( Redazione ) - Breve nota di lettura sulla silloge "Fra l'Olimpo e il Sud” di Doris Bellomusto (Poetica Edizioni, 2021)

 

Che il Mito, specie quello greco, sia talmente radicato nella nostra forma mentis è frase talmente ripetuta da perdere per i più il suo significato profondo. 
E, d'altronde, siamo tutti così spesso intrisi di una idea fittizia di modernità che del nostro rapporto con il Mito ne facciamo locuzioni che nient'altro dimostrano che la nostra lontananza da una radice fondamentale del pensiero occidentale. 
Il Mito viene in altre parole riletto in chiave moderna, o (odioso termine) rivisitato, come si visitano le vestigia di ciò non è più.
Doris Bellomusto, autrice della silloge "Fra L'Olimpo è il Sud" (Poetica edizioni, 2021) ci indica nel rapporto col Mito, un viaggio contrario, possibile e più autentico. 
Quello di un Mito che non viene solo rivisitato ma di cui ci si riappropria completamente, verificandone poi i richiami e le pulsazioni nel nostro vivere moderno e quotidiano. 
L'autrice riesce a svelare, in altre parole, quanto il Mito sia l'ossatura ancora vivente della nostra esistenza e lo fa uno stile linguistico volutamente planato, a volo di gabbiano, che rifugge il lirismo fine a sé stesso, ed entra nella parola con richiami diretti a una sorta di sospensione ricercata e fine.
Un poetare nella sua profondità sobrio ma non distaccato, mai viscerale, e con richiami profondi alle voci che abitano la psiche di tutti i lettori. 
Così nella sua Zeus leggiamo:
Offende
i mortali
la lasciva lussuria
che ti concedi.
Ingordo nelle viscere,
avido nel cuore,
non concedi tregua
agli istinti,
non sai rinunciare
agli inganni.
Sei il più imperfetto
dei padri.
Sei a nostra immagine
e somiglianza,
mai sazio
di vita,
mai sazio d’amore.
Sei perfetta unità
di misura
di ogni umana
imperfezione,
Offende
i mortali
la lasciva lussuria
che ti concedi,
eppure ci salva
dall’assurda
pretesa
di somigliare
agli dei.
  
L'autrice qui gioca, con incalzanti "accapo brevi" che rendono il ritmo della poesia molto accusatorio, su una evidente inversione o contrapposizione del rapporto tra il divino e l'umano, così come d'abitudine lo conosciamo. Qui è il divino ad essere immagine e somiglianza  dell'umano e delle sue imperfezioni.  E ciò che Doris Bellomusto denuncia con finezza non da poco è che l'imperfezione del divino è garanzia e salvezza per l'uomo dal tentativo di imitatio Dei; quasi a dirci che l'imperfezione del modello è la garanzia contro l'errore della sopraffazione del limite, della creazione di un superuomo.
In altre parole ci salva l'imperfezione della stessa divinità del nostro desiderio di trascendere i limiti dell'umano, invece che da tali limiti adoperarci in un'opera di ricostruzione del sé che parta dalla consapevolezza dell'anima profonda di ciascuno di noi. 
Come potete osservare, qui Doris Bellomusto, usa una scrittura diretta e priva di inutili orpelli o escamotages o virtuosismi linguistici per portarci al cuore di un discorso che è sempre caro al poeta. 
La costruzione della parola (quindi del linguaggio, quindi dell'uomo) a partire dai limiti e dalla imperfezione. 

