A chi gioca in poesia



A chi gioca in poesia 
col contrasto di parole
che si torcono attorno 
al filo di rame 
di un significato brunito 
malconcio e dimesso
vorrei dire: osserva!
Non sono forse sacre
l'argilla e la fonte 
a cui si abbevera ogni parola, 
prima di essere detta?

Nel bosco c'erano bacche 
che io non colsi
non per paura del loro veleno
ma perché non scolorissero
al contatto con una pelle impura.
I colori che la natura ci dona
hanno bisogno di cura
per divenire simbolo
del nostro passo claudicante
su una terra che fu emersione 
da acque ed abissi senza nome.

Occorre dirsi vinti per vestire
il saio rammendato del poeta,
vinti da una bellezza 
che è prima di ogni singulto.
Il bello ci obbliga alla traduzione
della lingua dell'Altrove
tenendoci incatenati al presente
e ride dei nostri limiti 
e del nostro scavo di lombrico
nella realtà della finzione.

Nel bosco c'erano sterpi e spine
- una rosso sangue di fiera -
e un ruscello cantava il canto
della tua assenza 
mentre lacrime e singhiozzi 
incapaci di trovare orifizi d'uscita
si tramutavano nella mia gola
in un barrito di cervo.

Nel bosco c'ero io,
a scavare a mani nude
e spostare massi di granito
per donarmi l'illusione 
di un ordine a me interdetto
da un cielo crudele.

Non giocare con la parola
prima di aver conosciuto
quella "selva oscura",
ché nulla è peggio
della prostituzione della parola
e della triste scelta di dar suono
al suono muto dell'indicibile.

______
Foto e testo - inedito 2024 -
di Sergio Daniele Donati 

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