(Redazione) - A proposito di Sull’improvviso di Alfredo Rienzi (Arcipelago Itaca ed., 2021) - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati


Dice il poeta Alfredo Rienzi nella nota introduttiva alla sua raccolta poetica Sull'improvviso (Arcipelago Itaca ed., 2021), della quale qui presentiamo un estratto:

La vita è movimento e cambiamento: concetto banale ed elementare. Gli estremi del mutamento hanno, mutuando termini medici, la gradualità della lisi e la repentinità della crisi. Discesa e caduta. Sull’improvviso raccoglie una serie di testi e frammenti – vissuti, immaginati, proiettati – del cambiamento per crisi, fulmineo, talora drammatico, imprevedibile o imprevisto, esplorato prevalentemente in minus, per catabasi.
L’accadimento improvviso e imprevedibile proietta il protagonista o lo spettatore al bivio tra la follia o l’accettazione. Tutt’altro che una resa, quest’ultima urla il suo tentativo di comprensione del lampo dell’evento, la ricerca disperante perché in apparenza vana, di un senso, che non può collocarsi che in territori esterni o complementari alla ragione. La poesia, quando, come in questa raccolta, si avventura oltre i rassicuranti territori del descrittivismo o dell’emozionalismo, non può renderne che barlumi e polverizzate materie.
Il non detto tende a prevalere sull’asserzione, l’inspiegato e inspiegabile sulla facile evidenza. Il percorso per necessità si conduce convocando sia il visibile che l’invisibile, le stelle che l’occhio nudo può cogliere, fino alla sesta grandezza, e quelle – oltre la settima grandezza – per cui il nudo e corporeo strumento umano non è più sufficiente.
La poesia si fa quindi strumento ulteriore, tenta il superamento dell’occhio-ragione, rischiando di tangere l’immaginifico e il fantastico, per attingere all’intuizione.
In questo scenario indeterminato, il verso resiste appena alla memoria del suo dettato ritmico – mai rinnegato –, ma tende anch’esso a frangersi, a desistere. Se improvviso è anche lo scarto tra visibile e invisibile, pure la materia verbale tende talvolta a perdere continuità, a incrinare la sua linearità. Il conseguente uso di registri variabili, accennati più che consolidati, tra narratività ed episodico lirismo, tra ibridazioni e sospensioni, diventa dichiarazione di poetica contro l’omologazione di qualsiasi tonalità dominante, nei limiti consentiti dall’inevitabile appartenenza al proprio tempo.

Ed è proprio su questo rendersi strumento della scrittura poetica che, a parer di chi scrive, la silloge in esame stimola a prendere coscienza. La poesia come strumento percettivo di un eppure, di un altrove, di un al di là (o al di sotto) del reale e del quotidiano è tematica molto difficile da affrontare ed obbliga sia chi poesia scrive, sia chi la legge ad uno sforzo, oserei dire immane, d'equilibrio.

È un camminare su un filo teso d'equilibrista i cui abissi laterali sono rappresentati da un lato da un'idea troppo finalistica del poetare, e dall'altro, al contrario dall'idea che poesia sia scevra da ogni finalità rivelatoria, che poesia sia solo il fine e non anche lo strumento per poter tornare a un dire denso e portatore di significato.
Quella di Rienzi è una poesia piena di interrogazioni, di un questionarsi che non nega il valore della ricerca di una risposta per cedere alla facile tentazione di un relativismo senza scopo.

Interroga il vento, nel dubbio, e il fiume 
ogni segno ogni indizio
infinite combinazioni, il fumo 
che alza le leggi di Fourier, l’inizio 
dei canti smeraldini dei Wolof

ma non comprende il canto dell’assiolo

appoggia il palmo al muro 
di mattoni, interroga 
i minimi interstizi: 
tornerà l’erba-vento

sono cose che la dita sentono 
vorrebbero parole, nomi chiari 
(neppure pietra lo è, o cammino)

ma la vita è stata 
per frammenti, per scie

piena di cavità, anch’essa.

