Il solito poeta




Nottata di sogni densi di significato e sonno finalmente profondo e ristoratore. Al mattino molto presto il terrazzo è un luogo fatato, silenzioso e calmo.
Il cielo commuovente. Sembra invitare a guardare lontano, sia nel presente che nel passato, con morbidezza e soprattutto con speranza. 
E poi lui, il seme, il primo seme ti guarda, timido, coperto dalle foglie delle belle di notte che, dopo aver diffuso colori e profumo sotto alle stelle, si cominciano a chiudere stanche. La bellezza stanca, va protetta.
Il primo seme di quest'anno da me colto. E forse il primo cielo di quest'anno da me guardato in questo modo.
Accogliere le primizie come un dono è uno dei più ricchi insegnamenti dell'ebraismo.
Ad ogni primizia, ad ogni frutto assaggiato, ogni cosa colta per la prima volta nell'anno si dedica una particolare preghiera:
Benedetto sia tu nostro signore che ci hai mantenuto, conservato, portato fino a questo tempo.
E anche se recitata singolarmente questa preghiera si declina sempre al plurale, perché se mi salvo io ci salviamo tutti e se mi danno io si danna il mondo intero.
Cose che si imparano come formulette a scuola, che ti si fissano nella memoria ripetendole, certo.
Cose che magari, dopo mezzo secolo, ti fanno rimanere mezzo ebete in terrazza commosso e pieno di ricordi di quella Morà (maestra) Italia Friedenthal che per prima te le ha insegnate.
Poi ti capita di sentire oltre alla maestosità un poco disarmante del cielo, oltre alla potenza pura di un piccolo seme, che ti richiama alla potenza che la tua di piccolezza dovrebbe esprimere, il tuo valore.
Sì, senza false modestie (tanto in terrazza alle sei meno venti del mattino chi mai ti sentirebbe?) ti capita di dire tra te e te: Io valgo.
E valgo perché ci ho creduto. E nonostante gli inciampi ci credo ancora, come un bambino.
"Fermati, guarda è lì, è piccolo, però mi salva, salva te, salva tutti", dico io e la gente sorride e mi risponde da sempre "il solito poeta". 
E io valgo perché poeta non sono ma resiliente sì. 
E continuo a dirlo in faccia al mondo: "Fermati, guarda, è piccolo, è primizia, ma mi salva, salva te, ci salva tutti".
In attesa dell'autobus che mi porta in studio vi scrivo.
E mi direte, o penserete con un sorriso "il solito poeta".
Vi sorriderò anch'io, dal profondo, perché ho bisogno come tutti dello sguardo degli altri per limitare i miei eccessi. 

Ma dentro di me statene certi, come faccio da mezzo secolo, mormorerò: "Fermatevi. Guardate. È piccolo, è una primizia. Ma mi salva, ci salva tutti"
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