Lettere a una persona speciale 57 - 65

 

Foto di Man Ray

57 Il femminile
"Il femminile", dicevi.
"Il femminile", ascoltavo, e già la mia mente si perdeva.
Perché nel cuore di un uomo il femminile è voce nascosta,
volto velato.
Nel cuore di uomo il femminile è
il lontano abbaiare di un cane
in una notte d'estate.
Un addio soffocato
(perché? perché io? perché a me?)
e una lucina accesa poi in sguardi nuovi
(vieni, completami, colmami)
Nel cuore di uomo femminile non è mai evidenza.
È velo, ricordo, urlo strozzato, affogato in pinte di birra.
Nel cuore di uomo il femminile è apparizione e sparizione
Sono mani tese verso un vuoto che acceca.
"Il femminile", dicevi, "dobbiamo riscoprirlo".
E rallentava il respiro. Il mio.
Perché quella scoperta nel cuore di un uomo
è atto di coraggio.
Estremo.
È battaglia contro l'assenza, il nascondimento.
È strapparsi dai volti maschere d'argilla
nella speranza di una completezza nascosta
in un firmamento lontano.
Per questo ho bisogno della tua narrazione
dei tuoi silenzi, e delle tue pause.
Per poter appoggiare la testa sulle tue gambe
e respirare.
Io, Sergio, le tue gambe, e il mondo.
58 Correre Meditando
Vuoi sapere cosa significhi correre meditando, petalo?
Significa sentire tendini e muscoli e andare più in profondo, dove lo scambio tra corpo e mente è sempre sano. Al primo chilometro la respirazione non è regolare e i pensieri confusi. C'è un nodo da lasciare andare, correndo.
E scremi, lasci andare un anno difficile sotto i piedi, chilometro dopo chilometro. Ma il nodo persiste, duro come un macigno e tu sai che l'unico modo per scioglierlo è macinare altra strada. Al settimo chilometro ti sembra di volare, corri senza volontà, senza sforzo e superi senza difficoltà quella salita. Anzi superate quella salita. Tu e il nodo. Acceleri e depositi tossine sul terreno, ma il nodo bussa. Dopo la salita, e la discesa che segue, entri in un parco. Sei all'ottavo chilometro. E il nodo, il ricordo bussa. E lo vuoi mandare via. Ma non puoi perché hai nel cellulare una playlist e hai messo la riproduzione casuale e la tua amica
Lorenza, dio la benedica, canta Nature Boy, il tuo standard jazz preferito.
E allora, petalo, corri e ridi e piangi, perché quest'anno il Nature Boy è stato pugnalato che tutti lo davano per morto e ci sono voluti un salmista, una voce amica, un samurai e un petalo, tu, per ridargli vita.
E allora corri e ridi e piangi, perché lo davano per morto , il Nature Boy, e ora corre e piange e ride che sembra un pazzo.
Al decimo chilometro sono a casa.
Non è più ora di correre e ridere e piangere...
Il sole cala sulla città che amo. Vedo mio figlio che si beve una coca con gli amici al bar.
Vita, petalo, e Nature Boy che canticchia dentro di me
The greatest thing you'll ever learn is to love and be loved in return.
59 Ritirarsi
Ci sono milioni di motivi per ritirarsi dal mondo.
Per elevarsi al cielo, come nuvola, e ricadere, goccia a goccia e inaspettato, su un terreno arido e assetato.
O al contrario sei tu il terreno, e ti ritiri in attesa che la pioggia ti copra di nuovi significati e rinnovi la tua capacità di dare frutti.
C'è un ritiro per ogni stagione, per ogni respiro, per ogni scelta.
Ci si ritira, ad esempio, per trovarsi soli davanti allo specchio e porgli domande (che mai ha inteso) e ridere del suo silenzioso imbarazzo e di quella immagine riflessa.
Sì, sei tu, ma allo stesso tempo è ciò che di più lontano dal tuo Nome esista.
Oppure ci si ritira, ormai incapaci di parola, perché ne esiste una che deve germinare, coi suoi tempi. E i suoi tempi non sono i tuoi, sempre troppo irruenti.
Oppure ancora, ci si ritira per tornare nella stanza azzurra che reclama pulizia e manutenzione e brama la sacralità di un suono di Shofar o la malinconica visione di quello del Duduk.
Ci si ritira dal dire, dal dirsi, dal darsi, dal rappresentarsi, a volte, per ritrovare la spontaneità di un sorriso, di un abbraccio o d'una carezza.
E poi ci si ritira altre volte, come avviene a me, con la schiena rotta dopo aver seminato e arato il campo con la massima cura.
Dopo aver recitato formule sacre e preghiere antiche, ci si ritira nella propria cascina, sapendo di aver donato il donabile e attendendo, fiduciosi, che il raccolto sia abbondante.
C'è un ritiro di attesa dei frutti, le cui condizioni tu hai fatto il possibile perché si avverino; e, stanco, guardi il cielo e, ironico, gli chiedi di non fare scherzi.
Perché, se il cielo impedisse alla parola che hai seminato di germogliare, in fondo ci perderebbe il mondo della cui armonia il cielo stesso è garante.
Il resto è solo un grande "speriamo che regga", lanciato dal luogo azzurro, dalla cascina calda del ritiro.
60 Un passo
