“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (conversazione tra Giansalvo Pio Fortunato e Sergio Daniele Donati sul Salmo XXII)

 



Giansalvo Pio Fortunato
Ho la gola secca dalla lotta e le croci dei miei padri sanno già resistere nella battaglia: un tempo i profeti coltivavano la vigna, sapevano il tempo del raccolto, conoscevano i mezzi per cantarsi la buona riuscita. Ora è la diaspora, voce secca nelle viscere dell'esilio; ora il taglio derivato dalla furia, i palmi che scrostano le superfici del martirio.

Sergio Daniele Donati
Che della diaspora sia colto allora  il richiamo al ritorno.
È scritto. 
Così come dalla suppurazione della ferita è detto che un nuovo tendine prende forma. E, se la voce tace e la gola si secca, non ci resta che il canto muto del disincanto, e una voce che - bambina - sia scheggia di verità per le nostre illusioni. 

Il Salmista
Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.

Giansalvo Pio Fortunato
In questo viaggio nel confino è la storia che si narra i peccati, deridendoli. Ho lo slancio unto di uno spatriato: entrambi chiamiamo a voce alta Dio, che ascolta solo gli uomini. Ed il verme? La lebbra che caria gli asfalti, dove vive? Dove segna gli attimi della resistenza? Non resisterò; non resisterò mai. Questo è il destino della vendita – Babele già smette di parlare: la reclusione al costo di ogni libertà. Elettrifico per ridurre in polvere, suggestioni prima della bevuta nell’aceto. Dio dista: nessuno potrà risarcire la sua nascita; posso chiamarmi nel vuoto, ma ritroverò la nascita e la morte. Allora risorgo: ma non ancora.

Sergio Daniele Donati
Ma poi è del verme il compito, cieco e incosciente, di dissodare la terra, divenuta arida per i venti caldi della morte. Non è il popolo a rifiutare il nostro stesso nome, ma le nazioni: il diverso, nostro prossimo, che in noi coglie l'intimo e pericoloso valore della cecità e di un percorso accidentato sul crinale del limite. 

Il Salmista
Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.
Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.

Giansalvo Pio Fortunato
È la carestia di ogni guerra questo smantellare i cammini dell'altro. Ecco: la furia sostiene i chiodi, la tenaglia, le urla prima del sospiro. Questo circondario di voci si caria prima di essere evanescenza ed io recrimino – per una volta solo io – recrimino la dentatura che stenta nel dirsi di una mangiatoia: la croce fa fusti larghi ma non tortura; il patibolo sa venire prima. Mi do in pasto ai senza denti, questi sanno approvare ma non lacerano. Allora la soddisfazione di essere feriti, attorniati nella calca dei condannati: l’uomo erotizza le piaghe, ricama ricuce orienta sodomizza rialza chiama a raccolta. Siete pronti? Siamo pronti per avvinghiare: il resto è complice di un propedeutico. La storia va ricucita alle vene: lì è
sofferenza, lì è inizio del Passaggio.

Sergio Daniele Donati
Le nazioni alzano forte una voce d'odio contro il Popolo, una sorta di urlo di minaccia contro i figli del Re Piccolo, che già allora rifiutò l'armatura, per far del suo limite, contro il gigante, un campo di vittoria. 
"Limita il campo e limita il popolo", fu detto da D.o a Mosè, nostro Maestro, perchè potesse ascendere al monte a ricevere l'estremo dono. 
Chi ci circonda sappia che sta rinforzando una chiamata alta, un Vento che sbaraglia ogni sicumera e rende prezioso il fragile e gemma il sasso della trasmissione trovato nel fango.

Il Salmista
È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.

Giansalvo Pio Fortunato
Sono segnato oltre la voce della vita: in quell’assenza di morte risiede il vigore fuso della cenere. Ed io spero nella pienezza del limite, nei calligrammi costruiti ad arte per ritrarre gli ossigeni. Siamo nell’andatura dei già tramortiti: Dio ci hai costruiti uguali per segnare il diversificato, la cellula che ridoni pienezze, si affermi e si ridesti, ricostruisca le platealità; il cadavere eterno. Ogni lotta è costruzione di speranza, qualificazione che supera la decomposizione ed entrambi conosciamo la macchinazione, la riduzione unica e liturgica al solo molteplice. Non abbiamo agio di chiamare apocalisse questa vita morta già risorta, perché il dominio dalle labbra di flanella artiglia il rozzo e l’abisso: costa non saperti alla morte. La saliva rileva irraggia e ricompone la pienezza: sapendo il mangime dei vermi, aderiamo allo spirito, la carne fa la sua parte ma l’anima va oltre il leviatano: il nervo sa il messaggio di una parola che grava. Dio si è morto; pluripotente.

