(Redazione) - Passaggio in Grecia (Το πέρασμα στην Ελλάδα) - 07 - Un tempo la luna ti proteggeva: cinque poesie da "Molto tardi nella notte"

Di Maria Consiglia Alvino
Un tempo la luna ti proteggeva
dalla sua stessa malinconia.
Ora non si accorge affatto di te,
indifferente nella sua durata,
fiera nel suo silenzio,
solitaria.
7.X.88
È difficile dire il silenzio. Eppure talvolta gli oggetti parlano – o piuttosto tacciono – e la loro presenza delimita un confine, un’assenza di suono. Così è in Molto tardi nella notte di Ghiannis Ritsos (qui citato secondo la traduzione di Nicola Crocetti, 2020). La raccolta, uscita postuma nel 1991, contiene poesie scritte tra il 1987 e il 1989 a Samo, nella casa di famiglia. Sono per Ritsos gli anni del disincanto e della delusione per il fallimento degli ideali politici che ne avevano guidato il percorso etico e poetico. Compaiono, quindi, tra le pagine oggetti che in modo chiaro e atroce diventano simboli di un’assenza – una notte – irrimediabile, intrisa di nostalgia. Oggetti soli, abbandonati, impoveriti disegnano precise geografie di silenzi preziosi, adamantini. Tra questi, la luna.
Lontana dalle suggestioni antiche e romantiche, la luna compare spesso tra le poesie di questa raccolta non come presenza benefica e rassicurante, ma come figura del silenzio, se non della morte, di un distacco tra io e mondo che pare insanabile:
Una notte
Sui tetti
scorrevano le acque della luna. Sul tavolo
sparse le carte
da gioco della morta. Sui muri
squame di pesce e
piccoli bagliori. I discorsi dei cinque
ruotavano sui
vecchi giorni critici. Lui
gentile e
silenzioso. (Probabilmente dietro il suo silenzio
nascondeva una
disperazione inconfessata, e forse
accettava
tranquillo la cosa più profonda e difficile da capire.) Sul suo viso
si effondeva una
luce allusiva. E a un tratto,
mentre tutti
parlavano della guerra,
sentimmo la
musica posarci la mano sulla spalla.
Karlòvasi,
30.VI.87
È una luna
“balbuziente”, che ha smesso di parlare, che sembra rispecchiare
un’afasia che stringe la gola del poeta, dell’essere umano.
Assenze
Bella donna
silenziosa, dall’incedere lento,
avvolta nella
porpora della sera
tra due pavoni
dalle code aperte.
Fuori della
porta, le grandi galosce infangate
del guardaboschi.
E sopra le alberature
occhieggia una
piccola luna balbuziente,
Ora dovrai
parlare tu al suo posto,
ma le parole
mancano a poesie già dette.
Karlòvasi. 1.VII.87
Il
chiaro di luna, fattosi emblema della separazione, dell’assenza,
perfino dell’amnesia che alla fine tutto avvolge inesorabilmente,
diviene “triste”, “incurabile”, “impartecipe”. E l’astro,
una volta talismano e cura, è solo un oggetto indifferente e
solitario. Non illumina più ai viandanti la via. Resta forse come un
ricordo, una memoria a cui votarsi, seppur molto tardi nella notte.
Inevitabile
Sono partiti a
uno a uno. Noi aspettavamo.
Non sono tornati,
com’è che ci
abituiamo a tanta separazione?
Né monti, né
alberi, né case,
e nessun uomo;
dimenticati anche i nomi,
e il grigio
disteso fin dentro, perfino sulle pagine non scritte.
Soltanto, sul
prato secco con gli spini gialli
è spuntata una
rosa come per sbaglio. Di notte
ricordalo questo,
quando guarderai lontane sul mare
le tre piccole
luci ambulanti. Ricordalo.
Oh, chiaro di
luna triste, incurabile tienimi con te.
Karlòvasi,
10.VII.87
I viandanti
Camminavano da
molti giorni. Erano certi del miracolo.
Da un momento
all’altro sarebbe apparso, alla svolta della strada,
dietro quel colle
o quell’altro. L’avrebbero visto
coi loro occhi,
l’avrebbero annunciato,
anzi, forse
avrebbero preso in mano un lembo
del suo chitone
d’oro. All’inizio del secondo mese
si sentirono
stanchi. Si distesero in terra tutti e dieci
e si
addormentarono subito. Sopra il loro sonno
si fermò la luna
impartecipe, immensa nella sua tristezza.
Poi rotolarono
senza rumore i grandi sassi
nel grande vuoto.
E si svegliarono. Intorno a loro
riluceva il
chiarore assoluto. Non c’era la luna.
Karlòvasi,
21.VII.87
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