(Redazione) - Fisiologia dei significati in poesia - 20 - Il poeta e la sua parola (parte sesta - Presupposti per la Sintesi)
Ripartiamo,
dunque, dalla pluripotenza
della poesia,
che – va precisato – non è onnipotenza. Il legame, infatti, del
linguaggio poetico con la lingua, che è articolata, risulta,
infatti, negativamente limitato: nei termini di una possibilità che
finisce lì dove finisce la lingua come significatività, sonorità e
visione. Il centro gravitante del linguaggio e, a maggior ragione,
del linguaggio poetico si pone nell'incrocio esatto tra il mondo
culturale (il complesso di visuali percettive di un individuo, che è
figlio di una comunità) ed il mondo artistico di quello stesso
individuo e di quella stessa comunità.
Questa
intersezione, senza dubbio, non priva il poeta della sua originalità:
semplicemente la indirizza, segnando intrinsecamente il limite. Uno
spirito
illuminato,
per intenderci, può, in quanto poeta geniale e rivoluzionario,
scrivere sempre e solo ancorato al suo tempo, alla sua costituvità
ruminante artistica e culturale, e, qualora dovesse aprirsi ad una
visuale totalmente innovativa rispetto alla sua precedente esperienza
artistica, questa sarà vivida ed estemporanea al pari della
variazione del contesto esperienziale nel quale si è specificamente
ancorato. Il poeta, dunque, è universale
e avant-guardista
nei confronti dei contesti del vissuto condiviso (rispetto alle
comunità relazionali nelle quali è inserito) e nei confronti degli
interlocutori che condividono col poeta lo stesso confine
significativo e, in climax, esistenziale. Oltre questa dimensione –
essendo particolarmente schietti e sinceri – il poeta non può e
non riesce ad andare.
Un
simile principio (eliminando ogni resa assiomatica, che non è mia
intenzione fornire) certamente non limita la propositività e la
creatività del poeta: la riconduce semplicemente sulla terra,
valutandone la reale portata analitica ed operativa. Il poeta,
dunque, non dispone di un messaggio universale che coglie in maniera
del tutto indipendente dalla sua possibilità ricettiva, perché non
esiste messaggio universale ( a-storico, a-culturale, a-valoriale) e
perché la possibilità ricettiva non è passiva e non è traslucida.
Il poeta, dunque, è in grado di far emergere un senso ed un
messaggio universale ed assoluto fin quando la sua struttura
esperienziale ha ancora degli echi e delle riprese nella struttura
esperienziale di chi recepisce il testo poetico sia nel senso stesso
del testo, sia anche nel senso che viene individuato dai lettori e
dalla ricettività della poesia. In questo consiste la pluripotenza
della poesia. Una pluripotenza, nel dettaglio, che fa ritornare
specificamente al poeta in quanto individuo ed al suo fruitore in
quanto individuo.
Con
queste conclusioni riusciamo a smontare il banco sia di una certa
estemporaneità della poesia, sia di un'analiticità asfittica del
fare poetico. Perché il poeta, infatti, è radicalizzato in una
rivoluzione percettiva. Perché il presupposto percettivo non è più
presupposto, ma elemento di interesse che guida l’analitica
poetica.
Il
poeta – va precisato – è individuo
empirico:
è, quindi, individuo normalissimo, aldilà di ogni eccezionalità
che si riconosce alla sua blasonata sensibilità
fuori dal comune.
Se esiste una sensibilità, questa non è certamente empirica
classica, né tantomeno idealistica nei termini di un’intuitività
eccezionale. Se questa sensibilità è distinta, lo è nei termini
genetici ed esperienziali, ricordando che nell’esperienziale vi è
costitutivamente il genetico.
Così
come, per le ragioni precedentemente espresse, lo stato di sola
lingua e di linguaggio, estraneo al soggetto poetico (all’autore),
non è in grado di rendere l’ordinarietà poetica, perché i moduli
percettivi e significativi sono distinti (pur non essendo
eccezionali). Lo spunto, infatti, sta nell’estensione della base
fenomenologica attorno all’autore.
Estendere
la base fenomenologica attorno all’autore implica l’intersezione
tra una prospettiva percettiva ordinaria, finalizzata a normalizzare
il
poeta, con proprietà di linguaggio che analiticamente vengono poco
scandagliate o del tutto subordinate ad un presupposto gnoseologico
ben distinto da quello fenomenologico. Così gli elementi prima
sezionati si distaccano da un relativismo di tipo strettamente
culturale o di tipo rigorosamente comportamentale, per assumere
invece una significatività di tipo – lo ribadisco –
fenomenologico. Il legame culturale, che si inserirebbe nella
cognizione dell’individuo poetico, deve fronteggiare la spazialità
corporea: di un fronteggiare assolutamente non antitetico; co-attivo
e co-fungente, piuttosto. Il legame sensibile (di una sensibilità
secondo empirismo classico), che si inserirebbe nei solo contenuti
corporei puri, deve fronteggiare la spazialità cognitiva: di un
fronteggiare significativo, sempre nella co-azione e nella
co-funzione. Siamo, dunque, nei parametri della percezione. Di una
percezione che non solo rende giustizia alla capacità ricettiva del
poeta, ma la limita soprattutto positivamente, riuscendo a
raccogliere i semi della sua visione (forma, questa, più
accattivante rispetto alla semplice espressività
poetica)
come derivanti da una contingenza
intrascendibile
per qualsiasi poeta in quanto semplicissimo individuo esistente. Di
una percezione, inoltre, che mostra le ragioni non più mitologiche
della Babele
espressiva,
che da sempre forma l’autentica poesia e forgia i poeti vigorosi.
Perché
nello steccato percettivo e, conseguentemente espressivo, si ritrova
necessariamente sia il tema estremamente variabile della resa poetica
di quello che pare essere uno stesso tema / contenuto, sia l’obbligo
– quasi deontologico – del poeta di solidificare una propria
firma che non renda diversamente la stessa cosa: che edifichi,
piuttosto, qualcosa di nuovo, marchiandolo con la propria esperienza
e prospettiva. È proprio per questo che ho prima utilizzato il più
grossolano tema
/ contenuto
per definire ciò che dovrebbe essere analogo in poesie, che pare si
richiamino vicendevolmente (in tal senso sono interessanti le
antologie poetiche su temi). Il più familiare, per ciò che mi
riguarda, esperienza
si
priva, infatti, completamente della possibilità analogica. Non è
forse deterrente per un’uniformità esperienziale l’unicità
dell’esperienza data nella singolarità che esperisce? E non è
rivoluzionariamente trascendentale l’inter-soggettività
contingente?

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