(Redazione) - Dissolvenze - 11 - Dissetando il corvo

 

A cura di Arianna Bonino
Il motivo per il quale mi sono interessata a Paul Flora è il fatto che l’introduzione al suo bel libro Malinconie è firmata Friedrich Dürrenmatt.
Nel libretto, orientato in orizzontale come un piccolo albo, ci sono dei disegni molto stilizzati, a penna, nero su bianco. Le uniche parole che compaiono sulla copertina sono quelle obbligatorie per poterlo definire, convenzionalmente, libro. Autore: Paul Flora; titolo: Malinconie; editore: Baldini & Castoldi.

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All’interno, oltre ai dettagli minimi e indispensabili, come l’anno di pubblicazione (1960) e il curioso nome della collana “Comica Diogene”, c’è solo un breve testo introduttivo, come dicevo a firma del grande scrittore svizzero Dürrenmatt.
So benissimo che questo pezzo è su Claude Flora e non su Friedrich Dürrenmatt, ma bisogna dire qualcosa di Dürrematt per capire qualcosa di Flora e questo va fatto perché Dürrenmatt è noto per i suoi romanzi e racconti polizieschi le cui trame fanno da espediente per parlare – in modo alquanto grottesco e amaro - del grande caos che governa i destini e degli sfuggenti contorni del concetto di giustizia. Ma Dürrenmatt cosa ci fa all’inizio di un libretto del genere? Ecco, ci sta proprio bene, a dispetto delle apparenze. Perché Dürrenmatt ha una nota salace e tragicomica, quando vuole. Denuncia e irride la patina ipocrita della società svizzera col suo teatro audace e corrosivo e anche con la sua opera grafica e pittorica non è da meno.

Immagine 2 - Friedrich Dürrenmatt, Svizzero arrabbiato che lancia una bomba atomica VII,
inizio anni ’60, biro su carta, 21 x 14,8 cm, Collezione Centro Dürrenmatt, Neuchâtel.

Dürrenmatt colpisce nel segno: prova ne è il fatto che sia stato tenuto per anni e anni sotto sorveglianza speciale segreta da parte della Bundespolizei (la polizia federale elvetica), come altri 800.000 cittadini progressisti, sospettati di comportamenti non svizzeri come lui (1), che manifestava apertamente la sua critica con gli scritti, oltre che con le conferenze (tra gli anni Settanta e Ottanta fu attivo politicamente). Memorabile, tenuto poco prima della morte, uno dei due discorsi intitolati Kants Hoffnung (La speranza di Kant), in particolare quello intitolato Die Schweiz - ein Gefängnis (La Svizzera - una prigione) (2), in onore di Václav Havel. Una persecuzione che nel 1966, fece dichiarare a Dürrenmatt: "la Svizzera sta diventando uno Stato poliziesco con una facciata democratica".
Non stupisce che lui e Paul Flora fossero amici. Perché questo libretto di Flora è anche lui un po’ agrodolce, nel suo porsi come l’insolita successione di “idilli” grafici aventi per protagonisti tre beccamorti: disegni semplici, essenziali, a volte fatti di poche linee e che illustrano gli escamotages congegnati e messi in atto da tre becchini vintage - con tuba, baffetti e un fare tra il paziente e il furtivo - per procurarsi clientela, in qualche modo.
I toni rasentano appena il margine del cinico, mantenendosi piuttosto sul crinale del poetico, così che ne deriva una teoria di quadri tra il miele e il fiele, capaci con pochissimi segni di narrare storie intere:

