Ventidue semi (pomeridiana)

 

Foto di Sergio Daniele Donati

Coltivo lento, con gesto meticoloso, piante esotiche i cui semi mi furono donati a un mercato da un bizzarro signore. Sul banco delle sue spezie e polveri rosse, bluastre e arancioni si perdeva l'olfatto, tra pimenti e paprike e saponi d'Argan.
C'erano pepi di Cayenna e chiodi di garofano e bacche rosse e ginepri seducenti. Ma il mio sguardo è avvezzo all'osservazione del celato e, tra colori e odori che proiettavano
le mie fantasie e speranze a Zanzibar, vidi un sacco polveroso.

Dentro ventidue semi inodori e dai colori scialbi e stanchi.
Mi disse allora il vecchio: "Attento giovane, se li guardi troppo non potrai più disfarti di loro".
E un tremolio - non so bene se divertito o prudente - si manifestava tra le sue ciglia.

"Dammeli tutti, haver", dissi.
Il vecchio abbassò lo sguardo.
"Sono semi ancora vivi", disse.
"Vengono da lontano e dovrai piantarli in terre aride e ostili e attendere eoni prima che diano giovani virgulti. Guardati dal dare loro acqua, provengono dal cielo e chiedono altre umidità".

"Oh haver", risposi, "tu non sai da che deserti provengo. Non sarà un problema per me trovare terre aride
in cui piantarli".

E il mio sguardo si fece perso; là, nelle lande delle mie fatiche, dove avevo appreso l'attesa lunga ed estenuante d'una nuova primavera.

Il vecchio mi guardò e le sue ciglia
sembravano vele fenice sulle acque del mare nostro.
"Non posso venderteli", disse, "te ne faccio dono e me ne libero per sempre".

Li presi e corsi via, spaventato dal peso di un dono millenario. 
Li piantai in terre aride e ostili e sassose e sto attendendo da dieci eoni che diano virgulti e fiori e frutti e nuovi semi da donare nel mio banco delle spezie a Zanzibar. 

Attendo e attendo, ma nelle notti di luna piena, quando si prepara la santità del mese nuovo li sento mugugnare sotto terra e borbottare in lingua antica formule sacre e gridolini divertiti per le mie fatiche e capacità d'attesa.


NdA: haver in ebraico significa amico





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