a tratti gridata, a tratti sussurrata – che si satura solo nella duplice implicazione. Cerca, con poca pace di molti, di arrivare ad una logicità estrema, pur senza costruire entità fenomenico – incarnate. La parola poetica, allora, è il campo perfetto del fenomenico; in un fenomenico che non si istituisce nella pura sensazione trasmessa [3], ma nel raccoglimento procreativo, nell’assurdo desiderio di una plateale istituzione di molteplici mondi, attraverso un’unica strada.
Tale esito, appena presentato, richiede necessariamente una puntualizzazione: questa propulsione creativa è ravvisabile solo in un’analitica della parola poetica. Una posizione, quest’ultima, che certamente trova in disaccordo molti: individuare, infatti, una logicità nella parola poetica e, a maggior ragione, pretendere un’analitica che strizzi l’occhio ad un certa considerazione laica della parola poetica (da vedersi come parola poetica nella sua sola sussistenza materiale) pare non centrare il punto. Eppure fisiologia dei significanti in poesia, dopo un complesso di rimandi, di ampliamenti, di costruzioni late, punta proprio a questo: cercare di individuare il fenomeno poetico in tutta la sua grandezza. Quando, infatti, si sceglie ipoteticamente di appiattire la parola poetica su se stessa, l’appiattimento risulta solo apparente, riuscendo, invece, a dilatare le sue maglie al punto da far passare l’intensità e la forza reale della poesia stessa.
Senza esitazione: nel fenomeno poetico si conducono a compimento i massimi potenziali segnici del linguaggio, si alterano irreversibilmente i motivi rigorosi di significatività e significazione, ci si apre ad una connotazione che elude completamente la formale corrispondenza denotativa, ci si muove nel motivo di una mistica materiale della parola (nel raggiungimento dell’atto ontologico della parola [4], la parola mostra anche i suoi motivi ontologizzanti) e, sempre attraverso la parola poetica, si incanala anche il complesso di proprietà della percezione, arrivando al superamento di ogni forma adeguante di intelletto e mondo, intelletto e cosa.
La casa autentica della poesia, allora, è certamente se stessa. Ma, lo spioncino sulla casa poetica, pur dovendo avvenire attraverso la casa della poesia [5], deve porsi nelle fondamenta della casa; non edificarne un’altra. È così che si delineano la logicità, così l’analiticità, così il trionfo di una poesia che fa da guida alla parola naturale stessa. Da questa indagine sulla normale materia della poesia ne arriva un complesso di dati analitici quanto più chiarificatori possibili. Un complesso descrittivo che radicalizza la parola, evidenziando due effetti determinanti:
  1. la poesia non vuole altro che la sua propria parola
  2. la parola del poeta riesce, da se stessa, a ricreare l’incanto.
Con queste conclusioni, voglio semplicemente sottolineare che evidenziare una logicità della parola poetica non significa radicarla in un’analitica composta di senso, riferimento, verificazionismo. Si instaura, invece, proprio alla luce dell’esigenza di tirare completamente per il collo la parola poetica, la prospettiva autentica di ogni linguaggio parlato che, anche epistemicamente, agisce completamente solo nella parola poetica.
Note:
[1] Fisiologia dei significanti in poesia – 12- Ad oggi le teorizzazioni puntano al.. – 26/04/2025 – Le Parole di Fedro
[2] Fisiologia dei significanti in poesia – 10 – Greifen a Zeigen: la stretta conclusiva – 26/02/2025 – Le Parole di Fedro
[3] Tutta una fenomenologia della percezione chiarisce l’inconsistenza di un empirismo puro, di una sensazione assoluta. Dato, questo, riconfermato palesemente dall’esperienza poetica.
[4] Di un’ontologia non heideggeriana, non metafisica, pur rispondente ad uno stato di posta in esistenza.
[5] Nella poeticità allusiva e simbolica, già “a-posteriori”.
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