(Redazione) - "Soglie" (I Quaderni del Bardo ed., 2025) di Franco Manzoni – "La critica mimetica come forma d’arte" - di Marco Sbrana
Soglie di
Franco Manzoni (I Quaderni del Bardo, 2025) è un’opera che
restaura il senso della saggistica. Abbiamo un poeta che parla di
poeti. Lo fa dal 2012 sull’inserto La
Lettura del
Corriere.
Le recensioni che compongono l’antologia hanno lo spirito e la
fulmineità della poesia. La poesia ragiona per significante, non per
significato; è una ricerca, quella del poeta, della parola giusta,
quella insostituibile. Una poesia che possa dirsi riuscita è quella
dove ogni parola non potrebbe essere altra da sé. Lo stesso accade
per la prosa saggistica di Franco Manzoni. È un progetto, il suo, di
sovrimpressione, di sovrapposizione tra il detto
e il dire
sul detto. Come se,
pare dire Franco Manzoni, l’unico modo per parlare di poesia fosse
adottare la lingua della poesia stessa. Al che, nelle “recensioni
formato francobollo”, ogni parola è collocata nel solo spazio che
le è concesso abitare. Non esiste margine di sostituzione, di
miglioramento; la parola critica, così come la parola poetica che
tratta, è incastonata nel tessuto dei brevi testi e non potrebbe
trovarsi altrove. Nulla di contingente nella prosa saggistica di
Manzoni; tutto è Necessità.
Mentre mi approcciavo alla
lettura, credevo fosse impossibile condensare raccolte poetiche nei
brevi margini imposti da Franco Manzoni. Come potevano le
stratificazioni, le polisemie, le figure retoriche, l’immaginario e
la sonorità adattarsi alla forma prescritta di una rubrica che fa
della sintesi la sua bibbia personale? Mi approcciavo al testo di
Manzoni con l’idea che fosse fallimentare in partenza. E mi sono
ricreduto. Non avevo tenuto conto del potere mimetico del critico.
Potere mimetico che diventa valore artistico. La prosa critica è una
forma d’arte, e questo concetto dovrebbe ormai essersi consolidato;
in Manzoni è più che mai chiaro. L’implicita dichiarazione
d’intenti di Manzoni è: io, poeta-critico, parlerò di poesia con
la stessa cura maniacale al singolo significante che i poeti che
tratto impiegano. Operazione riuscita.
Soglie
è anche l’autoantologia che corona una carriera vissuta nel solco
della poesia, sotto il segno dei nostri più importanti parolieri
contemporanei. Non un autoincensarsi ma un rendere-libro, un
rendere-testo (e quindi progettare un inedito progetto artistico) ciò
che per più di dieci anni è stata rubrica senza ambizione di
unitarietà. Interessante anche questo, credo: deputare tredici anni
alla ricerca della parola-che-non-può-essere-altra per poi riunire
tutti i brevi lampi di critica in un testo che non solo è
presentazione di un lavoro pluridecennale ma anche opera autonoma. E
coraggiosa opera, aggiungo. Financo pedagogica, da un certo punto di
vista, nella misura in cui propone un approccio alla critica che sia
mimesi del testo preso ad esame.
Come restituire la complessità
di Anna Achmatova in pochissime battute? Concependo la critica come
surrogato della poesia, come prodotto dalla poesia derivato:
e sofferenza. Quasi in un diario sacro
Anna Achmatova (1889-1966), il grande
poeta russo come desiderava essere definita,
canta questo sentimento quotidiano
nella nuova antologia Il silenzio del-
l’amore (Biblioteca dei Leoni, pp. 128, €
14), traduzione di Manuela Giabardo e
Paolo Ruffilli. Così ebbrezza, felicità,
attesa dell’amante, ritualmente si alternano
a dolore, tradimento, gelosia, abbandono.
“Quel che è strano, via”,
scrive Samuel Beckett; quel che è innecessario, via, è Manzoni. La
condensazione, la spremitura.
Come riportare il sangue di
Enrico Marià, i suoi novenari, le sue dipendenze?
più grande, sfidando l’angoscia della
morte. Grazie a un’intensità rara e furente
Enrico Marià disegna i mali d’esistere
nella raccolta I figli dei cani (Puntoacapo,
pp. 124, € 15). Nato a Novi Ligure (Alessandria) nel 1977,
l’autore tocca le stigmate di incesti,
violenze, droghe, suicidi.
Un andare oltre l’abisso dei sentimenti per
raccogliere anche lacrime di animali e salvare
quante più creature possibili.
Questa l’opera di Franco Manzoni, e anche di più: perché, inoltre, ha inventato un genere. La “recensione formato francobollo” si inscrive nel solco della critica mainstream e diventa, con questo importante volume de I Quaderni del Bardo, il manifesto di una poetica.
Un
personaggio di A. Kristof nella Trilogia
della città di K. dice
che ogni uomo viene al mondo per scrivere un libro. Nel caso dei
letterati, spesso la produzione è sovrapposta alla vita, e ciò che
il letterato in questione ha prodotto si ritrova ad essere – in un
après-coup lacaniano – autobiografia.
I
lampi di critica di Franco Manzoni, oltre ad avere importanza per i
lettori e per la concezione della critica letteraria, sono la
testimonianza di un uomo di lettere che alle lettere si è votato, e
che, facendo critica, ha fatto arte.
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BREVE NOTA BIO su Franco Manzoni
Franco Manzoni (03/05/1957), che da quarant’anni scrive per il Corriere della Sera, è poeta e critico letterario, laureatosi a Milano in Lettere classiche. Ha prodotto programmi Rai e di lui si ricorda il lavoro come consulente della Triennale. Il suo lavoro poetico è stato ammirato da artisti del calibro di Guido Oldani e Carlo Alessandro Landini. Ha anche scritto pièce teatrali.
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BREVE NOTA BIO su Marco Sbrana
Marco
Sbrana è nato il 26 marzo 2003. Studia scrittura creativa presso la
scuola Mohole, a Milano. Collabora con le riviste Evidenzialibri
e Zona
di disagio. Lavora
occasionalmente per il blog tenuto da Marco Ercolani. Ha scritto un
romanzo sui disturbi mentali e una raccolta di poesia, finora
inediti. Cura il blog di critica e cultura cinematografica:
carrelloaseguire.com
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