(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "Sentinella" - su un racconto di Fredric Brown di Paola Deplano



di Paola Deplano

SU DI UN RACCONTO DI FREDRIC BROWN

SENTINELLA

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo e era lontano cinquantamila anni-luce da casa.
Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella cui era abituato, faceva di ogni movimento un’agonia di fatica.
Ma dopo decine di migliaia di anni questo angolo di guerra non era cambiato.
Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate al lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo.
Come questo maledetto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia…Crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.
Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza neanche tentare un accordo, una soluzione pacifica.
E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi ed ogni avamposto era vitale.
Stava all’era, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.
E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco.
Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.
Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante e senza squame.

(da Avamposto sul pianeta X, di Fredric Brown)

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Così scrivono, su questo racconto, Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi a pagina 191 di Ricettario di scrittura creativa (Zanichelli 2000):

«Questo breve racconto di Frederic Brown è molto interessante perché ci mostra un caso estremo di manipolazione del punto di vista. Il narratore astutamente ha indotto nel lettore i classici effetti di immedesimazione con il protagonista. Solo alla fine clamorosamente scopriamo di esserci identificati con un alieno. E di colpo possiamo vederci in quanto uomini dall’esterno. L’effetto di straniamento si registra dunque solo alla fine, ma non è perciò meno efficace. Ci costringe a considerarci sia pure per un attimo come creature repellenti…»

Quando ho letto questo racconto avrò avuto 13, 14 anni. Ero immersa quasi totalmente in letture di genere fantascientifico. Amavo – e ancora amo – il genere perché ritenevo – e ancora ritengo – che, con la scusa dei pianeti lontani, delle astronavi e degli alieni si possano dire molte verità. Confesso che questo breve scritto m’impressionò molto, sia per la perizia nella costruzione che per il messaggio forte e chiaro che l’autore voleva mandarmi. Un messaggio che era già mio nel profondo ed era bellissimo trovarlo lì, nero su bianco, sotto le mentite spoglie di un racconto di genere “minore”.
La mia innata propensione all’analogia mi fa accumunare il testo di Brown a quel libro terribile e onesto che è Il bambino con il pigiama a righe, di John Boyne. Non aggiungo altro, leggetelo. (I più pigri possono guardare il film, che è pure notevole).

(Paola Deplano)

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