(Redazione) - Su "Visioni d'abbandono" di Giuseppina Sciortino (Transeuropa edizioni, 2022)


Se c'è una cosa vera a proposito dell'abbandono, così come del lutto, è che esso non può esser detto.
L'assenza, con il suo portato traumatico, la fine di una relazione, sia essa amorosa o di altro registro, sono immensità che ci pongono di fronte a tutta la balbuzie e inciampo della parola. 
Eppure, quasi paradossalmente, di questo strozzo in poesia dalla notte dei tempi si cerca di parlare, quasi che a dar voce a quel singulto se ne trovasse magicamente la cura. 
L'abbandono si guarisce dicendo l'impossibilità della sua narrazione, confessando i limiti della parola di fronte al muro bianco e ineludibile della fine, della morte, vera o simbolica che sia, di qualche cosa che per noi ha contato. 
Per questo vado sempre molto cauto nel leggere nuove sillogi che dichiarano l'intento di descrivere l'indescrivibile, di dire l'indicibile.
Cautela questa che nasce dalla consapevolezza di quale fine arte ci voglia a cercare di descrivere per frammenti, brandelli, un tutto doloroso. 
Solo un occhio privo di miopie sa usare la parola per ricucire anche gli strappi più profondi, ben sapendo che non esiste ricucitura che non lasci segno ben determinabile da un occhio attento.
La silloge Visioni d'abbandono  di Giuseppina Sciortino (Transeuropa edizioni, 2022) è stata dunque da me approcciata con enorme cautela, che si è poi trasformata in un enorme sorriso perché, se c'è una cosa che la poeta ha saputo fare è onorare l'imperativo della tenuta (soprattutto nell'affrontare certi temi) e rendere la parola capace di un dire sobrio, rielaborato e rielaborante e tanto -  ma tanto davvero -  delicato. 
Queste alchimie, che spero emergano nel breve estratto qui sotto pubblicato, sono state molto abilmente create dalla poeta facendo uso di registri linguistici diversi e lontani tra loro quasi a voleri ricordare che  la parola che lenisce è la parola che sa far appello all'altro da sé, che non si appoggia sulla consuetudine, sull'abitudine - né di scrittura, né di lettura.
Una silloge davvero da leggere con profondità piena di una saggezza lenta e piana capace di ridonare alla parola tutta la dignità anche etica della scrittura. 
E, credetemi, questo è tutt'altro che usuale questo in un periodo storico in cui ricordare a chi ha pretese creative di penna che esiste anche una responsabilità della scrittura, e non solo la libertà di scrivere, viene preso come un gesto limitativo invece che di memoria di ciò che il gesto della scrittura comporta.
La Sciortino questo lo sa e ci mostra una piena maturità non solo degli strumenti linguistici ma anche di quelli etici, di cui forse si dovrebbe avere il coraggio di parlare più spesso.

Per la Redazione
de LE PROLE DI FEDRO
il caporedattore 
SERGIO DANIELE DONATI
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ESTRATTO

Te querré por siempre

Una volta ti ho chiesto
– Se io fuggissi, prendessi un treno, 
la prima coincidenza per Palermo, 
verresti a cercarmi? Per tutta risposta 
ti sei bloccato, hai fatto un salto 
e m’hai imboccata con un acino d’uva. 
L’episodio mi torna alla mente 
proprio adesso, mentre spilucco 
il mio frugale raspo. Eppure non mi 
manca niente: la diga in lontananza, 
moscerini come sciami di virgole, 
la cupola che sovrasta la piazza 
di Alessandria della Rocca;
la strada di sera è deserta.
Preparo la vasca, nell’acqua 
ci inzuppo spugne soffici come 
pan brioche. Ci ho provato fino all’ultimo, 
sei stato irrevocabile, proprio adesso, 
ch’ero riuscita a farti passare
il filo tra i denti! Mi hai fatto sapere che con me indossavi 
una maschera, il volto posticcio
privo di bocca, motivo perfetto per toglierti di mezzo. Sto bene, 
non preoccuparti, non è cambiato niente: 
come ogni giorno vado al lavoro, 
prendo i mezzi, incontro la gente, 
con libri nascosti in grembo t’immagino 
rosicchiare aglio, la fetida
salsa che mi offristi a Madrid. 
Chissà quanto tempo è trascorso, 
nemmeno lo ricordo.