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Come scrive Dürrenmatt: “non so se esiste ancora questa specie amabile di becchini, forse in Austria, altrove, non credo. I tempi si sono meccanizzati troppo, le grandi ditte gestiscono ciò che i tre eseguono in piccolo, provvedendo in grande alla madrepatria, all’Armata e ad altri grandi esercizi […] Si potrebbe obiettare che il libretto di Flora è fuori del tempo, nel migliore dei casi, romantico, e che non esiste un ritorno nel passato. Debbo controbattere. Se non siamo più in grado di arrestare la odierna meccanizzazione in questo campo e di ritornare alle piccole aziende per quanto riguarda il mestiere del becchino. Potremmo pagare tutto ciò con il nostro sterminio. È una questione vitale”.
La successione di idilli, che hanno il grandissimo pregio di irridere e scongiurare la morte – e non si può far altro che prenderla in giro, se non si vuol morire di paura prima del tempo -, vede l’autonomia dei singoli quadri, perfetti uno per l’altro nella loro efficacia fulminante. Ma Flora in realtà tesse una sottile narrazione nella loro precisa sequenza. Perché questo libro ha una trama vera e propria che si intuisce idillio dopo idillio: la società dei tre becchini, faticando a reclutare clientela tra i comuni mortali, finisce per rivolgere l’attenzione sui suoi stessi componenti, nel paradossale sacrificio che si troveranno a compiere.
Naturalmente, non manca nemmeno il coup de théâtre finale, nell’ultimissima pagina, proprio dove deve stare. D'altronde Flora in questo libretto ha scelto di disegnare una cosa ben precisa e, se c’è qualcosa che rischia di sorprenderci davvero, e magari di farlo in eterno, è solo e soltanto lei, la fine infinita di tutto, che, finalmente, durerà per sempre.
Ma chi è Flora?
Paul Flora nasce nel 1922 in Val Venosta, nell’Alto Adige, precisamente a Glorenza, anche se è ancora un bambino quando la famiglia si trasferisce ad Innsbruck, dove vivrà tutta la vita, fino al 2009. Dopo la laurea, nel 1942 si iscrive all’accademia di Belle Arti a Monaco di Baviera, studi che interrompe per la chiamata alle armi nella Seconda Guerra mondiale, esperienza non solo dura come lo sono tutte le guerre, ma che si conclude con la sua cattura da parte degli americani. Rilasciato, farà ritorno a Innsbruck nella primavera del ’45 e inizierà a dedicarsi finalmente al suo talento: nell’autunno dello stesso anno espone per la prima volta, a Berna. Il suo disegno, soprattutto quello giovanile, è molto influenzato dall’opera dell’austriaco Alfred Kubin, artista che stimava e amava moltissimo e con cui strinse un’amicizia testimoniata da un intenso dialogo epistolare. Con Kubin Flora scambiò anche alcune opere. Flora e Kubin non hanno la stessa poetica: per Kubin l’arte ha una funzione terapeutica, perché permette di esprimere e forse in parte di liberarsi di angosce e demoni interiori.

Immagine 6 - Alfred Kubin, Verso l’ignoto, 1900-1901

Flora invece, pur amando il macabro e il grottesco, via via impara a mitigarlo con l’ironia e si distingue per il suo umorismo, ben espresso nelle caricature dove spesso figurano burattini e marionette. I suoi temi distintivi e iconici però sono il corvo, animale simbolico e noir per eccellenza, e una nebbiosa e vaga Venezia, città anch’essa legata allegoricamente alla decadenza e con ciò alla morte e dalle cui opalescenti e sfumate scenografie allestite da Flora emergono negli anni anche multicolori tinte pastello.
Immagine 7 - Paul Flora, Dissetando il corvo, acquaforte e matite colorate, 2007

Immagine 8 - Paul Flora, Venezia, matita su carta, 1982

Immagine 9 - Paul Fora, Maschere di Carnevale, matita e inchiostro su carta, 1984

C’è una sorta di parabola nel percorso artistico di Flora, che lo vede passare dal grottesco, all’ironico, al poetico e parallelamente, la sua tecnica accompagna con coerenza questo percorso: dal tratto deciso e incisivo del bianco e nero, alla grafite colorata fino alla lirica tenuità dell’acquerello, che, insieme al suo inconfondibile tratteggio grigio, abita la malinconia, il luogo che, alla fine, gli assomiglia di più:

