(Redazione) - Il maschile - 04 - Guido e Dante. Verifica di una amicizia

A cura di David La Mantia

Non c’è verso. Il tema dell’amicizia sfugge inevitabilmente a qualsiasi definizione scontata.
Che si tratti dell’amicizia imberbe e tragica di Eurialo e Niso o di Cloridano e Medoro, di quella eroica tra Diomede e Ulisse o di quella comica e rassegnata di Don Chisciotte e Sancho Panza, che sia quella fumettistica tra Cico e Zagor, tra Tex Willer e Kit Carson, che sia quella tra “il bandito ed il campione” dell’omonima canzone di De Gregori, l’unico dato certo è che non esiste ricetta e che gli esiti di questo sentimento sono imprevedibili.
Da sempre, sin da quando ho cominciato a leggere seriamente testi poetici, l’amicizia tra Dante e Cavalcanti mi ha sempre interessato. Nata, stando a quel che ci racconta il Sommo nella Vita nova, dopo una ardita interpretazione di un sogno che il secondo fece al primo. 
E che piacque all’Alighieri a tal punto da renderlo quasi inseparabile in Firenze dal suo compagno di avventure. Dante e Guido. Divisi da pochi anni di età e soprattutto da una condizione economica ben diversa ( il primo sicuramente di bassa nobiltà, come sappiamo dal fatto che la sua famiglia non venne esiliata da Firenze dopo la disastrosa sconfitta di Montaperti del 1260, probabilmente figlio di un usuraio, come sostenuto con ironia da Forese Donati; il secondo di certo sangue blu, visto che la sua stirpe era vicina ai Cerchi, i capi della fazione Bianca, “la parte selvaggia”, che veniva dal contado e non apparteneva alla storia antica della città del Giglio), sigillata dalla cavalcatura e dall’armatura che il più ricco mise a disposizione del più povero per la battaglia di Campaldino del 1289. 
Elementi che sicuramente contribuirono a salvare la vita dell’autore della Commedia.
Emerge da questi dati e dal ritratto che Boccaccio fece nel Decameron del Cavalcanti un giovane generoso ed insieme orgoglioso fino all’arroganza, talora filosofo oltre che poeta, ironico commentatore dei vizi altrui, pronto a combattere per le sue idee fino alle estreme conseguenze. Un profilo rock ante litteram.
Rock come la disperazione d'amore, che risulta evidente nel rovesciamento del pensiero dantesco della donna angelicata, venuta sulla terra a miracol mostrare.
Perché c'è il Dante perfetto interprete del De Amore di Andrea Cappellano, tardo epigono di una tradizione erotica nata con Saffo, che attua la sua fenomenologia amoris (i sospiri, l'attesa del saluto della donna, "gli occhi che no l'ardiscon di guardare", "la lingua che divien tremando muta") con precisione metodica, finalizzata al concetto formidabile della donna come strumento di "ingentilimento" e salvezza.

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: sospira

E c'è il Guido attonito e sconvolto, esausto innamorato, consapevole che amare è precipitare nell'inferno, che omnia vincit amor, l'amore travolge ogni cosa, come pensava Virgilio. C'è Guido con il cuore inesorabilmente trafitto e morto.

Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
chè sospirando la distrugge amore
(...)

E ancora, in un altro testo delle Rime,

Noi sian le triste penne isbigotite,
le cesoiuze e ’l coltellin dolente
c’avemo scritte dolorosamente
quelle parole che vo’ avete udite.
(...)
le quali anno destrutto sì costui
ed ànno ’l posto sì presso a la morte,
ch’altro non n’è rimaso che sospiri.

È lo stilnovo, ragazzi.
Che, al contrario di quello che molti ci hanno raccontato, è un movimento molto articolato, molto vario, molto difforme. Che vuol dire il bolognese Guinizzelli, di circa venti anni più vecchio dei due fiorentini, legato a schemi ancora duecenteschi e tradizionali. Che vuol dire Lapo Gianni, un artista amico dei due grandi, un bravo manierista, protagonista dell'incantamento dell'amicizia del Sonetto dantesco "Guido, i vorrei che tu e Lapo ed io"

Ma c'è un testo di Guido in cui la polemica contro gli stilemi danteschi diventa, nella sua comicità ed ironia, ancora più netta. E feroce.

Guata, Manetto, quella scrignutuzza,
e pon’ ben mente com’è divisata
e com’è drittamente sfigurata
e quel che pare quand’ella s’agruzza!

