(Redazione) - Estratto da "Spunta per il viaggio verso ovest" (Arcipelago Itaca ed., 2022) di Claudio Dal Pozzo, con nota di Sergio Daniele Donati

 

Un viaggio, in fondo, è anche la versione archetipica della nostra relazione con la parola. O, almeno, ogni viaggio ci riporta al primo dei percorsi da noi compiuti, quello da una una lallazione scomposta verso il binomio significato/significante del nostro dire. 
Ma il Mito pone spesso una direzione precisa ai nostri viaggi spirituali, come se una spinta interiore ci portasse a muoverci verso un luogo determinato, verso un'idea di altrove che noi, senz'accorgercene, situiamo ad Oriente
È l'oriente la direzione immaginaria dei nostri sogni, il luogo che ci verrà indicato dalle voci che ci abitano

Un viaggio verso occidente, dunque, almeno nel nostro immaginario non può che configurarsi come un viaggio a ritroso, un ritorno verso la sorgente, di cosa poi non sempre è dato saperlo. 
Quanto torniamo, senza immaginarlo, ritroviamo la parola-suono o, almeno, il suono che plasma la parola, prima dei suoi significati/significanti

La splendida raccolta di Claudio Dal Pozzo dal titolo "Spunta per il viaggio verso ovest" (Arcipelago Itaca ed., 2022), a parere di chi vi scrive, traccia con una finezza di tratti tipica della grande pittura veneta dei secoli scorsi, questa idea, necessaria come l'aria alla moderna poesia, di una necessità di ritorno spesso celata - spesso purtroppo depotenziata da una troppo facile affermazione priva di naunces e profondità . 

Della parola descriviamo spesso il tragitto iniziale, quello che dal silenzio porta alla sua emissione. 
Molto più raramente ci soffermiamo su quanto sia ricco il tratto di strada che la parola fa per tornare al silenzio. 
E così facendo ci perdiamo la ricchezza del raccolto che, lo si sa, ha sempre la doppia funzione di darci nutrimento ma anche di donarci nuovi semi per i futuri maggesi. 

Il poeta in questa singolare raccolta invece appare pienamente cosciente della necessità di un tragitto a ritroso; per dirla all'ebraica, di un riapparire della Alef ai nostri orizzonti
E lo fa con movimenti e scritture brevi che sanno dare valore e peso ad ogni sillaba della sua scrittura, quasi a ricordarci che di un viaggio ogni passo è portatore di una nuova coscienza. 
La raccolta in esame è dunque sicuramente un'opera di piena maturità sia linguistica che contenutistica dove l'Autore mostra la rara abilità di saper bilanciare il detto con il non detto, il dicibile con l'indicibile, con un'alchimia che non è certo priva di elementi sapienziali, benché l'ironico gioco del poeta sembri essere quello di una certa ritrosia nell'esprimerli.

L'uso di una aggettivazione inusuale - o volutamente databile (i.e. fricchettoni) - rende poi la lettura non priva di spunti di sorriso profondo, di increspature del viso del lettore simili a quelle di certe statue del buddismo classico. 
Ecco, quest'opera ti porta indietro col sorriso, facendoti gustare i piccoli decalages, i piccoli sfasamenti spazio-temporali del nostro vivere, e pone il lettore in un attento ascolto di suoni e parole (intese qui come significanti) che ci riporta, forse senza volerlo, indietro: a una concentrazione massima, bambina e ludica.

Ecco ciò che io chiamo senza esitazione alcuna, dunque, poesia, nel senso più moderno del termine. È una raccolta, quella di Claudio Dal Pozzo, con enorme capacità trasformativa del lettore ma anche - non prendetemi per folle - dalla podersoa capacità di auto-trasformarsi sotto lo sguardo del lettore. 

Le parole del poeta sono materia plastica, argilla plasmabile e non posso non consigliarvi di sporcarvi positivamente anche voi gli occhi, come i bimbi fanno col Pongo, con questa scrittura, degna di una maestria d'antan di cui, fortunatamente, le penne italiche mostrano ancora qualche esempio.

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ESTRATTO DALL'OPERA

noi Veneti non usiamo altri verbi 
se non il passato prossimo 
per parlare di un tempo

per questo
l’inchiostro dei miei ricordi 
non asciuga mai

i bambini: “Giochiamo?”
c’è la vita in nove lettere
profumo di sudori acerbi
serietà di professionisti
c’è – e lo ricorderai –
(chiudi un attimo gli occhi)
una smorfia da Oscar
il tallone storto di un calzino
un rivolo dalla fontanella
che la bocca non argina
e scivola sul mento


assenze che riempiono cubature urbane
a far esplodere gli infissi

sottrazioni che tocchi 
e riconosci ovunque

allo stesso modo in cui 
connettono geografie e fonetiche 
la zeta dei Veneti
il gielle di Napoli 
il rotacismo parmense


di timidi violini 
fuochi di paglia 
polvere di ali di falene 
neve di marzo
e un temporale estivo
è l’amalgama effimero dei giorni


luna ammiccante e fricchettona
ostia laica e apolide
pane di luce mantello di salvezza
zattera d’emergenza nel mare della notte


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