(Redazione) - Speciale "Mediterraneo" - "Mediterraneo sono" (Mediterráneo soy): frammento

 

Foto di Sara Groblechner su Unsplash

Questo è un frammento del poemetto “Mediterráneo soy” scritto in spagnolo da Antonio Nazzaro e tradotto in italiano da Elizabeth Uribe Peréz. I versi sono stati scritti, tra settembre e ottobre di quest’anno, a Buenos Aires e saranno pubblicati il prossimo anno. Antonio Nazzaro da circa due anni scrive i suoi testi poetici in spagnolo.

Mediterraneo sono

La mia stirpe è della terra
dove Annibale piegò
il romano potere
ma io dalle Alpi
vidi il mare ondeggiare

Fui Ulisse legato
all’albero dell'acufene
ascoltai il canto traditore
delle sirene appese
agli scogli nebbiosi

Corsi di ritorno da bambino
sul tavoliere biondo della Puglia
e il mulo testardo mi portava
con i cesti dei chicchi
dorati del pane

Da mio nonno ereditai
il nome e l'unghia lunga del mignolo
e i guanti di canna che non
evitavano il morso del freddo
però della falce il taglio

Lì scoprii bambino l'amore
proibito di mia cugina
il sapore salato delle labbra
della Città dei due mari
che Sparta edificò

Lì addomesticai l'orecchio
alla lingua dei Peuceti e
degli Osci indoeuropei
e scoprii che come mediterraneo
non avevo confini

Sotto il suo sole splendente
sentii per la prima volta la
sete di una terra circondata
dal liquido salato e
dell'acqua provai il piacere

Conobbi sulle sue rive
di penisola quelli dell'altra
sponda che portavano
la loro cultura per lasciare
la salentina lingua: il griko

Sulle pietre che il nome
diedero al romanzo gotico
imparai l’idioma che
ora è lingua in
questa isola d'America

Qui dove
dalle Alpi arrivarono
quelli della mia terra d’emigrante
ascolto come una nostalgia
il piemonteis ‘merican

Non parlo né dialetto
né una lingua meticcio
sono come un'onda
che non finisce mai
sulla stessa spiaggia

E salii sul battello non ebbro
con il poeta di Marradi
attraversammo i mari e le donne
della razza nuova e seduti
mi disse: ¿Quiere usted mate?

Dalla provincia della città
neolitica pozzo delle acque
dai monti Dauni cadute
vidi la torre bizantina
fare ombra alla mia casta

Tengo scritta la scrittura
sulla pelle per mio nonno
che alla nascita con pennarello
rosso-comunista e partigiano
scrisse il mio nome e avvenire

Sentii la fame mordere
l'acciaio delle rotaie di
un treno d’emigrante famiglia
rinchiusa in una fabbrica dove
l'azzurro era soltanto delle tute

Rimasi a guardare il mare di Roma
vicino al corpo annegato di
Ali dagli occhi azzurri
e del suo poeta Pier Paolo
massacrato dai fascisti

Vidi il pugno chiuso e sollevato
in protesta sindacale e licenziamento
quattro figli una macchina fotografica
fame e una generazione
di fotoreporter nascere

Sentii il morso della tarantola
diventare danza e tamburello e
navigando sulle acque
diventare santeria e bata a dar
ritmo alla rivoluzione cubana

Guardai crescere il mediterraneo
emigrante e di cemento in palazzi
scatole da scarpe che dicono
periferia e sta sempre
dietro la Porta d'Europa

Navigai con il troiano
di Afrodite figlio e il padre
in spalla e insieme giungemmo
sulle rive del fiume biondo
la moglie procreò sette colline

Passai con la barca insieme a
Goethe per l'isola delle sirene
dove Curzio ha consegnato la sua Pelle
al liberatore-conquistatore-alleato
e servimmo pasta Carbonara

Vidi piangere il padre di mio padre
raccogliendo la pistola quando sotto
il piombo del '44 nella lotta di liberazione
il suo amico traditore si sparò
mentre lui aspettava fuori della casa

Mi vidi nella città del faro del cavallo
davanti alla lotta armata o allo yuppismo
chiudere gli occhi e voltare le spalle
mentre il mare bianco saliva per le vene
e del mio corpo feci vendita

Guardai l'orizzonte marino sulla
spiaggia dei discendenti di Ercole
ascoltando i versi di Sbarbaro
che ai licheni diede il nome
e al paesaggio marino la precarietà

Danzava mia madre bambina
sotto la legge razziale a bruciarle il
nome Sarah per farla María
per me la mia Zambonina e
ballava e ballò solo e sempre Sarah

Rubai il pane con il fratello di
mio nonno prigioniero di guerra
dei nazisti in un giorno del '43
e al desinare continuò a difendere
il piatto per sempre con il coltello

Dove porci furono
i compagni di Nessuno
vidi l'anarchico Pisacane spezzare
le catene e la sua morte cantata
dalla spigolatrice di Sapri

Fumai sulla sponda dell’Eridano
tabacco indiano leggendo
l’urlo del poeta della beatitudine
ma senza collegarmi alla dinamo
del meccanismo della notte

(…)


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