Polittico della diserzione


Lo sai, diserto la luce
e mescolo dall'ombra
- in lingua antica -
deserto e parola
e scorgo lontani
i fuochi di tribù
non coltivate all'ascolto.
Là soltanto si tinge 
il mio sangue 
d'un richiamo straniero.


Canti davanti al pozzo
il tuo desiderio, Moabita;
la parola è deserto.
Ti ascolto di lontano
come si ascolta il grido
del falco mentre scompone 
l'unità del cielo
in tangram improbabili.


Coltivo il grano 
e mi nutro di carruba;
il dattero resta un ossimoro,
un miraggio silenzioso
nel deserto della parola. 
Il tuo canto è miele, 
la mia mano forata;
una caverna da cui soffiano
libecci color ocra
d'un desiderio antico 
d'unione. 


Il resto tace,
scolora ogni luce
tutto torna al suono 
poi lento al silenzio;
anche il nostro eterno gioco
di creature silvane
davanti alle rocce 
della bellezza senza nome
d'uno sguardo furtivo.

Testo (inedito 2022) e foto
di Sergio Daniele Donati ©



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