Un racconto di Simone Consorti tratto da " Un posto vicino al tramonto" (Pav ed.,2023)


Illustrazione di Valeria Fraticelli

Casagemas

Non sono impotente perché bevo, ma il contrario. E, comunque, la depressione non è la causa della mia impotenza ma la conseguenza.
Germaine queste cose non vuole capirle. Lei è una ragazza semplice, alla fine. A letto si mette in posa come quando le faccio un quadro. Sta lì immobile e aspetta che faccia tutto io. Dopodiché tira fuori una faccia delusa come se il quadro mi fosse uscito bianco, una faccia che subito nasconde dietro un’altra.
«Ci riproviamo la prossima volta,» dice, «non è successo niente.»
Esatto: non è successo niente!
Il fatto che lei vada con altri è la causa o la conseguenza della mia impotenza?  Di sicuro va a letto con Meunier ‒ perché le paga tutte le scarpe ‒ e con Pablo, i cui occhi sono una catastrofe. So da lui che la mia donna gode come i gatti. Gli ho chiesto di descrivermela ed è stata minuzioso, facendole il verso. Cinque strilletti acutissimi, striduli. 
«Dietro il collo devi morderla, come se avesse la collottola», mi ha suggerito.
Non sono impotente perché ho pensieri suicidi, ma il contrario. Non mi importa di non fare l’amore, ma di non farlo con lei. Se Germaine non esistesse, se non fosse mai esistita, non starei così; sarei un semplice impotente come chi è senza occhi ma può vedere con la fantasia. Meglio impotente che cieco anche se, da cieco, almeno potrei non vederla con gli altri. Il problema è che ha posato per me troppe volte, e ormai mi basta un suo minimo gesto per capire se pensa a un altro. Quando pensa a Pablo, per esempio, guarda sempre a destra in alto. Per fortuna che lui ora è a Barcellona.
***
Svegliandomi, mi sono immaginato questo dialogo.
Io: «Mi hai tradito.»
Pablo: «Tradisce una donna, non un amico.»
Io: «Comunque, non ti voglio più vedere. Hai scopato il mio amore
Pablo: «Hai solo bisogno di un viaggio: staccare
Io: «Infatti lo lo sto programmando. Vuoi venire con me?»
Pablo: «Dove, se non abbiamo un franco?.»
Io: «Non servono soldi per dove pensavo io
Pablo: «Dici il carcere?»
Io: «Ah ah!»
Pablo: «Il postribolo di Madame Tourine?»
Io: «Chissà perché continuano a farci credito
Pablo: «Perché sanno che un giorno diventeremo famosi, e anche loro grazie ai nostri quadri.»
Io: «I tuoi o i miei?»
Pablo: «I nostri
Io: «Comunque sono pazze a volersi far immortalare come puttane.»
Pablo: «Tu le vedi così? Come puttane?»
Io: «E come dovrei vederle?»
Pablo: «Come damigelle
***
Abbiamo pure il nostro postribolo dove non paghiamo perché siamo spagnoli e bellissimi e artisti. Lì mi consolano tutte. «Non è niente, non è niente», dicono, valutando con occhio professionale quel mosciume, anche se la mia condizione la sanno tutte, per quanto conoscano pure che è un segreto da non dire a nessuno.
Giura, giuro, giura, giuro, giura, giuro.
