Bisogna lasciarlo parlare (il Sacro)



Bisogna lasciarlo parlare,
come un sussurro,
un bisbiglio piano,
senza vette, né incagli;
come se non fosse lì, per te
come se non fosse lì,
come se non fosse.
Bisogna lasciarlo parlare
nel canto d'un ubriaco di notte, 
o i passi strascicati d'un uomo stanco
all'alba di un giorno indesiderato.
Bisogna lasciarlo parlare
tra i denti caduchi d'un anziano,
sotto le unghie sporche di terra,
tra i piatti sporchi di bagordi,
dimenticati sul tavolo.
Bisogna lasciarlo parlare
mentre accendi una sigaretta
e ti rifiuti di cantare
la filastrocca del domani
e volgi l'ascolto al suono
del silenzio sovrano.
Bisogna lasciarlo parlare
e dire dell'impossibile,
della veemenza della pausa,
dello strappo del corno d'ariete,
della voce roca che continua
a dire "luce"
prima che luce sia
al mondo su cui è ormai scesa 
la palpebra pesante dell'oblio.
Bisogna lasciarlo parlare
per dire dell'origine, della sorgente,
delle acque sotterranee,
e del cielo che ride,
mostrando luci distanti
e prive di calore
a occhi ormai incapaci
di ricordare la fiamma.
Bisogna lasciarlo parlare
senza ascoltarne il suono,
frugando tra le tasche
alla ricerca di chiavi perdute.
Bisogna lasciarlo parlare,
il sacro testardo
che si rivolge a orecchie 
sature di brusii scomposti
e incapaci di accoglimento.
Bisogna lasciarlo parlare
e tracciare solchi sui palmi
delle nostre mani vissute
e stendere olii sulle nostre
nocche chiuse a pugno;
il sacro testardo che non arretra
di fronte al figlio
che ne rifiuta la carezza.




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