(Redazione) - Specchi e labirinti - 20 - Una recensione in forma di lettere (parlando della poetica di Maria Allo e altro)

A cura di Paola Deplano


Crotone, 07/05/23

Caro Sergio,
eccoci qui a parlare della nostra cara Maria Allo. 


O meglio, del suo libro Sul margine, da poco uscito per l’editore Interno Poesia. La dolcezza di questa donna riverbera nei suoi versi. Sono delicati, come è delicata lei. Una delicatezza tutt’altro che lagnosa ed effemminata, però. Del resto, è una forte donna di Sicilia, che abita presso l’Etna e ne ha ereditato la bellezza e i bagliori. La prima sezione della silloge s’intitola “Carte sparse”. Come non vedere un chiaro riferimento al suo caro – al nostro caro – Francesco Petrarca? “Voi che ascoltate in rime sparse il suono…”. Anche lui comincia così, nel suo Canzoniere, che è forse uno dei più bei libri di poesia di ogni tempo. Tolgo il forse. E credo che lo toglierebbe anche Maria, da fine conoscitrice di letterature antiche e moderne qual è. Una donna colta, che però veicola la cultura senza presuntuosi strombazzamenti. Le letture di cui si è nutrita ammiccano tra le righe, mai offuscando la peculiarità della sua voce delicata e forte. Ma forse è il caso di abbandonare il panegirico della persona Maria Allo, per passare alla lode di questo libro, facendo un esempio di ciò che dicevo prima a proposito del suo modo di far trapelare i classici e poi distaccarsene con la propria, originale, voce:

Non si muore
Non si muore che soli come puntute foglie
quando basterebbe lo sguardo colmo
di un melo in fiore e il coraggio di un cigno
dalle ali distese in pieno volo

Ecco un magico intreccio tra Quasimodo (“Ognuno sta solo sul cuor della terra…”), Menecmo (“Al modo delle foglie che nel tempo…”) e Ungaretti (“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie…”). Come ha fatto, mi chiedo? Come c’è riuscita a mescolare il tutto con tanta grazia, in modo che il lettore quasi non noti, se non per eco lontane, i riferimenti a dei poeti così grandi? Ma i miracoli non sono finiti qua. In questa poesia la Allo innesta su queste robuste radici uno slancio personale che spicca il volo dalla presa d’atto della caducità umana per portare alla naturale speranza del fiore, promessa del frutto, e al coraggio di un volatile puro ed elegante, pronto a volare altrove, in una probabile eternità. Racchiusa in questa quartina c’è una sorta di commedia che prende le mosse dalla certa e inevitabile morte per finire in un volo che suggerisce l’infinito e il suo Creatore. E, a proposito di Creatore, la Fede della Allo nell’Altissimo rende lieve e dorato tutto ciò che scrive. Non si muore, dice il titolo – e veramente le “ali distese in pieno volo” del cigno sembrano rappresentare il ritorno dell’Anima al suo Punto di Partenza. La chiusa di un’altra lirica (Sulle bocche) porta anch’essa il marchio dell’Eterno:

Vedi così agisce la luce
eppure in un punto convergente
nulla accadrà mai invano

La speranza, quindi, nonostante tutto. Nonostante gli inevitabili dolori che hanno attraversato la vita della poetessa. Lasciami volutamente parlare al femminile, che non è, a mio avviso, riduttivo, o sminuente. Una volta il nome “poeta”, aveva un maschile e un femminile, ma ora è invalsa l’abitudine di farlo diventare di genere comune, lasciando solo all’articolo la responsabilità di dichiarare se chi scrive sia un uomo o una donna. Non so, questa cosa mi mette un pochino a disagio. Riconosco che sia una moda nata forse con le migliori intenzioni, cioè quelle di rendere veramente manifesta la parità dei sessi, ma a me fa venire tristezza, perché mi sembra che in questo adagiarsi sul maschile, in questo toglierci l’utero, le ovaie ed amputarci i seni non ci stiamo guadagnando, noi donne. L’evoluzione della lingua italiana, poi, andrà dove vorrà, e non potrò certamente fermarla io. Però permettimi di pensare che io continuerò a parlare di poetesse, a costo di apparire antifemminista, antica e desueta. Tanto lo so di non essere nessuna delle tre cose.
Sergio, converrai con me che Maria è una vera poetessa, perché porta con sé tutta la ricchezza delle donne.
Solo una donna poteva concepire il petit poème en prose che sto per scriverti, tratto dalla sezione Frammenti:

Se non ora quando
L’alba tarda a far chiaro. 
Forse accade la stessa cosa a noi. Siamo colmi di memoria nel tempo che passa e si dilegua prima di sprofondare urlando nell’abisso. Mai sarà primavera per te Daniela, Natalia o Carmela e Ana Maria e ancora Maria Rita o Elisa vittime di pestaggi e torture. Perdura davanti a noi la violenza come per le vie del mondo il dolore non si tramuta. Eppure su ogni bacio è l’amore a trasformare il bene e il male, così in ogni riflesso della disperazione su questa terra prona. I loro nomi di battesimo come parole che l’amore aveva sperato di usare attraverso la pelle, diffondono luce tra i pini, più in alto per tutte le donne. (Io seguo la pace che avete dato in grazia) E tu perché continui a scrivere. Tutto è ancora da fare.

Ma quant’è bello questo finale? Questa domanda senza punto interrogativo, che diventa per questo gioco di punteggiatura una forte affermazione: E tu perché continui a scrivere. Non lo so. Posso solo rispondere a modo mio, con tremante incertezza. Per quanto mi riguarda, a volte detta il sogno, a volte detta la realtà.
Allora prendo una penna, scrivo.
Ti giro la domanda, Sergio. E aspetto di leggere cosa ti ha suscitato il libro di Maria.
Nel frattempo, ti mando un caro saluto

Paola
______

[N.D.R.: la risposta di Sergio Daniele Donati a questa lettera verrà pubblicata nella rubrica da lui curata Lo spazio vuoto tra le lettere in uscita il 01.07.2023. Da quella data la potrete leggere qui]



stampa la pagina

Commenti