In Silenzio, invece, l'autrice sfiora un altro tema centrale per chi scrive  e ancor più per chi legge. Leggiamone il testo: 

Faccio spazio
alle cose che non conosco,
ascolto
il fermento
del mio sangue.
Forse
si fa vino,
forse mi renderà
ebbra,
forse
farà di me
una Baccante,
forse
mi scioglierà
ogni pensiero
e parlerò
senza aprire bocca,
parleranno i miei occhi,
i miei piedi
nudi,
i miei capelli,
finalmente grigi,
finalmente liberi
di cantare.
C'è da saper accogliere lo sconosciuto e l'idea di inconoscibile, sembra dirci la poetessa, per far sì che il silenzio non sia altro che parola a labbra serrate, parola del corpo, il cui linguaggio, forse, è capace di trasmettere l'immediatezza di un significato. La bellezza dell'immagine dell'ebbrezza di un sangue che si fa vino non può sfuggire a chi legge.
Anche qui l'autrice gioca su una inversione di termini teologici ben conosciuti (questo vino è il mio sangue) e così facendo libera la parola del corpo. A parlare saranno occhi e piedi e capelli che in quanto grigi, finalmente, potranno  cantare il canto della vita vissuta. 
Una poesia che libera dalla schiavitù del dire e ridona al Silenzio tutta la sua potenza comunicativa, anch'essa fondata su versi brevi, diretti non privi di elencazioni serrate (e l'elencazione in poesia significa spesso, se non sempre, assenza di giudizio).
Ma è in L'essenza, che l'autrice, disvela un nodo centrale del suo far poesia. 

Senza azzardi,
senza complici
bugie,
senza ingannevoli
omissioni,
senza nascondersi
al disamore,
senza rancore,
nell’aria
posso ancora
sentire il profumo
buono
degli amori vissuti,
quando il cuore
era così puro
da conoscere
di ogni cosa
l’essenza.

Spero mi perdonerà la poeta se faccio un piccolo gioco di parole ma mi pare che, con una finezza notevole, sia stata capace di definire l'essenza attraverso l'assenza. 
Chiarisce questa poesia cosa sia essenza, attraverso una serrata, anche qui, elencazione di quali siano gli impedimenti del manifestarsi dell'essenza stessa. 
Senza l'assenza di quell'elenco di senza, sembra dirci Doris Bellomusto, non si è in grado di cogliere l'essenza di tutte le cose. 
Ma badate bene: la finezza dell'autrice non sta nel darci una definizione in negativo di essenza (cosa essenza non è), perché dopo l'elencazione stretta viene l'apertura all'essenziale: olfattivo e sensuale prima, emotivo e sentimentale poi, fisico (il cuore puro) infine. 
E sensi, emozioni e fisicità sono l'essenza dell'uomo se si lega al Mito, che della gestione di quei tre elementi sia nell'umano che nel divino molto si occupa. 

La lettura di questa silloge, dunque, è per me un viaggio nella parola stretta, priva di tecnicismi e bizzarrie linguistiche inutili, capace di svelare al lettore un sottile gioco di non detti ( e detti ) che rendono moderno e sempre vitale, l'antico.
Un antico che, lo ripeto, non si rilegge, ma si rivive




Per la redazione de Le parole di Fedro
Sergio Daniele Donati


NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Doris Bellomusto (Cosenza, 02/09/1979), si è laureata in lettere classiche presso l’Università della Calabria, insegna materie letterarie presso il “Liceo G. Pascoli” di Barga, in provincia di Lucca, dove vive dal 2011. Non ha mai dimenticato né i suoi studi classici né le sue radici meridionali. 
Dalle sue inestinguibili nostalgie sono nate le raccolte di poesie “Come le rondini al cielo”, edizioni “Tracce”, pubblicata nel Marzo 2020 e “Fra l’Olimpo e il Sud”, Poetica edizioni, 2021.
Alcune sue poesie sono risultate vincitrici in occasione di concorsi letterari e pubblicate all’interno di antologie di autori vari.
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Commenti

  1. ITALO CIRENE24/05/22, 15:25

    Sottoscrivo integralmente. Densità, Essenzialità, Intensità. Queste le parole chiave per descrivere la presente opera e, più in generale, la bella ed emozionante poetica di Doris Bellomusto

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  2. Mi piace molto la tua ultima considerazione, fedro. grazie.

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  3. Agli sguardi così attenti sarò sempre profondamente grata! È per me un immenso privilegio

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    1. Il privilegio è nostro poter ospitare scrittura come quella di Doris Bellomusto

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