(Redazione) - Fisiologia dei significati in poesia - 20 - Il poeta e la sua parola (parte sesta - Presupposti per la Sintesi)

 
di Giansalvo Pio Fortunato

Ripartiamo, dunque, dalla pluripotenza della poesia, che – va precisato – non è onnipotenza. Il legame, infatti, del linguaggio poetico con la lingua, che è articolata, risulta, infatti, negativamente limitato: nei termini di una possibilità che finisce lì dove finisce la lingua come significatività, sonorità e visione. Il centro gravitante del linguaggio e, a maggior ragione, del linguaggio poetico si pone nell'incrocio esatto tra il mondo culturale (il complesso di visuali percettive di un individuo, che è figlio di una comunità) ed il mondo artistico di quello stesso individuo e di quella stessa comunità.
Questa intersezione, senza dubbio, non priva il poeta della sua originalità: semplicemente la indirizza, segnando intrinsecamente il limite. Uno spirito illuminato, per intenderci, può, in quanto poeta geniale e rivoluzionario, scrivere sempre e solo ancorato al suo tempo, alla sua costituvità ruminante artistica e culturale, e, qualora dovesse aprirsi ad una visuale totalmente innovativa rispetto alla sua precedente esperienza artistica, questa sarà vivida ed estemporanea al pari della variazione del contesto esperienziale nel quale si è specificamente ancorato. Il poeta, dunque, è universale e avant-guardista nei confronti dei contesti del vissuto condiviso (rispetto alle comunità relazionali nelle quali è inserito) e nei confronti degli interlocutori che condividono col poeta lo stesso confine significativo e, in climax, esistenziale. Oltre questa dimensione – essendo particolarmente schietti e sinceri – il poeta non può e non riesce ad andare.
Un simile principio (eliminando ogni resa assiomatica, che non è mia intenzione fornire) certamente non limita la propositività e la creatività del poeta: la riconduce semplicemente sulla terra, valutandone la reale portata analitica ed operativa. Il poeta, dunque, non dispone di un messaggio universale che coglie in maniera del tutto indipendente dalla sua possibilità ricettiva, perché non esiste messaggio universale ( a-storico, a-culturale, a-valoriale) e perché la possibilità ricettiva non è passiva e non è traslucida. Il poeta, dunque, è in grado di far emergere un senso ed un messaggio universale ed assoluto fin quando la sua struttura esperienziale ha ancora degli echi e delle riprese nella struttura esperienziale di chi recepisce il testo poetico sia nel senso stesso del testo, sia anche nel senso che viene individuato dai lettori e dalla ricettività della poesia. In questo consiste la pluripotenza della poesia. Una pluripotenza, nel dettaglio, che fa ritornare specificamente al poeta in quanto individuo ed al suo fruitore in quanto individuo.
Con queste conclusioni riusciamo a smontare il banco sia di una certa estemporaneità della poesia, sia di un'analiticità asfittica del fare poetico. Perché il poeta, infatti, è radicalizzato in una rivoluzione percettiva. Perché il presupposto percettivo non è più presupposto, ma elemento di interesse che guida l’analitica poetica.
Il poeta – va precisato – è individuo empirico: è, quindi, individuo normalissimo, aldilà di ogni eccezionalità che si riconosce alla sua blasonata sensibilità fuori dal comune. Se esiste una sensibilità, questa non è certamente empirica classica, né tantomeno idealistica nei termini di un’intuitività eccezionale. Se questa sensibilità è distinta, lo è nei termini genetici ed esperienziali, ricordando che nell’esperienziale vi è costitutivamente il genetico.
Così come, per le ragioni precedentemente espresse, lo stato di sola lingua e di linguaggio, estraneo al soggetto poetico (all’autore), non è in grado di rendere l’ordinarietà poetica, perché i moduli percettivi e significativi sono distinti (pur non essendo eccezionali). Lo spunto, infatti, sta nell’estensione della base fenomenologica attorno all’autore.
Estendere la base fenomenologica attorno all’autore implica l’intersezione tra una prospettiva percettiva ordinaria, finalizzata a normalizzare il poeta, con proprietà di linguaggio che analiticamente vengono poco scandagliate o del tutto subordinate ad un presupposto gnoseologico ben distinto da quello fenomenologico. Così gli elementi prima sezionati si distaccano da un relativismo di tipo strettamente culturale o di tipo rigorosamente comportamentale, per assumere invece una significatività di tipo – lo ribadisco – fenomenologico. Il legame culturale, che si inserirebbe nella cognizione dell’individuo poetico, deve fronteggiare la spazialità corporea: di un fronteggiare assolutamente non antitetico; co-attivo e co-fungente, piuttosto. Il legame sensibile (di una sensibilità secondo empirismo classico), che si inserirebbe nei solo contenuti corporei puri, deve fronteggiare la spazialità cognitiva: di un fronteggiare significativo, sempre nella co-azione e nella co-funzione. Siamo, dunque, nei parametri della percezione. Di una percezione che non solo rende giustizia alla capacità ricettiva del poeta, ma la limita soprattutto positivamente, riuscendo a raccogliere i semi della sua visione (forma, questa, più accattivante rispetto alla semplice espressività poetica) come derivanti da una contingenza intrascendibile per qualsiasi poeta in quanto semplicissimo individuo esistente. Di una percezione, inoltre, che mostra le ragioni non più mitologiche della Babele espressiva, che da sempre forma l’autentica poesia e forgia i poeti vigorosi.
Perché nello steccato percettivo e, conseguentemente espressivo, si ritrova necessariamente sia il tema estremamente variabile della resa poetica di quello che pare essere uno stesso tema / contenuto, sia l’obbligo – quasi deontologico – del poeta di solidificare una propria firma che non renda diversamente la stessa cosa: che edifichi, piuttosto, qualcosa di nuovo, marchiandolo con la propria esperienza e prospettiva. È proprio per questo che ho prima utilizzato il più grossolano tema / contenuto per definire ciò che dovrebbe essere analogo in poesie, che pare si richiamino vicendevolmente (in tal senso sono interessanti le antologie poetiche su temi). Il più familiare, per ciò che mi riguarda, esperienza si priva, infatti, completamente della possibilità analogica. Non è forse deterrente per un’uniformità esperienziale l’unicità dell’esperienza data nella singolarità che esperisce? E non è rivoluzionariamente trascendentale l’inter-soggettività contingente?
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