Anche a Germaine l’ho fatta giurare, ma con Germaine è diverso perché sarebbe precisamente lei quella che non avrebbe mai dovuto saperlo. Il fatto è che, quando sei innamorato, credi ciecamente nel miracolo. E quella sera, con quella brezza leggera e la luna color fantasma, gli somigliava. Ero felice come può esserlo chi sta iniziando un quadro. Dietro la chiesa di Saint Jean sembrava giovanissima, la luna, seppure piena. Ero riuscito a comprare una nuova tela e due bottiglie di Pernod, che mi stava risalendo lentamente.  Allora ho fatto salire anche Germaine. Una danza di scricchioli, i suoi passi sulle scale. In mansarda, con le tele tutt’intorno come specchi, è rimasta almeno dieci minuti a fare manovre, come se dovesse farmi la rianimazione. Poi ha riso. Però non rideva di me, ma più come chi ci tiene a farti capire che non è importante, come chi è dalla tua parte e ti vuole bene. È questo che mi ha fatto più male. 
«Siamo stanchi, è tardi. Riproviamo la prossima volta», ha detto, ma una volta è un gioco che si conclude con una risata, due volte è impotenza. Non dovevo più fare cilecca.
Eppure nove giorni dopo eravamo di nuovo lì. Germaine quella sera era bellissima, col sorriso di chi è consapevole che la giovinezza è un bivio e si può sempre prendere l’altra strada. Solo la luna era velata, non voleva far da testimone.
Non accorgermene in tempo è stato l’errore. Quella volta non si può certo dire che lei non ce l’abbia messa tutta. Ha anche cambiato manovra. In pratica mi ha messo un  dito al culo per farmelo venire duro e a me è venuto in mente Pablo che mi aveva messo un dito in gola quando quel medicastro mezzo svizzero, vedendomi cianotico, aveva paventato il coma etilico. Poi ho pensato che fosse esperta. Forse già aveva  conosciuto altri impotenti, poveracci  che aveva salvato con quella manovra  della mano. Impotenti meno impotenti di me, si vede. Sta di fatto che, al termine, il suo sorriso era una specie di  smorfia, l’imitazione di quello della prima volta. E io ho inventato una storia a mo’ di  giustificazione.
«Quando aveva sette anni, hanno violentato mia sorella
«Anche lei non riesce a far sesso?» mi ha chiesto Germaine.
La risposta è stata una bugia più grande della prima. Mia sorella ha tre bimbi. Forse al quarto daranno il mio nome e se lo tramanderanno di generazione in degenerazione.
Fino a un mese fa volevo lasciarle i miei quadri in eredità; adesso mi accontento di portare tutto con me, soprattutto il mio segreto.
La gente penserà che mi sono ucciso perché sono stato tradito da una donna o da un amico.
Chissà quante volte l’ha fatto con Pablo. E in quali posizioni. Sicuramente lui l’ha sbattuta contro il cavalletto. Mi immagino il sorriso che gli fa. Un ghigno stanco, esausto. Forse nemmeno ha il tempo per sorridergli. Presto non avrà tempo per niente.
***
È strano camminare con una pistola in tasca. È un’erezione di cui puoi andare fiero anche se non è la tua; come la mia mano, quando mi toccavo pensando a Germaine: prima mi ci sedevo sopra per farla addormentare e convincermi che era la sua e che, anche davanti a lei, potevo farcela. Da tre giorni non sento la mano nemmeno quando dipingo, come se le dita fossero un pennello. Deve avere un nome questa cosa che percepisci di essere un altro e davanti agli altri non puoi essere te stesso.
L’erezione della pistola attira gli sguardi dei passanti. Non ricordo se ho messo la sicura, magari spara. Mi scoppia tra i coglioni, così avrò un motivo reale per non eccitarmi. Germaine, sto arrivando. Con una pistola dondolante tra le gambe e un pensiero fisso. E una mano fredda come un’impugnatura. E dei passi che non fanno rumore, passi che già sono orme. La gente mi guarda. Dev’essere la mia faccia da fantasma che si è passato una mano di biacca. Vorrei sparare a questo spilungone, ma sarebbe un atto gratuito, mentre io voglio pagare col mio dolore, ammazzando la sola persona che conti.