C'è un passo, sconosciuto ai più, (lento e cadenzato) che chi ama compie.
Un circumnavigare (lento e ritmato) il corpo e l'anima delle coste su cui desidera approdare.
Che la lentezza dei movimenti spesso non è che lo specchio dei turbini del corpo.
C'è un passo, denso di rispetto, che chi anela (anche di lontano) compie.
E tacita la sua voce, perché l'orecchio non distragga dal piacere del calore dei piedi sulla sabbia, delle mani che si intrecciano e degli sguardi che giocano a scivolo su ciglia nere e lunghe.
61 Mettersi in fila
Ci si mette in fila, Petalo, in ordine d'altezza, o d'importanza.
E così si crea il Caos.
Che un ordine apparente è abisso.
A volte, al contrario, ci si dispone in ordine falsamente sparso.
Che ogni assenza d'ordine manifesta sempre un ordine più alto.
E se mancano i sorrisi o le carezze, alziamo lo sguardo al cielo; e le stelle (loro sì in ordine sparso) ci fanno tracciare linee immaginarie.
Mappe del desiderio...nel mito.
Ma tu tutto questo lo sai e sai essere costellazione e orsa polare.
E io, da sotto, guardo, mi posiziono (al mio posto d'alfiere) e sorrido.
62 Incontrarsi nel presente
Ci si incontra nel presente e si cammina, mano nella mano, verso il futuro.
E il passato (prima che ci fossi io, che ci fossi tu) diventa come una barretta di cioccolato.
Da tenere lì nella credenza e da tirare fuori come un dolce in più davanti a un film, il nostro.
Non è che il passato nostro non esista.
Anzi.
Urla, scalpita, piange e seduce.
È che, no, noi siamo qui ora a snocciolare pistacchi, sguardo nello sguardo.
E di quel richiamo lontano sentiamo i soffi, ma l'olmo, lui, resta sempre per noi in mezzo al campo del nostro incontro.
63 Non sono perfetto
E volevo gridarlo al mondo che non sono perfetto.
So bene, non credere, che il mondo ne è cosciente e non ha bisogno delle mie urla per intenderlo.
Ma ciò che sfugge è che si urla per se stessi, per sentire la propria voce vibrare nella cassa toracica.
Si urlano parole già dette (che tutto è già stato già detto meglio, molto meglio, di come mai potrei dirlo io) per mantenere viva l'illusione regina.
Quella che ci fa credere di essere i primi, gli unici al mondo ad aver “sentito”.
E si parla dell'amore quando l'amore manca, e di abbracci da dietro le mascherine.
Cose già vissute, già dette, già urlate.
Da milioni di voci prima della mia, da milioni di voci assieme la mia.
Siamo tutti fatti della stessa sostanza e ci fa affossare (o ci eleva) lo stesso sentimento.
Avrei voluto gridarlo al mondo che non sono perfetto e che me ne frego dei miei limiti.
Che davanti a quei limiti ho imparato ad abbassare uno sguardo assente.
Che non c'è nulla da superare, nessun cambiamento da anelare, nessun domani che valga il silenzio di questa notte in casa mia.
Avrei voluto gridarlo, ma era notte e fuori pioveva e sui vetri di casa si sentivano strani ticchettii, ritmi, cadenza lontane.
E il mio urlo avrebbe svegliato un mondo che dormiva.
Si sarebbe sovrapposto, in modo sgraziato, ai suoni armonici di una natura risvegliata.
E chi sono io per sovrapporre una voce “troppo umana” alla divina indifferenza della pioggia?
Allora ho preso la penna e ho scritto un lungo racconto.
Di là nella sua stanza dormiva mio figlio e il gatto sognava assieme a lui, ai suoi piedi.
Ho scritto un lungo racconto perché, sai, “Tutto tranne che l'amore” è tutt'altro che terminato e Pietro deve diventare grande e suo padre recuperare in extremis un bambino. Ancora e ancora.
Ma quel racconto oggi, alla luce del sole, con il tuo volto impresso nella mia memoria, io posso, senza gridare, riassumerlo in due righe.
E spero che siano voci delicate.
L'urlo, il graffio non mi appartengono più.
E se ogni tanto ne sento la pressione, è ormai salda in me la voce maestra che mi dice di tacere.
Allora te le lascio quelle due righe.
Che siano una sorta di testamento di chi ha resistito alla seduzione più perniciosa.
L'illusione che ti fa credere di essere, lo ripeto, unico al mondo e che il Sole stia lì, in alto, solo per trafiggere la tua originalità.
“Prenditi il tempo, Petalo, di essere parte dell'Evanescenza, come se fosse un bagno rituale, dal quale ti solleverai nuova e rinnovata.
Prenditi il tempo di dimenticare il mio volto e ascoltare nella memoria battiti di pioggia sul vetro, come fossero quelli salterini del mio cuore”.
64 A volte il tempo si ferma
A volte il tempo si ferma.
Non è una sensazione; proprio si ferma, smette di battere sul suo bongo.
E non si ferma solo la conta dei secondi.
Si ferma - il tempo - e non c'è più nulla da contare.
Quando mi guardi - e io ti guardo - si ferma e lascia spazio all'eterno istante in cui percepisco il mio desiderio di trovar dimora nella tua pupilla.