Or, s’ella fosse vestita d’un’uzza
con cappellin’ e di vel soggolata
ed apparisse di dìe accompagnata
d’alcuna bella donna gentiluzza,

tu non avresti niquità sì forte
né saresti angoscioso sì d’amore
né sì involto di malinconia,

che tu non fossi a rischio de la morte
di tanto rider che farebbe ’l core:
o tu morresti, o fuggiresti via

Perché questa è una poesia spartiacque? Perché mette al centro "una scrignutuzza", una donna brutta, deforme, sgradevole, il perfetto rovesciamento della perfezione di Beatrice. Perché la scelta lessicale è volutamente aspra e cacofonica, l'opposto dello stile "soave e piano" di un Dante (scrignutuzza, agruzza, uzza, soggolata, niquità..). Perché, di fronte a una tale "visione d'orrore", l'unica vera salvezza è darsela a gambe prima di morire dal ridere.
Ma, soprattutto, la poesia risulta un attacco diretto all'autore del Convivio perché la poesia ha una apostrofe, in apertura, dedicata a Manetto Portinari, fratello di Beatrice. Al posto della donna angelicata e perfetta il suo scalcinato fratello. Ironia, rovesciamento, abbiamo detto. Ci sono tutti gli ingredienti del realismo alla Cecco Angiolieri, il senese che, con i due fiorentini, era uno degli esponenti di punta della setta dei "Fedeli d'amore".
Fedeli d'amore? Beh, Dante chiama "Fedeli d'Amore" nella Vita Nova quelle anime gentili alle quali sono indirizzati i suoi versi, le sole in grado di comprenderne il significato. Secondo testi recentissimi, il movimento era forse un terz'ordine laico affiliato ai cavalieri del Tempio, i famigerati templari. Il lessico di questa confraternita e le metafore impiegate sarebbero simili a quelli dei gruppi iniziatici dei Sufi e dei mistici ebraici, di cui, tra l'altro, restano certe documentazioni storiche. Secondo Guenon, gli stessi Stilnovisti avrebbero sviluppato un lessico ed un percorso, quasi un itinerarium in Deum, completo delle tecniche per arrivare all'estasi, favorire la separazione dello spirito dal corpo per toccare l'Assoluto, inesprimibile ed ineffabile.
Ma fermiamoci un attimo.
Abbiamo capito molte cose che univano Dante e Cavalcanti. Ed anche quelle che li dividevano nettamente. Di sicuro, dopo gli Ordinamenti di Giano della Bella e i successivi Temperamenti, tra il 1293 e il 1295, i rapporti tra loro diventarono politicamente più difficili. Perché Dante accettò di iscriversi ad un'arte pur di partecipare alle decisioni che contavano, fino a diventare priore, la massima carica della repubblica fiorentina, per due mesi, a metà del 1300. Perché Cavalcanti sdegnò, da bravo nobile, ogni ruolo che comportasse il lavorare, l'esercitare un mestiere. Perché non era cosa accettabile. Perché era squalificante.
C'era poi la questione dell'ateismo. Riprendiamo i versi del X canto dell'inferno, quelli in cui Dante incontra il padre di Guido, il noto eretico Cavalcante Cavalcanti, nel girone riservato agli Epicurei, che "l'anima con il corpo morta fenno".

Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;
e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,

piangendo disse: "Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
mio figlio ov’è? e perché non è teco?".

E io a lui: "Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno".