Sergio Daniele Donati
E Mosè disse al Signore "Manda Aronne a parlare al Faraone, ché io sono lento di parola". 
La balbuzie è il segno di chi sa del limite della parola e teme la sua sacralità, tanto da rendere il palato e la lingua incapace di pronunciare suono.
E D.o rispose a Mosè: "Credi forse che le parole che dirai saranno tue? Io ti manderò le parole affinché tu possa dirle al Faraone". 
Nacque forse allora il primo attraversato, incapace di parola propria, all'ascolto della parola dell'Altro. 
E di fronte a questo racconto io, ogni volta, chino lo guardo, e piango. 

Il Salmista
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa

Giansalvo Pio Fortunato
L’annuncio sopravanza la felicità del martirio. Mi hai detto di giungere alle midolla e poi sostare nell’aria; certezza che una persecuzione resista fino alla caduta del fiato. Ho colto la luce, questa non arriva – ti dico – e poi tentenni prima di placare mani e piedi ed arrivare al cuore. Mio Dio, mi hai abbandonato a stento: quel poco di abbandono sa però di un eterno, attimi numerati che schivano il finito. E quando sarà lo spogliarsi, il divenire materia di carne per chi ha tanta fame, non arretrare, abbandonami al silenzio che sappia tutto in te. I cani hanno il covo, la cuccia, il riflesso; posseggo io la frenesia di cantare un ultimo verso con la spina a nominare e baciare la carne. Queste cellule non hanno patria, sono nate come il dono agli aguzzini,
spartizione che si ama per il suo divaricare. Ecco: siamo soli – io e te . Dio piange il suo Figlio; chi piange per la gara alla livellatura? Sarà il tempo in cui il pianto di Dio avrà la frase di un riso beato ed eterno.

Sergio Daniele Donati
Ciò che mi circonda sarà da me dominato, ciò che io circondo mi dominerà per sempre. 
Non assedia forse la Terra l'immobile Sole, nel suo ciclo perenne e servile attorno ad esso? E non è lo stesso tra Luna e Terra? 
Ogni moto è sempre relativo e solo l'assenza può dirsi immobile.

Il Salmista
perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.

Giansalvo Pio Fortunato
Arrivano i tempi di Gerico: fisiologia di una guarigione. Ed ecco l’osso del verso: sa cantare costruire i giacigli per un riposo di grazia. Il verso si compone nel seno di Dio e la sparizione è momento, stasi prima della tenebra. Ambo conosciamo – beati – il cammino della prova; ma quando Dio verrà (verrà per davvero) sarà il sussulto dell’atto, contaminazione che crescerà fino a prendere tutto. Sarà lontano l’eterno, l’assemblea dei beati vedrà la suggestione del non Paradiso: il Padre arriva in carne ed ossa, sa l’orientamento del respiro; il Padre è l’ora. Ci pone a sedere, ci insegna il rigore della forza, il possesso non capitale di dirsi desunti nelle spaccature dei vuoti. Quei vuoti non consolano – impara – riescono ad esaudire, ascoltano ed esaudiscono. Abbiamo le mani dei minatori, cavatori gridanti di latenze: quando esce il plenilunio, è l’uomo a scongiurare la paura della morte. Gioca trottola la cuce nelle coste e nelle viscere la ricrea a brandelli; la capisce. Era il Mar Rosso, era la pietra schiacciata nei fondali: ha vinto.

Sergio Daniele Donati
E poi, forse (ed è un forse che andrebbe ripetuto come un mantra) è ora di abbandonare ogni simulacro, di spezzare anche noi gli idoli di Terach, di dirci figli e padri di un detto non nostro, di un flusso continuo che da un chissà dove verso un chissà dove si muove 

Il Salmista
A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.


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Commenti

  1. Come commentare parole così profonde? Leggo i salmi e mi sento gratificata da questa lettura. Una sensazione inspiegabile ma vera e intensa

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  2. Ci sono ritornata stasera ieri le avevo trovate difficili da capire, ora le ho rilette, sono entrambe molto belle! Grazie 🍃

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