 65 Il piede che avanza

Lo sai? Il piede che avanza ha piena fiducia nell'altro che dona alla terra la sua esperienza d'equilibrio.
Il movimento nasce da un atto di fede, perché ci è dato conoscere ciò che abbandoniamo, non ciò che riceveremo in cambio.
E l'ignoto sogghigna spesso dietro questa nostra speranza, pronto a scompigliarci i pensieri con "la realtà delle cose".
Eppure, ho sentito il pianto di un amico oggi, e la disperazione farsi strada tra le sue parole monche.
E non ho potuto non pensare, senza dirglielo, che la sofferenza è un seme delicato, da piantare su terre fertili e che fuggirla non è certo possibile.
Un amico sa come costruire una foresta attorno a un cratere.
Un amico sa quali siano le cose che, non dette, è bene che restino tali.
E se fossi stato in passato più amico di me stesso avrei saputo cosa dirmi.
Non è stato così, lo sai.
E sai che a volte la parola può divenire, per chi scrive, la peggiore nemica.
Sai anche che conosco l'arcobaleno dei sogni del mio popolo e le chiavi di accesso a quelle rovine i cui scantinati nascondono ancora dei tesori.
Già, tu sai tutto di me, dei miei limiti e del canto dell'assiolo.
Un uuuuu lungo e ripetuto che diviene nenia per chi sa aprire delicatamente la porta del sogno.
Io non ci sarò per molto, Petalo.
Lo sai, anche se non vuoi sentirlo dire.
Entrerò nella notte con passo delicato, senza far rumore; come petalo di giglio selvatico su muschio verde.
Allora saprai che il gioco non è più possibile, che bisogna riporre la scacchiera e cominciare a cantare il canto azzurro delle comete.



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