Poche considerazioni. Emerge una frequentazione assidua tra Dante e Guido, una stima notevole per la capacità tecnica del secondo. E poi una dubbia interpretazione degli ultimi due versi citati.
Chi sdegnò Guido? La ragione, come lascerebbe pensare il riferimento a chi guida Dante( Virgilio, allegoria dell'intelletto) e il comportamento sconsiderato che ebbe per Calendimaggio, il primo maggio del 1300, in cui , come Guelfo bianco, si distinse come assassino e facinoroso nella rissa con i Donati e gli altri Neri? O forse si fa riferimento ad altro? A Beatrice, ad una allegoria della fede in qualche modo contestata dall'amico di Dante?
Cavalcante, padre di Guido, era epicureo. E gli Epicurei, va detto, non credevano in una vita oltre la morte, in un Paradiso, in un Inferno, in cui veniva esercitata la giustizia divina. La fede dantesca e l'ateismo cavalcantiano, testimoniato anche da Boccaccio (Decameron VI, 9: "egli alquanto tenea della opinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse") potevano giustificare la rottura dell'amicizia? Caratteri di correnti radicali dell'aristotelismo averroistico sono del resto evidenti nella grande canzone dottrinale Donna me prega, in cui l'amore, anziché dal cuore, è alimentato nell'intelletto, che tuttavia non ha nessuna potestá su di lui. L'amore non giunge dalla ragione purificata, ma da quella sensitiva e per questo rende inefficace ogni sforzo dell'intelletto, poiché nelle decisioni il desiderio, la carnalitá si sostituisce ad ogni aspetto razionale. Niente metafisica o Logos, ma solo sensibilità. E quindi, indirettamente, Dante accusa l'amico di Ateismo, come molti hanno interpretato i versi dell'Inferno.
Ma ci sono dei ma.
Per esempio, il "forse" che apre il verso, come se neanche l'Alighieri fosse convinto fino in fondo di qualsiasi accusa. Per esempio, la vaghezza e l'oscurità dell'immagine, come se fosse necessario esprimersi in modo allegorico o simbolico.
E veniamo all'epilogo. Che è poi quello che davvero mi interessa. Come finisce un'amicizia.
Dante diventa priore e deve decidere sui fatti di sangue tra Bianchi e Neri. Su Calendimaggio. Dante è uno dei 6 a decidere. E vota come gli altri 5. Per l'esilio sia dei Cerchi che dei Donati, per l'esilio dei caporioni sia di una parte che dell'altra. Vota per l'esilio di tutti, in modo equo. Per l'esilio di Guido.
Una decisione dura e severa. Ma che ci sta.
Ma perché mandare i Neri in Umbria e i Bianchi a Sarzana ed in altre aree paludose? Non sa Dante che sta condannando alla malaria ed alla morte il suo amico? Perché i boschi intorno Perugia non presentano margini di rischio vero ed infatti i Donati ed i loro accoliti tornarono sani e salvi, mentre le zone dove i Cerchi con i loro seguaci furono relegati erano malsane e molti non tornarono più o tornarono per morire.
Dante non può non sapere. Dante sta uccidendo Cavalcanti.
Lo fa perché costretto? Lo fa perché la parte nera controllava la maggior parte dei priori e quindi opporsi non sarebbe servito a niente? Lo fa per interesse personale, in cambio di denaro o ruoli di prestigio? Lo fa perché sua moglie, una moglie spesso più sopportata che amata, è una parente di Corso Donati e gliel'ha chiesto? Lo fa perché Cavalcanti ormai era più un peso nella sua crescita poetica che un sostegno? Lo fa perché lo riteneva un eretico e degno di morire?
Sappiamo solo che, quando Cavalcanti morì a Firenze a fine agosto di quel fatidico 1300, Dante volle visitare il cadavere dell'amico. E rimase lì davanti, in silenzio, per diversi minuti.
È quel silenzio che dobbiamo ancora interpretare. Quel silenzio che cala una pietra tombale su una amicizia.
Quel silenzio.
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Bibliografia
  1. René Guenon, Esoterismo in Dante, Adelphi, 2001
  2. Alessandro Barbero, Dante, Laterza, 2020
  3. Dante Alighieri, Opere complete, Giunti, 2020
  4. Guido Cavalcanti, Rime, Carocci, 2011
  5. Poesia italiana. Il Duecento, Garzanti, 1968
  6. Giovanni Boccaccio, Decameron, Einaudi, 2014
  7. Antonio Catalfamo, Dante contro Cavalcanti, Solfanelli, 2019






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Commenti

  1. C’è una sfumatura in più su quell’amicizia, nelle parole del vecchio Cavalcanti. ‘Se per questo cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio ov’è? E perché non è ei teco?’ Dante sta visitando l’aldilà ‘per altezza d’ingegno’, e suo figlio ne è altrettanto qualificato; ma non solo. ‘Perché non è ei teco?’ Siete entrambi di alto e pari ingegno, e siete amici. Se ne fa una ragione solo quando fraintende la parola di Dante, ‘forse ..Guido vostro (lo) ebbe a disdegno’. Ebbe: Guido è morto, per questo non è accanto al vivo Dante. Insomma esce da questa scena l’impronta di una grande amicizia tra due grandi poeti, un’amicizia che porterebbe Guido fin nell’inferno, con Dante.

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