(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 50 - Poesia (come "estensione del silenzio") e "sinestesia"

 
di Sergio Daniele Donati

La poesia, sin dalle sue origini, si colloca in uno spazio liminale tra parola e silenzio.

Cercherò con questo mio articolo di tracciare qualche linea di intuizione sulla relazione tra silenzio, sinestesia e parola poetica, senza alcuna pretesa di completezza, visti i nomi di coloro che nella storia del pensiero si sono occupati del tema con ben altre competenze.  
La mia piccola tesi è che la poesia non sia solo atto di linguaggio, ma soprattutto evento creativo con un evidente effetto prolungativo del silenzio che precede (e abita) la parola.  
In altri termini, è proprio la parola poetica a rendere, tra le altre cose, percepibile il silenzio, togliendolo dal dominio non solo del non-detto, ma anche dell'indicibile, e, in un certo senso trasformandolo in materia estetica
Rainer Maria Rilke osserva: “Il bello è solo l’inizio del tremendo”¹, e in questa tensione tra parola e ineffabile si manifesta, a mio avviso, la poesia come estensione del silenzio.
Uso qui il termine estensione – forse in modo impreciso – perchè si vuole rimarcare qui una sorta di continuità tra il detto poetico e il silenzio che lo precede e tra la parola stessa e il silenzio che la segue. 
Questo può avvenire perchè, se esiste un continuità celata tra silenzio e parola, spesso  quest'ultimo trova la sua espressione nella figurazione retorica (ed esperienza percettiva reale) della sinestesia.
Ricordiamo che la sinestesia è la figura retorica (e vera propria percezione estetica) che consente alla poesia di ampliare i confini sensoriali, trasformando ad esempio il silenzio in colore, il suono in luce, la parola in tatto. 
Della Sinestesia in relazione alla creazione poetica e al pensiero ebraico si è già parlato su Le parole di Fedro in questo articolo che vi invito a leggere. 
Qui, proseguendo nel discorso, mi preme delineare la relazione tra sinestesia, parola poetica e silenzio 
Il silenzio – lo si ripete spesso – è condizione necessaria alla creazione della parola poetica. 
Rainer Maria Rilke ad esempio, nelle Lettere a un giovane poeta, scrive: “Chi crea deve essere un mondo per sé e in sé trovare tutto”². La poesia nasce dunque per il grande autore da un raccoglimento silenzioso e solitario. 
Giuseppe Ungaretti, con il celebre frammento “Mattina” (M’illumino d’immenso), condensa in una parola la vastità di un silenzio che precede e segue il verso³. 
Emily Dickinson afferma: “Saying nothing… sometimes says the most”⁴, mostrando come il silenzio stesso possa essere fonte primaria del linguaggio, specie poetico.

Vorrei sottolineare che questo movimento che dal silenzio procede verso la parola ha un suo movimento contrario che dalla "parola detta" procede verso il silenzio dell'ascolto dei suoi effetti, per il lettore.
È un cerchio che si chiude nella continua alternanza tra percezione/silenzio/parola/silenzio e nuova percezione...una sorta di lettura senza fine e "per rotoli" di un fenomeno generativo dalla immensa portata.
In fondo non stiamo parlando d'altro che del più antico dialogo, o dell'archetipo del dialogo tra opposti (questo sarà oggetto di un mio successivo intervento): quello tra parola e silenzio. 


La poesia, quando tale è, crea sempre, sul suo finale una sorta di sospiro sospeso e silenzioso in cui, in un certo senso, significanti e significati si condensano nel respiro del lettore, per divenire esperienza, spesse volte sinestetica.
L'ungarettiano "m'illumino di immenso", ad esempiogià contiene in sé un'espressione sinestetica (la luce richiama il registro visivo, e l'immensità quello dimensionale e di percezione dell'infinito).
Ma è altrettanto vero che la sinestesia stessa procede verso un successivo silenzio altrettanto sinestetico. 
Chi di noi, infatti, di fronte a quel verso solitario, non si tacita immerso in una percezione luminosa più che sonora?
Chi di noi non viene trascinato verso un'esperienza di un dire che si fa luce, producendo silenzio?

Stéphane Mallarmé, poi, in Un coup de dés jamais n’abolira le hasard, utilizza spazi bianchi e silenzi tipografici per mostrare come la poesia si estenda oltre il testo⁵. Il silenzio tipografico diventa parte integrante del significato, dilatando il tempo della lettura e aprendo un campo semantico che eccede la parola scritta.
Ma anche qui la sinestesia, gioca, in un certo senso, un valore primario. 
Non siamo di fronte ad assenze di suono espresse con bianchi o segni sulla carta?
Non è in fondo anche questa sinestesia?
E non è ossimoro poeticamente pregnante concepire una sorta di scrittura del silenzio
In fondo ogni notazione di un "non facere", di una tacitazione, o anche di una mera pausa ritmica porta in  un paradosso evidente, proprio perchè si esprime e viene letta tramite segni che vorrebbe negare.

Tra ossimori e sinestesie ciascuno di noi compie un'operazione di "creazione dall'assurdo (e dell'assurdo)" quando si pone "all'ascolto del silenzio". 