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Malìe

Di questi tempi non sono molto
in forma, ho capillari fini e
zigomi rigonfi. Sembra non ci sia
un rimedio scientifico per tali
disgrazie, giusto qualche cura
anodina: camomilla e succo
di mirtillo. Mi hanno regalato
una bacchetta magica, usata
ma ancora funzionante: l’ho sollevata
in aria e si è sparsa per la stanza
una massa schiumosa e soffice,
come panna, poi ho sentito
quella musica lontana nel tempo.
Allora mi sono messa a correre
fino a raggiungere gli altri bimbi,
infine l’ho vista la casa dove
andavamo a rifugiarci dopo
scuola, il tratturo i denti di leone
e i ciuffi d’erba. Mi sono sdraiata
sul prato in mezzo ai soffioni e ho
cominciato a cantare a squarciagola.
Che malìa! Sono guarita in men
che non si dica, però ho buttato
la bacchetta magica in fondo
al pozzo: non avrei più avuto
cuore di tornare in quel posto.

____
Lo shampoo

Tutti dicono che sono schiva, 
eppure nessuno si ferma a guardare, 
nemmeno tu che abbassi le veneziane 
senza neanche far caso alla mia blusa 
di raso, nemmeno al rossetto fucsia. 
Alla malora mi vien da dire
quando piove e grandina e io mi sciolgo 
sospinta dalla puleggia, appesa
alla pinza, in bilico sul cornicione,
nello stesso istante in cui lo scirocco
affloscia tutto, pure la voglia.
Il sabato mi coglie come un voltafaccia
e non posso resistere all’impulso
di scomparire, liquefarmi in questo
incomodo bozzolo, conchiuso in se stesso,
per poi sgocciolare all’esterno, 
zampillare in moto casuale
le mie gocce pensanti, invece no, 
fingo un buonumore invidiabile, 
mi mostro compatta, ilare e festante
senza alcun obbligo a parte lo shampoo
Giusto il minuto di commemorazione
seduta sui ceci, a mani giunte
in adorazione della tua pigna,
quella dipinta rivestita di glitter,
un altro pezzo dell’edicola
innalzata a tua figlia. A poco a poco
ti allontani, imputi la crisi
ai prezzi che salgono, artatamente, 
ci tolgono tutto, perdio, pure il pane,
quello buono e quello duro, di scarto,
ci lasciano in mutande.

NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Giuseppina Sciortino vive a Milano e lavora per una società di telecomunicazioni. Laureata in Lingue e Letterature straniere, ha collaborato con la rivista “Lunarionuovo”, il blog letterario “Zona di disagio”, il sito “Border Liber” e il mensile “Cespola”. Ha fondato e gestisce il blog “Zurumpat” dove si occupa di recensioni, scritture creative e traduzioni poetiche. Suoi interventi critici, poesie e racconti sono apparsi online e in diverse pubblicazioni antologiche. Ha già pubblicato il romanzo L’obiettore di coscienza (Eretica edizioni, 2019), il saggio Campanili siciliani (Prova d’autore, 2021) e il romanzo Petali di rose, madonne e carciofi (Prova d’autore, 2021) vincitore del premio “Esperidi 2021”. “Visioni d’abbandono” (Transeuropa edizioni, 2022) è la sua prima opera poetica.



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Commenti

  1. Che dire, dopo l'abbandono ci si aggrappa a qualsiasi brandello di quotidianità che ci càpita sottotiro e diventa motivo di nascita e di rinnovamento. Cosa che Sciortino ha saputo benissimo rendere in poesia. Ma quanto affanno nel ricostruire ciò che è andato in pezzi, qualcosa di simile alla risata mista a pianto, ed è proprio in quello slargo di luce, in quella crepa di dolore, che si sprigiona la creatività. E così ci viene regalato un capolavoro.

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    1. Un magnifico e vero commento. Grazie di cuore Barbara

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  2. Il commento appena precedente è di Barbara Rabita

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  3. Grazie di cuore per il commento: mi rende felice. Giuseppina

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