Tre poesie inedite di Grazia Frisina - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati
Davvero onorati di poter pubblicare sulle pagine de Le parole di Fedro tre poesie inedite di Grazia Frisina, poeta e autrice di narrativa di lunga esperienza.
Come potrete voi stessi percepire si tratta di poesie dai rimi serrati – come serrati sono gli accapo, a tratti quasi sincopati – che fanno emergere nelle fibre del lettore un continuo e dialogante questionamento.
Questo effetto di "dialogo in spazi ristretti" col lettore emerge anche dalla scelta di una quasi latitanza, una rarefazione degli aggettivi nelle poesie che vi proponiamo, cosa che, evidentemente, lascia spazio al lettore per una immaginaria risposta.
Mirabile in particolare, a parer mio, la terza composizione – e con questo non intendo certo che altre non lo siano – in cui la poeta ci trascina nel dominio della parola, descrivendolo come luogo in cui sussiste un suono capace di "scompaginare" le leggi dell'alfabeto.
Il suono come elemento quasi-estraneo alla scrittura, come elemento limitrofo ma parzialmente indipendente alla stessa, come elemento di disturbo-creativo per la parola e i suoi significati – lo sapete – è tema a me molto caro, con evidenti richiami a visioni sapienziali e antiche.
E in questo la poeta dimostra ampiamente di sapersi muovere in poesia (rara dote davvero!) sui crinali di pensiero profondi e non facili da "tradurre in versi".
Anche l'elemento dell'inciampo, della "parola che vacilla", della imperfezione di ogni detto (e scritto) viene trasmesso da Grazia Frisina, in questa sua, come luogo e tempo di necessaria celebrazione.
E cosa altro si può celebrare in una caduta della (e nella) parola se non l'effetto disvelativo che lo stesso crea, mostrandoci, in tutta evidenza, la non appartenenza delle parole al suo autore.
Si celebra lo straniamento o, forse, l'evanescenza del poeta dai suoi stessi versi, che ontologicamente, non possono che rappresentare una zoppia, una "claudicanza", come direbbe il maestro Haim Baharier, rispetto al vero che vorrebbero esprimere.
Questo elemento di valorizzazione della piega e della piaga, delle aritmie del vivere, della mutilazione endemica, di un domani privo di armi e inerme, è molto presente anche nelle altre due magnifiche poesie.
E in esse, senza dirlo esplicitamente, ma facendolo intendere attraverso l'apparato ritmico e sonoro, si intravede un richiamo alla luce...una "luce...nonostante", o, forse, una "luce..proprio grazie a" quegli stessi inciampi ed ostacoli.
Tra l'altro, magnifica la sinestesia nei primi versi della prima poesia in cui di una arsura (dominio epiteliale e tattile) si percepisce lo schianto (dominio auditivo e percettivo sonoro).
Proprio l'uso di queste forme retoriche, che ritroviamo anche altrove, rende evidente la ricerca di uno "straniamento che manifesti consapevolezza nel lettore".
Poesie dunque queste etimologicamente magistrali, perchè manifestano tutta la maestria di chi nella parola ha compiuto un percorso preciso, non privo/privato di/da cadute, e sa che è proprio del crinale (viene citato nei testi) stretto permettere a chi lo percorrere di percepire con maggiore precisione i messaggi del vento sul viso.
Un grande e profondo ringraziamento alla poeta per questo magnifico dono da parte di tutta le Redazione.
Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
Una lira di sordità
per non udire lo schianto
dell’arsura contro la vitalba
l’aritmia della morte fuori e dentro
il terrore dell’agnello pronto al macello
un calice di guazza
per dissetare la piaga
della radice incatramata
quella molecola di vita
in ogni parte vilipesa mutilata
avessi
per i tutti i voli
che sanguinano
avessi una fiumana
nei polsi
una celeste ballata
II
Nell’iride taciturna
nicchie di fuochi
nutriva
schiocchi di coriandoli
primitiva mia bimba giocoliera
un battimano
intonavi
talvolta
alla lucciola
che tracciava
un sentiero
sottopelle
d’affatato
scintillio
come fosse
breccia
al disarmato
domani
III
è un mortale ricamo
Sempre là mi conduco
inconclusa io
sul crinale tra un novilunio
e quel suono a vuoto
che scompagina
le leggi dell’alfabeto
Ho tuttavia fede
in chi mi ripete –
ogni volta un rischio
vicinanza al fuoco
destino di nudità
è la Poesia
Ma tu
pòrtati là e celebra
ogni volta in Lei
la tua sconfitta
la monca parola che vacilla
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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Ha pubblicato: il romanzo A passi incerti (2009); le raccolte poetiche Foglie per maestrale (2009), Questa mia bellezza senza legge (2012), Innesti (2016), Pietra su pietra (2021); Avrei voluto scarnire il vento (2022); i drammi poetici Cenere e cielo (2015- dramma sulla Shoah), Madri (2018) pref. di Marinella Perroni, (tre pièces su alcune figure femminili del mondo biblico)
Ha ideato e curato i dialoghi poetici: Ricordi come raccoglievamo i narcisi, sulla storia d’amore fra Sylvia Plath e Ted Hughes (2015), e Il mare nel vento – Una voce dentro l’altra, sull’amore fra Elizabeth Barrett e Robert Browning (2017), rappresentato presso la casa-museo Guidi di Firenze.
È presente, con alcuni suoi componimenti, in varie riviste letterarie nazionali e internazionali.
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