D'altronde la riflessione filosofica ha spesso incrociato la dimensione poetica del silenzio. Martin Heidegger, ad esempio, in Unterwegs zur Sprache, osserva che il linguaggio è la “casa dell’essere”, ma l’essere stesso si manifesta nel silenzio⁶. 
Maurice Blanchot, poi, ne La scrittura del disastro, scrive: “Quando tutto è stato detto, resta da dire il disastro, rovina della parola”⁷. 
La poesia diventa così per l'autore il luogo in cui la parola si misura con il nulla e lo prolunga.
La tradizione sapienziale biblica offre poi un esempio fondamentale di poesia che si misura con il silenzio. Nei Salmi, ad esempio, il silenzio è invocato come spazio di attesa e di ascolto. “Fermatevi e riconoscete che io sono Dio” (Salmo 46,11)⁸ mostra come il silenzio diventi condizione di rivelazione.
Il richiamo ad altre "fermate" del testo biblico è evidente. 
La parola che ferma è sempre, o quasi, anche la parola che si ferma per far spazio ad un avvento sacro: quello del silenzio, di un regale silenzio.

Vorrei farvi notare che, ad esempio, la locuzione silenzio d'attesa, che ha il suo epigono nel "riposo" di D.o dopo l'atto creativo, in attesa della Sposa Shabbat, è espressione intrinsecamente sinestetica, essendo il silenzio del dominio auditivo (seppure per assenza) e l'attesa di quello della percezione del tempo, vero e proprio senso umano secondo la antica mistica e filosofia.
Altro Salmo recita, infatti,“Solo in Dio riposa l’anima mia” (Salmo 62,2)⁹ ed evidentemente esprime la quiete come forma di fiducia (l'ebraismo parla sempre più volentieri di fiducia che di fede), laddove il silenzio è estensione della fiducia stessa in una venuta futura. 
Il silenzio nei Salmi citati non è assenza, ma pienezza: è il luogo in cui la parola umana si arresta e lascia spazio alla voce divina o all'attesa della sua venuta.
Voce però, quest'ultima, che alle volte si manifesta come un silenzio sottile.
Mi riferisco qui allo stra-conosciuto episodio di Elia in cui la presenza divina si manifesta con una ossimorica e sinestetica esperienza di una voce sottile di silenzio.
Tra Voce e Silenzio l'ossimoro è evidente, ma ancora più evidente è che Elia sinesteticamente ha una percezione tattile e dimensionale (sottile) di una presenza/assenza divina del regno sonoro (voce). 
La sinestesia è quindi figura retorica che unisce sensi diversi, e diventa anche strumento privilegiato per trasformare il silenzio in esperienza estetica.
E non è un mero gioco di parole dire che ciò che mescola i sensi (la sinestesia) sia sempre creatrice di ulteriore senso.

Charles Baudelaire, nei suoi Fleurs du mal, scrive: “Les parfums, les couleurs et les sons se répondent”¹⁰, mostrando come il silenzio possa essere percepito come colore o profumo.
In Eugenio Montale, il silenzio si traduce in immagini tattili e visive: “Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia”¹¹, dove il silenzio di tacitazione anche triste è reso attraverso un’immagine sonora e visiva insieme e non attraverso la descrizione del fenomeno depressivo o triste in sè.
Celan, con la sua parola spezzata e spezzante, fa del silenzio una materia sinestetica: pause e fratture diventano percezioni multiple, memoria che si fa suono e assenza che si fa immagine. Gli esempi sono davvero molteplici.

Mi pare di poter dire dunque che spesso la sinestesia estende il silenzio oltre la sua dimensione acustica (o di assenza acustica), trasformandolo in un campo sensoriale totale e divenendo il vero medium tra il silenzio stesso e la parola poetica con tutti i sensi e significati che essa veicola. 
Il silenzio diventa colore, odore, tatto, tanto quanto la parola poetica: un’esperienza che forse solo la poesia rende percepibile e condivisibile, in una maniera così potente.

La poesia non è semplice parola, ma estensione del silenzio
Essa nasce dal silenzio, lo prolunga e vi ritorna, come un respiro che si espande e si contrae, non senza ignorare la sacralità delle due apnee di ogni ciclo respiratorio.  
Nei Salmi, come nella poesia moderna, il silenzio è condizione di ascolto e di rivelazione, anche e soprattutto verbale. 
La sinestesia, infine, mostra come il silenzio possa essere tradotto in altre forme sensoriali, rendendo la poesia un ponte – fragile ma potente – tra presenza e assenza, tra dicibile e indicibile, tra finito e infinito.

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
01. - R.M. Rilke, Elegie di Duino, Leipzig: Insel Verlag, 1923, p. 11.
02. - R.M. Rilke, Lettere a un giovane poeta, Leipzig: Insel Verlag, 1929, p. 37.
03. - G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Milano: Mondadori, 1969, p. 45.
04. - E. Dickinson, The Poems of Emily Dickinson, ed. Johnson, Cambridge: Belknap Press, 1955, p. 609.
05. - S. Mallarmé, Un coup de dés jamais n’abolira le hasard, Paris: Cosmopolis, 1897.
06. - M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, Pfullingen: Neske, 1959, p. 123.
07. - M. Blanchot, La scrittura del disastro, Paris: Gallimard, 1980, p. 45.
08. - Bibbia, Salmi 46,11.
09. - Bibbia, Salmi 62,2.
10. - C. Baudelaire, Les Fleurs du mal, Paris: Poulet-Malassis, 1857, p. 18.
11. - E. Montale, Ossi di seppia, Torino: Gobetti, 1925, p. 45.
12. - Sergio Daniele Donati, E mi coprii i volti al soffio del Silenzio, Mimesis ed., 2018
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