Ritira la mano. 
Non può trattenerla oltre, non può.

dice il poeta in una magnifica sua composizione. 
E il richiamo sia al corpo che all'elemento naturale come stimolo alla domanda, al simbolo, sono elementi di enorme ricchezza; eppure non si nega il valore del frammento, della scia, del segno evanescente e, soprattutto, di una cavità che richiama un senso profondo di vuoto, da riempire di un'intenzione di lasciar andare, d'evitare di trattenere. 

Altrove il poeta si richiama a una scrittura dai sentori quasi estremo-orientali e dalle tematiche molto fini di una certa poesia di radice nipponica.
Come ad esempio nella poesia che qui sotto riportiamo:

Il ginkgo s’è fatto d’oro: natura 
di sonni e risvegli. Inizia a correre
la ragazza si toglie gli orecchini
respira l’argine l’autunno flette 
la nuca:

        entrò nel suo campo visivo
prima un transito obliquo 
riapparve, si fermò. Prese dimora.

Appare appunto come un sogno, come un'emergenza onirica, quest'immagine arborea e dorata in cui il risveglio è connesso al sonno. Non scevra di contenuti sensuali questa poesia, per chi come chi vi scrive è abituato a immergersi nella poesia classica giapponese, non può non richiamare a certe atmosfere che Rienzi qui riesce a tradurre con enorme maestria senza cadere nella trappola imitatoria. 
La scena è descritta con un ritmo meditativo, sembra una sequela delle immagini che ci si formano sulla retina quando sediamo in meditazione, e lentamente, invece, davanti ai nostri occhi si dipana una sola cosa: la vita. 
Di questo noi lettori diveniamo gli attori o restiamo semplici testimoni? È una domanda che si lascia volutamente aperta, perché per il lettore comporta una scelta di campo molto forte.

Che poi il poeta ami essere nel limbo che sta tra il protagonismo e la mera testimonianza, che parte di questa sua raccolta ci interroghi sul quesito profondo del ruolo anche testimoniale di chi scrive, è pienamente raccolto nei magnifici versi che qui sotto si riportano.

Guardavo la garzetta
il suo bianco illuminare l’intero
cielo, la sua ala dettare l’ora 
che passa, l’ora che presto verrà.

A questa poesia non si aggiunge parola se non l'esortazione a leggere l'intera opera con estrema cauta e lenta attenzione. Una raccolta che descrive, senza dirlo, quale sia l'esatto posizionamento del poeta di fronte al fenomeno attraversativo che chiamiamo poesia - il limine tra il testimoniare e la creazione è quanto di più vicino al Sacro si possa immaginare.

Per la redazione de LE PAROLE DI FEDRO
il caporedattore SERGIO DANIELE DONATI


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BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Alfredo Rienzi (1959), poeta e saggista, vive dalla prima infanzia nel torinese. Ha pubblicato diversi volumi di poesia, da Contemplando segni, silloge vincitrice del X Premio Montale, in 7 poeti del Premio Montale (Scheiwiller, pref. di M. L. Spaziani) fino all’ultimo Sull’improvviso (Arcipelago itaca, 2021, pref. di M. Cucchi). I primi volumi sono in parte confluiti ne La parola postuma. Antologia e inediti, come Premio Fiera dell’Editoria di Poesia (puntoacapo Ed., 2011). Ha pubblicato il volume di saggi Il qui e l’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea (Ed. dell’Orso, 2011). Cura il lit-blog “Di sesta e di settima grandezza – Avvistamenti di poesia”, dove è consultabile una biobibliografia più completa.

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Commenti

  1. Davvero un bel testo, Sergio....anche complesso, ma ricco di spunti.
    Bei versi citati di Alfredo, sempre imprevedibile il suo fare poetico, ed è un suo merito

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    1. Leggerlo e poterne fare commento e nota per me è stato un piacere profondo.

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