Sto girando intorno. Questi passi devo averli già fatti. Senza lasciare orme, ovviamente. Sto calpestando Parigi. Come un rigurgito, mi torna in mente la notte in cui abbiamo girato insieme per Montmartre e poi, all’alba, ci siamo dati quel bacio, appena son suonate le campane di Saint Jean. E Germaine mi chiese se si dicesse “schioccasse” o “scoccasse”. Intendeva il bacio o le campane? Le risposi che in entrambi i modi andava bene. Avrebbe potuto essere il primo di una lunga serie,  quel bacio delle sette e dieci.
***
Ci sono tutti. Dietro la vetrata sembrano appannati e felici. Stanno brindando coi bicchieri in alto. Qualche amico deve aver venduto un quadro. Tutto il guadagno sta già andando in alcol. Potrei unirmi bevendo con loro, festeggiando con loro, ridendo come loro, prima di sparare, ma ho paura di cambiare idea e che si traduca tutto in  una fantasia. Ho il terrore di vivere una vita intera stretto a questa ossessione. È  difficile vivere quando sei morto. Forse dovevo fare lo scrittore anziché il pittore, oppure il prete. Il voto di castità! Potrei fingere che ho fatto il voto di castità perché mia sorella da bambina è stata violentata, ma Germaine ha capito che è una bugia e, siccome lo sa, non posso vivere. Se non ci fosse lei potrei, ma senza di lei non potrei vivere lo stesso. La vita è un bivio a senso unico. Alla vetrata, mentre li guardo, mi appare il mio riflesso e il mio viso si fonde col loro. Ora mi penetrano anche le voci. Stanno parlando del Salon d’Autumne. Qualcuno avrà firmato un contratto. Si parla di andare a festeggiare lungo la Senna. Se continuo a restarmene qui, magari mi vedono e mi fanno segno di entrare. Invece devo prenderli di sorpresa. Una sola frase per due colpi. Le loro facce si trasformeranno in un attimo. Qualcuno griderà. Forse, tra il primo e il secondo sparo, il più temerario proverà a disarmarmi. Chi si metterà in mezzo sarà il terzo.
***
Appena mi sono avvicinato, la scena si è trasformata in un quadro. L’unica cosa è che, al posto della cornice, c’era gente che scappava tutt’intorno per uscire. La sola immobile era lei, Germaine, con al centro i suoi occhi malinconici con al centro tanto dispiacere per me. Stavolta non rideva. Ripeteva solo “no, no”, come se volessi prenderla contro la sua volontà. «No, no». A quel punto la pistola mi si è fatta floscia e il braccio mi si è abbassato. Ho sparato dove non c’era lei, né io, né noi, né voi, né nessun altro. Ho sparato solo perché si sentisse lo sparo e tutti prendessero l’uscita. Giusto lei è rimasta lì a urlare “no”, mentre mi puntavo la pistola alla tempia cercando il punto giusto, quello che avevo provato allo specchio, quello che Pablo avrebbe ritratto.
Non potendo penetrarti penetro me.” 
Questa frase non l’ho detta né pensata. La canna era calda. Ho guardato i suoi occhi per l’ultima volta, pensando che potevo ancora non farlo. Per quel casino, magari, mi avrebbero sbattuto  in carcere, ma se mi avessero dato  tre anni lei sarebbe stata con almeno trenta uomini.
Non volevo vivere in un mondo che avrebbe fatto l’amore con Germaine se, alla fine, semplicemente premendo un grilletto, potevo risparmiarmelo
****
ALCUNE RIFLESSIONI DELL'AUTORE