Immagine 10 - Paul Flora, Nella pioggia, penna su carta, 1946


Immagine 11 - Paul Flora, Vecchio rivoluzionario russo, inchiostro e matite colorate su carta

Immagine 12 - Paul Flora, Carnevale veneziano, inchiostro e matite colorate su carta

Sembra davvero che Flora sia riuscito a scongiurare, a differenza di molti altri, l’abisso più tetro della cupezza, tenendosi in equilibrio sul filo che via via lui stesso ha tracciato davanti a sé, quell’esile tratto di matita, sottile ma salvifico, come può essere un malinconico sorriso.
Tanto che, alla fine del suo viaggio, scrive ancora una lettera e la indirizza all’amico Kubin, anche se ormai non c’è più, come se lui potesse comunque leggerla.
Non so se Kubin sia venuto a saperlo. Spero di sì, perché quella lettera dice così:

Caro Alfred,
tu non ci sei più ma a chi altro potrei raccontarmi? Hanno proprio ragione, quando il nostro viaggio finisce, finiamo inevitabilmente a sbirciare tutti quei ricordi rimasti dentro i bagagli, quelli più importanti. La vita è un cerchio e io vorrei tornare là, nella città più piccola, dove sono nato. Si chiama Glorenza e si trova in Alto Adige, si scherza dicendo che “la nostra città è così piccola che dobbiamo andare a messa fuori dalle mura”. Qui i bambini crescono felici ma lontani dalle cose del mondo, dalle cose che succedono.
Per fortuna, presto i miei hanno scelto di andare altrove e ci siamo ritrovati a Innsbruck. Non è Vienna, ma sicuramente un centro culturale più vivace che Glorenza. Qui ho capito che avrei dato tutto per l’arte, perché o ti concedi anima e corpo o al più diventi un artigiano. Così ho nuovamente fatto i bagagli e sono andato a Monaco di Baviera e ho iniziato l’Accademia. Era come essere tornato bambino e scoprire il mondo, ogni giorno. Non ho mai terminato gli studi perché poi è iniziata la guerra e ha ucciso vittime e speranze. Anche una volta finita, non sono più stato lo stesso. Ho sviluppato una passione per il macabro, per l’umorismo nero, per l’oscuro, per l’inquietudine. È così che mi sono presentato a Vienna. Dove ogni artista dovrebbe respirare, amare e vivere. Sono diventato socio dell’Art Club e mi sono perso nelle opere di Paul Klee. Tutte le cose del mondo ricondotte a semplici geometrie … era rassicurante, quasi come se tutto avesse davvero un ordine. Finalmente. Come se la Terra fosse una biglia blu, senza alcuna ferita. Nel mentre disegnavo tantissimo e sperimentavo gli acquarelli, volevo imprimere la mia anima sulla carta. Poi io sarei anche scomparso, ma la carta no.
Mi hanno invitato a esporre alla Biennale di Venezia, quella città sulle acque e per un attimo ho pensato che non fosse vero, che nemmeno la città esistesse per davvero, che fosse solo una cartolina che si riceveva dai viaggiatori […]. Per me, Alfred, l’arte non è terapia, è osservazione e manifestazione. È raccontare.
È tempo di tornare a Glorenza,
Con affetto
Paul (3)
Immagine 13 - Paul Flora, Due uccelli, penna e matita colorata, 2005

NOTE
(1) https://www.swissinfo.ch/eng/swiss-secret-service-spied-on-duerrenmatt/46681496
(2) Rede von Friedrich Dürrenmatt auf Vaclav Havel zur Verleihung des Gottlieb-DuttweilersPreises am 22. November 1990 http://www.juerg-buergi.ch/resources/Aktuell/Blog/Rede_Duerrenmatt.pdf
(3) Paul Flora Wie's halt so kommt: Erinnerungen aufgezeichnet, errinerungen aufgezeichnet von Felizitas von Schönborn, Diogenes, 2022

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