Può esistere l'amicizia tra un narcisista uomo e una narcisista donna? Cosa combinerà al primo tunnel che incontrerà un capotreno rimasto quattro giorni sotto il terremoto di Messina? Ha senso sposarsi poche ore prima del proprio omicidio-suicidio? Quanti partner sessuali si possono scovare in ventiquattro ore su un autobus al centro di Roma? Una corda pensata come cappio riuscirà a funzionare come altalena o si rivelerà una trappola?
Gli undici racconti di Un posto vicino al tramonto, sospesi tra amore e disamore e contraddistinti da una grande vivacità mimetica, oltre a suscitarci questi dubbi ci consegnano una teoria di personaggi straordinariamente quotidiani, inseriti in storie paradossali dalle conclusioni inesorabili.

Simone Consorti

A PROPOSITO DI
"UN POSTO VICINO AL TRAMONTO".

Per quel che mi riguarda, scrivere è il modo più celere ed efficace per evadere e per viaggiare; il fatto è che, scrivendo, spesso mi sprofondo dentro di me, quindi mi ritrovo più impantanato che mai. Niente, scrivere è un'attività paradossale; come sosteneva Pavese: è un rivolgersi a se stessi e, allo stesso tempo, a una folla. Per quel che mi riguarda, la cosa bella di questa operazione è quando il caos inizia a prendere forma; le suggestioni si aggregano intorno a un'idea; le immagini generiche intorno a un personaggio; il tutto si ritrova incorniciato in un contesto, in uno spazio e in un tempo. D'improvviso c'è un inizio, una conclusione, come se avessi incasellato in una forma geometrica la precedente confusione. Per un po' mi sento di aver dato scacco all'entropia della vita.
Di sicuro, se solo vagamente so perché scrivo, conosco invece con una precisione assoluta il motivo per cui pubblico. Sono prolifico e dietro ogni mia pubblicazione, oltre alla puerile speranza di comunicare con qualche contemporaneo e, addirittura, stupire i posteri, c'è il bisogno di affermare un punto di vista per farmi conoscere a partire da una precisa prospettiva. Mi piacciono i dialoghi, mi piace rileggere in chiave nuova certi archetipi letterari o storici, e dare un finale diverso alle storie che mi sono capitate; sono attratto dai rapporti che si interrompono di colpo e, più di tutto, dai dettagli, oltre che dalle cose che sempre sfuggono agli altri, in generale che sfuggono e che solo una volta impresse possono rimanere ferme. In Un posto vicino al tramonto (Pav, 2023) composto da dieci brevi racconti dialogati (uno, che presto avrà un seguito, si intitola Dialogo tra due buoni amici divenuti ex amici alla fine del dialogo) presenta una serie di personaggi precari, in bilico, giunti ad un bivio e rappresentati nel momento decisivo della loro vita.
Appena pubblicato un libro, soprattutto se mi ha richiesto fatica e tempo, in genere me ne distacco: lo metto da parte, non lo leggo più. Invece stavolta mi è accaduto una cosa nuova: mi sono innamorato perdutamente della copertina, questo viso angelico e insieme misterioso, tanto che me la sono stampata in 40x55 e ora la tengo incorniciata sopra il mio letto.

Simone Consorti

NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Simone Consorti è nato nel 1973 a Roma, dove insegna in un liceo. Ha esordito con “L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’” (Baldini e Castoldi 1999, Premio Euroclub 2000, Premio Linus). Ha pubblicato i romanzi “Sterile come il tuo amore” (Besa, 2008), “In fuga dalla scuola e verso il mondo”(Hacca, 2009), “A tempo di sesso”(Besa, 2012),“Da questa parte della morte”(Besa, 2015), “Otello ti presento Ofelia” (L’erudita, 2018), “La pioggia a Cracovia”(Ensemble, 2019), “Vi dichiaro marito e morte”(Ensemble, 2021). Sono uscite diverse sue raccolte di poesia tra cui “Nell’antro del misantropo” (L’arcolaio, 2014),“Le ore del terrore”(L'arcolaio, 2018) e “Voce del verbo mare” (Arcipelago Itaca, 2021).
Pubblica nel 2023 " Un posto vicino al tramonto" (Pav ed.), da cui è tratto il racconto che qui si pubblica.
Le sue piéces “Berlino kaputt mundi” e “Sterile come il nostro amore” sono andate, con successo, in scena, rispettivamente al Teatro Agorà e al Teatro Antigone di Roma tra il marzo e il giugno del 2018. Si occupa di street photography; ha tenuto mostre personali in Italia e partecipato a collettive in Francia e Russia.

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